(la fondazione Make in Italy cdb sta organizzando una mostra per celebrare 50 anni di innovazioni italiane a partire dalla Programma 101. La mostra debutterà nel corso della grande Maker Faire Rome – The European Edition, il prossimo 2 ottobre. Con questo articolo Maria Teresa Cometto inizia una serie per raccontare le storie e gli oggetti che saranno in mostra)
Il primo “computer personale” della storia non è stato concepito nel garage di Steve Jobs, il fondatore della Apple, ma 12 anni prima in quello di una villa a Pisa, nel quartiere periferico di Barbaricina.
Ad avere la visione di un computer “da tavolo” e non gigantesco come quelli degli Anni Cinquanta, “bello” da vedere e da toccare, e facile da usare fu un gruppo di “giovani folli” o “progettisti riottosi”, che iniziò a lavorare in una atmosfera da startup ante litteram.
La “startup” era nata nel 1955 all’interno della più importante azienda italiana tecnologica dell’epoca, la Olivetti: un’anticipazione del modello – usato oggi da grandi gruppi come Google – di lasciar liberi i dipendenti di perseguire i propri progetti, non importa quanto bizzarri sembrino. Google lo permette solo per una quota del tempo di lavoro. Gli ingegneri della Olivetti a Barbaricina – e poi a Borgolombardo, Milano – furono fortunati a potersi dedicare a tempo pieno al loro sogno.
Il risultato fu la P101 (Programma 101) o “Perottina”, nomignolo affibbiatole perché frutto della visione di Pier Giorgio Perotto, uno dei membri del team di Barbaricina.
Sognavo una macchina amichevole – spiegherà poi Perotto – alla quale delegare quelle operazioni che sono causa di fatica mentale e di errori, una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che immagazzinasse dati e istruzioni semplici e intuitive, il cui uso fosse alla portata di tutti, che costasse poco e fosse delle dimensioni degli altri prodotti per ufficio ai quali la gente era abituata.
Dovevo creare un linguaggio nuovo, che non avesse bisogno dell’interprete in camice bianco”.
La progettazione della P101 fu ultimata alla fine del 1964 e la rivoluzionaria macchina fu presentata a New York nell’ottobre ’65 alla fiera internazionale dei produttori di attrezzature per ufficio (BEMA, Business Equipment Manifacturers Association) in concomitanza con il gran finale della Expo. Fu subito un incredibile successo, in particolare negli Stati Uniti: l’inizio di una nuova era nell’elettronica e il segnale della rinascita di Olivetti. Per questo vale la pena ricordare la sua storia, come fonte di ispirazione per le future generazioni di “giovani folli” in Italia, e in qualsiasi altro Paese.
GLI UOMINI
Il Laboratorio di Ricerche Elettroniche dell’Olivetti a Barbaricina era nato nel ’55 in seguito a una collaborazione fra l’azienda di Ivrea e l’Università di Pisa nella costruzione di un calcolatore elettronico.
L’idea del calcolatore elettronico era stata lanciata dal premio Nobel per la Fisica Enrico Fermi – la cui Alma Mater era la Scuola Normale Superiore di Pisa – per sfruttare un finanziamento pubblico ricevuto dalla stessa università. Adriano Olivetti aveva abbracciato l’idea, intuendo la potenzialità dell’elettronica, un mercato allora agli albori, e per gestire il laboratorio Olivetti aveva reclutato uno dei migliori cervelli in quel campo: Mario Tchou, figlio dell’ambasciatore cinese presso il Vaticano a Roma, laureato in Ingegneria elettronica alla Columbia University di New York, dove era rimasto come ricercatore e docente. Tchou – 31 anni, fluente in italiano e innamorato dell’Italia – aveva accettato ben volentieri l’incarico, decidendo di puntare tutto sui giovani per formare la sua squadra perché, spiegava, “le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria”.
Nel team nel ’57 entra Perotto, 27enne torinese laureato in Ingegneria al Politecnico di Torino. Aveva fatto ricerca allo stesso Politecnico e poi lavorato in FIAT. Appassionato di elettronica, si era subito ambientato benissimo nella startup olivettiana, che intanto stava crescendo, fino a doversi spostare in uno spazio più grande a Borgolombardo. E Perotto ha continuato a portarne avanti lo spirito anche dopo la improvvisa e tragica scomparsa sia di Adriano Olivetti (’60) sia di Tchou (’61).
DALLA CRISI: OPPORTUNITÀ
La doppia batosta, e poi la crisi successiva della Olivetti, sfociata nel ’64 nella vendita delle attività elettroniche all’americana General Electric, diventano però l’occasione per tentare qualcosa di nuovo da parte dei pochi che in azienda continuano a scommettere sull’elettronica. Uno di loro è Elserino Piol, in Olivetti dal ’52, che oggi racconta: “La maggioranza dei manager a Ivrea guardava alla elettronica con grande scetticismo, la considerava uno spreco di soldi e di tempo, e credeva che Olivetti dovesse concentrarsi solo sul business della meccanica”.
D’accordo con Piol era Roberto Olivetti, primogenito di Adriano e amministratore delegato dell’Olivetti dal ’62 al ’64: creata la Divisione Elettronica Olivetti (DEO), affida a Perotto un reparto per lo sviluppo di apparecchiature periferiche, con l’incarico fra l’altro di inventare calcolatrici elettroniche per far concorrenza alle grandi macchine giapponesi ma senza cannibalizzare le calcolatrici meccaniche Olivetti.
