L’Artico è tra le regioni delle Terra che più risentono del riscaldamento globale, che qui ha causato un aumento medio delle temperature circa doppio rispetto al resto del globo. Visto che il ghiaccio artico galleggia sull’oceano, è particolarmente sensibile all’innalzamento della temperatura dell’acqua. È un circolo vizioso: lo scioglimento dei ghiacci artici fa aumentare la superficie dell’oceano esposta ai raggi solari e questo riscalda ulteriormente le acque, facendo accelerare lo scioglimento. Inoltre, il ghiaccio sottile diventa più sensibile alle tempeste e l’accoppiata estate caldissima e perturbazioni artiche ha fatto sì che la superficie coperta dai ghiacci polari abbia toccato un record negativo, inferiore al precedente minimo registrato nel settembre 2007.
La notizia viene dal National Snow and Ice Data Center di Boulder in Colorado, in collaborazione con la NASA.
Nell’ultima settimana di agosto, l’estensione dei ghiacci artici è diminuita di più del 40% rispetto all’inizio delle misurazioni da satellite nel 1979, come riportato da queste immagini pubblicate sul sito del New York Times.
Bisogna aggiungere che la stagione dello scioglimento dei ghiacci non è ancora finita: sarà solo alla metà di settembre che la temperatura nell’artico si raffredderà a sufficienza perché il ghiaccio cominci a riformarsi. È quindi possibile che il valore finale del’estate 2012 sia inferiore all’attuale record. Lo scioglimento del ghiaccio artico non è l’unico esempio delle conseguenze del riscaldamento globale. Spesso in estate i giornali ci propongono foto di ghiacciai alpini paragonati ad analoghi panorami presi qualche decina di anni fa. Quasi sempre si nota un vistoso arretramento del fronte del ghiaccio, che viene interpretato come una delle conseguenze del riscaldamento globale.
La situazione è talmente preoccupante (specialmente per chi vive sull’industria del turismo sciistico) che gli svizzeri hanno cominciato a coprire con plastica isolante e riflettente quello che resta dei loro ghiacciai per proteggerli dal solleone. È una soluzione che può andare bene su scala locale, ma che difficilmente potrebbe essere applicata alla Groenlandia, i cui ghiacciai si stanno sciogliendo a ritmi preoccupanti. A luglio, per esempio, si è staccato uno dei più grandi iceberg mai misurati. Ho usato il verbo “staccato” ma forse avrei dovuto dire “partorito”, perché in inglese si usa il termine calving, lo stesso destinato alle mucche che partoriscono il vitello.
Una volta partito, l’iceberg segue le correnti e si sposta lentamente verso Sud dove si scioglierà inesorabilmente e diventerà una goccia di acqua dolce nel mare salato, contribuendo (seppure di poco) all’innalzamento del livello dell’oceano.
Questo fatto non si verifica a causa dello scioglimento del ghiaccio artico galleggiante (e che quindi già sposta un considerevole volume d’acqua, secondo il principio di Archimede) ma, al contrario, di quello groenlandese che è ghiaccio di terra. A proposito degli iceberg della Groenlandia, vale la pena di ricordare che esiste un progetto francese per imbragare queste montagne di ghiaccio per trascinarle, prima che si sciolgano, in luoghi assetati.
Secondo le simulazioni fatte, il processo sarebbe economicamente più vantaggioso della costruzione di desalinatori.
Lo scioglimento del ghiaccio artico, oltre a suonare il campanello d’allarme per il nostro clima e a variare l’ecosistema del grande Nord, mettendo a repentaglio la sopravvivenza degli orsi bianchi, ha interessanti conseguenze economiche. Da un lato, rende praticabile il famoso passaggio a Nord-Ovest che accorcia drammaticamente la rotta tra Europa e Asia, dall’altro rende possibile la perforazione dei fondali marini alla ricerca di petrolio, gas e risorse minerarie. Da anni Shell fa lobbying per ottenere dal governo federale americano il permesso di scavare pozzi nelle acque dei mari non troppo profondi a nord dell’Alaska.
Bisogna dire che, fino ad ora, sotto la spinta degli ambientalisti, il governo aveva nicchiato. Ora la situazione sembra essere evoluta: la fame di energia ed il desiderio di non dipendere troppo delle importazioni, ha fatto spostare la bilancia a favore delle compagnie petrolifere, che adesso possono anche contare su acque libere da ghiacci, almeno nel periodo estivo. Il 30 agosto il permesso di drilling è stato accordato, intimando che vengano prese tutte le precauzioni per evitare inquinamenti di uno degli ambienti più incontaminati del globo. Per non perdere tempo, la Shell aveva già fatto partire due sue navi verso il mare di Beaufort (famoso per le balena Beluga) e quello di Chukchi (abitato da orsi bianchi) con l’intento di ultimare due pozzi prima della fine di settembre, quando tornerà il ghiaccio.
A questo punto sorge spontanea la domanda, se al Polo Nord non c’è terra ma solo ghiaccio che galleggia, chi può reclamare sovranità al di fuori delle acque territoriali? Per non farsi trovare impreparati, nel 2007 i russi hanno già piantato la loro bandiera in fondo al mare Artico. Non è stato difficile: è bastato un minisottomarino. Ma Canada e USA non stanno certo a guardare, perché la posta in gioco è enorme: si parla di un quarto del petrolio disponibile sulla Terra. Una risorsa che garantirebbe un futuro sicuro per chi riuscirà ad accaparrarsela, con buona pace del riscaldamento globale, dello scioglimento dei ghiacci, dell’innalzamento del livello dei mari e degli orsi polari.