Il pensiero di Bernard Crettaz, autore di “Cafès Mortels – Sortir la mort du silence”, è tabù per un certo way of life contemporaneo, generalmente dedito alla ricerca sfrenata di un edonismo indotto e del consumismo, di una felicità illimitata nel tempo che ha cancellato e spettacolarizzato l’idea della morte, svuotandola di senso e costringendo le persone a chiudersi in se stesse, con le proprie paure e i propri lutti.
L’idea del sociologo svizzero è molto semplice: riunirsi intorno a un tavolo, preferibilmente imbandito di tutto punto, raccontare le proprie esperienze, i propri segreti e farlo liberamente, senza convegni medianici, sermoni o strambe terapie. L’ultimo Cafè Mortel si è tenuto venerdì scorso alla Brasserie l’Atlantique, nei pressi di Montparnasse e si mormora che, presto, in uno di questi simposi sul trapasso, vi parteciperà l’attore Gerard Depardieu.
Parlare di morte in un caffè, fra una tazza fumante e del buon brie spalmato sulle baguette? E perché no? In barba all’ottundimento come mezzo di svago, le serate parigine ai “Cafès Mortels” sembrano essere sulla cresta dell’onda, ma con il rischio di trasformarsi più in una moda passeggera che in una riconversione simmetrica e oggettiva sulle percezioni di vita e di morte, perdendo d’interesse e di contenuti socio – innovativi.
Nel 1999, il primo “convivio con dialoghi sulla morte” fu organizzato al Museo Etnografico di Ginevra trasformato in un bistrot, con oltre duecento ospiti, cibo e vino; seguirono altre conversazioni al Cafe du Passage di Neuchâtel con duecentocinquanta partecipanti, al Café de l’Inter, a Porrentruy, al Café Romand, di Losanna, alla Ferme Asile, di Sion, alla Brasserie du Cardinal di Neuchatel, al Louvai-la-Neuve, in Belgio, a Bordeaux.
Il passaggio dalla vita alla morte è avvolto in una sorta di “tirannia di segretezza”, per questo Crettaz ha scelto il bistrot, piacevole e accessibile a tutti, luogo democratico per parlarne e sentirsi a proprio agio, mangiando, bevendo, ridendo e piangendo, quando è il caso. Si può direttamente affrontare il tema senza ricorrere alla filosofia, alla religione o alla psicanalisi; prive di riferimenti concettuali, le ammissioni più intime scorrono liberamente nella futilità apparente di un qualsiasi “café du commerce”.
Le critiche non si sono fatte attendere, soprattutto per la vulnerabilità di queste confessioni pubbliche, ma Crettaz è lapidario: «Non si accettano forme di voyeurismo, non si parla di morte per esibizionismo, è uno sforzo che richiede autenticità. Le persone sentono il bisogno di comunicare per liberarsi emotivamente, perché il lutto non è solo sofferenza, ma rappresenta per ognuno, un’esperienza senza pari».