L’ufficio non è facile da trovare. L’ingresso si trova in una stradina vicino al villaggio olimpico tra un negozio di Prada e un ristorante brasiliano. Però al piano terra c’è la security, ma non i volontari del Locog, i soliti omaccioni vestiti di nero, con occhiali da sole anche di sera. E da quello capisci che stanno proteggendo qualche segreto.
Sali al primo piano: open space, tre segretarie alla reception, ci deve essere un sacco di gente, ma le porte degli uffici sono rigorosamente chiuse. Non si vede nessuno, e non si sente volare una mosca. Sotto, la gente in marcia verso l’Olympic Park non ti vede, vetri oscurati. Per non sentirti solo in attesa dell’arrivo di Aimee Mullins, chef de mission per gli Usa alle Paralimpiadi, una disabile favolosamente bella – forse più giusto dire una bellissima ragazza che qualcuno etichetta come disabile perché è sempre più facile guardare la pagliuzza negli occhi degli altri invece che la trave nel proprio – cominci a giocare con l’arredo di Deloitte House.
E l’arredo che è a disposizione degli ospiti sono dei touch screen per Tom Cruise e Jim Carrey, insomma a metà tra un futuro di Minority Report ed un presente alla Truman Show.
Tanti temono che qualcuno venga a dirci che queste Paralimpiadi, troppo belle per essere vere, sono in realtà un sogno e non una realtà di cui non si ha mai abbastanza. Nei touch screen si vede il presente e futuro di quel calzino che i guru di Deloitte hanno cominciato a rivoltare ben prima che il CIO assegnasse, nel 2005, i Giochi del 2012 a Londra.
Ci trovi raccontato il disegno sociologico prima ancora che urbano, la costruzione di uno spirito di squadra tra tanti soggetti diversi, la scelta di una zona della città data per persa ormai da tutti e a cui è stata data una nuova identità.
Un’identità testimoniata da un codice di avviamento postale nuovo, il segnale che davvero si voleva portare l’East End al livello del West End perché una società moderna deve essere inclusiva se vuole sopravvivere a se stessa. Ci trovi raccontato quello che succederà all’Olympic Park nel 2013 quando diventerà, a sbornia olimpica smaltita, il Queen Elizabeth Olympic Park, la più grande area verde realizzata in Europa negli ultimi 100 anni. Oltre 500 acri in cui il ricordo delle gare sarà ben presente grazie agli impianti principali e a un calendario a cui si sta già lavorando per riempire di contenuti questo mega multicontenitore.
Ci trovi raccontato il lavoro, mediamente superiore a un anno, portato a termine in 36 giorni, per non incidere sul giubileo della Regina, per realizzare in città l’arena del beach volley che è una discoteca un po’ speciale: per far ballare pubblico e spettatori, bisogna prima portarci 4115 tonnellate di sabbia.
E Londra notoriamente, non è in riva al mare. Ci trovi raccontato il lavoro, fortunatamente non da Grande Fratello, per guidare, anzi meglio portare l’opinione pubblica a capire quale opportunità rappresentino i Giochi e quale grande conquista sociale siano le Paralimpiadi. E i risultati li vediamo tutti in questi giorni.
Poi c’è il video più affascinante. Il parco del nostro presente come sarà nel 2030: una specie di città ideale, lo stadio interamente circondato da fiumi e canali, case eleganti e tanto verde per i nostri standard, ma non abbastanza per gli inglesi, che stanno cominciando una battaglia interessante. Fino a ieri questa zona non esisteva, adesso si litiga già sul suo futuro. Ci vuole più di una ola per sostenere gli atleti, è scritto in una pagina. E così hanno messo al lavoro un team di 1300 persone che si è speso anche per unire bianchi e neri, soggetti diversi chiamati a ragionare collettivamente per il bene di quella squadra che è una città .
Infine è arrivata Aimee, bella come un sogno, ma straordinariamente vera anche, e soprattutto, quando ha detto: “Ehi, le vuoi vedere le protesi speciali che mi sono fatta fare per la cerimonia d’apertura ? Io le ho chiamate Golden Legs” ha aggiunto, ed è stato in quel momento che mi è venuta la voglia di invitare tanti italiani in quella suite vista stadio olimpico, per far vedere loro come è diventata una ex discarica di Londra. Per andare a lezione insieme e capire come un evento non sia una rovina quanto, piuttosto, una straordinaria opportunità.
Incidentalmente, tra il momento in cui, nel 2003, in Deloitte hanno cominciato a ragionare – con Londra e per Londra – sul progetto olimpico e il 2030 di quel touch screen, ci sono molto di più dei 29 giorni complessivi di Olimpiadi e Paralimpiadi: 27 anni. Ecco cosa vogliono dire con “Inspire a generation”.