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La fine del digital divide: i dati, i soldi, i tempi (entro il 2014)

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Nella confusione dei tempi ci può essere sfuggito che è cominciato l’ultimo grande assalto dell’Italia al digital divide, cioè la battaglia per ridurre a zero la popolazione non raggiunta da banda larga terrestre (fissa o mobile), entro– si presume- il 2014. A fine marzo è stato pubblicato infatti il primo dei due bandi di gara con cui verranno costruite reti nel digital divide e il secondo bando (più importante) scatterà a fine aprile, probabilmente. I dettagli sono su una pagina poco nota del sito di Sviluppo economico, ma faremmo bene a tenere il fiato sospeso sugli esiti della battaglia: perché eliminare le zone non raggiunte da banda larga significa abbattere l’ultima enorme barriera infrastrutturale a un completo switch off dell’Italia verso il digitale.

È condizione necessaria, ma non sufficiente, perché l’Italia persegua gli obiettivi dell’Agenda digitale europea: pubbliche amministrazioni (uffici, ospedali, tribunali) che parlano senza carta, scuole dove le nuove tecnologie si fondono con i metodi di insegnamento. Aziende del made in Italy che competono a livello internazionale sulle piattaforme dell’e-commerce. Vediamo infatti che vuol dire, in Italia, colmare il digital divide.

È un lavoro certosino di tappa buchi infrastrutturali, che sono premessa di lacune di progresso. Secondo Sviluppo economico, ci sono ancora 2,8 milioni di italiani che non possono avere la banda larga terrestre (escluso il satellite, quindi) nemmeno se volessero. E i dati di Between-Osservatorio Banda Larga ci dicono che questo digital divide è piuttosto ramificato in Italia, per le caratteristiche orografiche del nostro Paese.

Ci sono 1700 comuni (sui 8.094 italiani) dove solo un massimo del 3 per cento della popolazione è coperto da Adsl. E un’ampia fetta (3.157 comuni) che vive in uno stato borderline, con una copertura tra il 6 e il 95 per cento della popolazione. Si parla solo di Adsl, vero, perché non ci sono dati così puntuali per il wireless, che però non contribuisce ancora grandemente a eliminare il digital divide. Appena il 5 per cento della popolazione è coperto solo da Umts/Hspa o Hiperlan/WiMax (tecnologia imparentata con il Wi-Fi) e non da Adsl.

Per un Paese è inaccettabile che tanti comuni- scuole e uffici compresi- siano separati dal treno della rivoluzione digitale.

Sarebbe come, qualche decennio fa, non averli collegati al resto con le strade asfaltate.

Ecco perché secondo la Commissione europea risolvere il digital divide è più urgente- e genera più progresso economico, sociale- di espandere la banda ultra larga (30-100 Megabit). Perché coprire tutto con la banda larga è un po’ come passare dal Vhs al Dvd: è il vero scarto dal passato al presente (non lo stesso si può dire dell’avvento dell’alta definizione). Verso una società in cui spostare i bit diventa più importante che muovere persone, macchine, cose, per provare- anche così- ad affrontare alcuni dei problemi critici dell’Occidente (ridurre la disoccupazione e l’inquinamento, in primis).

Ci vorranno mesi, certo, per eliminare il digital divide. Ma ormai il dado è tratto. Con il secondo bando, in particolare, gli operatori prenderanno un contributo pubblico (massimo del 70 per cento, il resto dovranno metterlo loro) per costruire reti fino al cliente finale.

Tra la chiusura dei bandi e l’attivazione delle reti, Sviluppo economico si aspetta che il digital divide sarà chiuso nel 2014 inoltrato. Sì, l’Unione europea ci aveva chiesto di farlo entro il 2013. E la stessa Agenda digitale italiana (v. decreto Crescita 2.0 andato in Gazzetta Ufficiale a dicembre 2012) indicava quel termine come obiettivo. Ma di questi tempi, economici e politici, sarà già una fortuna riuscire a centrare il 2014. Anno cruciale anche perché vedrà l’espansione delle reti mobili Lte (4G) sul 40 per cento della popolazione (annunciano Telecom Italia e Vodafone) e gli operatori le useranno anche in chiave anti digital divide.

E poi, dopo il traguardo del 2014? Niente più scuse: non ci sono più barriere infrastrutturali al passaggio al digitale, restano solo quelle culturali. Ma la speranza è che abbattute le prime, lo Stato possa imporre una trasformazione di fondo che alla fine riesca ad aver ragione anche sulla resistenza degli italiani (quasi il 50 per cento dei nostri concittadini non ha mai navigato: record negativo in Europa Occidentale). Quando la scuola e la Pa ragionano in digitale, insomma, anche gli italiani più restii dovranno capire che questo è il passo da fare per non restare esclusi dalla società.

Il mio augurio è che tutti arrivino (presto!) a considerare l’accesso internet con la stessa urgenza d’inclusione sociale con cui ora si dotano di cellulare.

Non sarà facile anche perché il piano del Crescita 2.0 è incompleto soprattutto nelle parti riguardanti la diffusione della cultura digitale tra cittadini e aziende. Tra l’altro, spetterà al prossimo governo, probabilmente, lavorare per la rivoluzione della scuola: una delle più grandi sfide che ci attendono, anche se ancora non ce ne rendiamo conto appieno. Mettere la banda larga nelle classi è un passo necessario, ma preliminare. Poi bisogna accompagnare i docenti e i programmi verso l’adozione di nuovi modelli d’insegnamento.

Ma di questo e di altro parleremo in prossimi post, passando in rassegna i problemi degli utenti perduti nelle varie pieghe del digitale spesso (anche se non sempre) per colpa di qualcuno più in alto: gli operatori telefonici, le istituzioni.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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