Da lì parte il progetto P101, che non si ferma quando nell’estate ’64 Olivetti, in crisi finanziaria, passa sotto il controllo di nuovi azionisti, il cosiddetto “gruppo di intervento” formato da Mediobanca, Fiat, Pirelli, Imi e La Centrale, che condivide l’atteggiamento anti-elettronica.
“La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico – dichiarava l’allora presidente della FIAT Vittorio Valletta -. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”. Così viene decisa la vendita del 75% della Divisione Elettronica, compreso il Laboratorio, alla General Electric.
“Abbiamo ceduto tutto, ma non il progetto P101, convincendo GE che si trattava solo di una calcolatrice, non di un apparecchio elettronico – ricorda Piol -. Roberto Olivetti e io credevamo seriamente che il futuro dell’Olivetti fosse nell’elettronica e quindi volevamo tenerci almeno un pezzo delle nostre attività in quel campo”.
Perotto è ben felice di restare fuori da GE, temendo che il colosso americano avrebbe cancellato il suo piccolo progetto. Anzi, per non farsi assorbire dalla multinazionale fa di tutto – racconterà poi – per dare di sé l’immagine del “progettista riottoso”, insomma scomodo per una tradizionale organizzazione aziendale. È questa una fase un po’ caotica e di sbando per Perotto e i suoi collaboratori, che però ne approfittano per lavorare in piena libertà – in un clima insomma di nuovo da startup – e completare il prototipo della P101 alla fine del ’64. Quando il direttore generale tecnico di Olivetti Natale Capellaro – il grande operaio-inventore, “padre” di tanti famosi prodotti meccanici del marchio di Ivrea – vede il prototipo, si rende conto della svolta epocale: l’era della meccanica è finita e il futuro appartiene all’elettronica.
CARATTERISTICHE E SUCCESSO DELLA P101
La P101 è grande più o meno come una macchina da scrivere dell’epoca, pesa 30 chili e sta su una scrivania, ma ha le funzioni di un vero computer: sa scrivere programmi e memorizzare dati e comandi su una scheda magnetica che rende la macchina completamente autosufficiente e che è una sorta di antesignana dei dischetti magnetici dei moderni personal computer. Il suo sistema operativo è molto semplice con solo 16 istruzioni che anticipano il linguaggio BASIC. Infine è dotata di una tastiera, una stampante e un collegamento a un sistema video.
Anche il look è curatissimo, in continuità con la tradizione di Adriano Olivetti, secondo il quale “il design è l’anima di un prodotto”: è pensato per essere piacevole e friendly, ben diverso dai computer-mostri di quegli anni. Porta la firma dell’architetto Mario Bellini, uno dei “progettisti riottosi” insieme a Perotto: non a caso 20 anni dopo lo chiamerà al telefono Steve Jobs, con l’offerta di lavorare per la neonata Apple (ma Bellini resterà alla Olivetti, vincolato da un contratto di consulenza esclusiva; e anche Perotto ci resterà fino al ’93).
La P101 è insomma una via di mezzo fra gli enormi computer che occupano una stanza intera e possono essere gestiti solo da tecnici esperti “in camice bianco” e le tradizionali calcolatrici da tavolo, molto limitate nella loro funzionalità. Può essere usata anche da un impiegato, per esempio per calcolare in modo automatico le buste paga o fare altre operazioni aziendali di base.”In un certo senso la P101 è nata da un errore strategico, la scelta di non puntare al 100% sull’elettronica, ma ha funzionato – osserva Piol, responsabile del lancio della novità alla fiera del ’65 a New York -. Il grosso dell’esposizione Olivetti riguardava i suoi prodotti meccanici, ma sono riuscito a piazzare una P101 in una saletta secondaria. Eppure il pubblico l’ha scoperta ed è stato un grande successo, con la coda della gente per osservarla da vicino”.
I principali giornali americani – dal New York Times al Wall Street Journal a Business Week – hanno riportato la notizia con grande evidenza come l’arrivo del “first desk top computer of the world “, il primo computer da scrivania al mondo. Secondo il New York Journal American, con l’avvento di un “desktop computer” come P101 “potremo vedere un computer in ogni ufficio persino prima di avere due automobili in ogni garage”.
La P101 piace non solo al mondo del business, ma anche a quello dell’Accademia e della scienza. Un anno dopo il suo debutto a New York, nel ’66, la NASA, l’agenzia spaziale USA, la compra e i suoi ingegneri la usano per preparare la missione Apollo 11, quella che nell’agosto ’69 porta l’uomo sulla luna. Una foto storica mostra la macchina Olivetti sulla scrivania di uno scienziato NASA: gli serve come strumento di calcolo per elaborare la traiettoria del viaggio, compilare le mappe lunari e scegliere la località di allunaggio.
Il mercato americano assorbe quasi tutti i 44 mila esemplari di P101 prodotti da Olivetti e venduti a 3.200 dollari (circa 17.000 euro oggi). I concorrenti si affrettano a recuperare il terreno perso: Hewlett Packard ne compra un centinaio di esemplari, copia le soluzioni più innovative come la scheda magnetica e nel ’67 offrirà sul mercato una sua versione (HP9100), beccandosi una causa dalla Olivetti per violazione del brevetto e venendo condannata a un risarcimento di 900 mila dollari.
Se l’imitazione è la più alta forma di adulazione, quella della veterana della Silicon Valley verso Olivetti è stata un bell’omaggio al genio italiano.