La provocazione pubblicitaria al tempo dei social network

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Non passa giorno senza che i nostri canali sociali rilancino una nuova provocazione pubblicitaria, dove sessismo, idiozia e cattivo gusto sfidano l’intelligenza di chi guarda.

Una delle ultime in ordine di tempo è il manifesto per uno strofinaccio che invita a “eliminare tutte le tracce”. Il fotomodello si staglia in primo piano, in mano il prodotto della pubblicità e sullo sfondo un letto con quello che sembra essere il cadavere di una donna uccisa di fresco. Nel momento in cui il femminicidio diventa una delle urgenze più drammatiche del nostro Paese (e non solo), non poteva passare inosservata questa ennesima idiozia pubblicitaria, tanto da spingere alcune parlamentari a rivolgersi a Laura Boldrini, neoeletta Presidente della Camera, per prendere posizione nei confronti di questa pubblicità.

Poco importa che la stessa campagna fosse uscita prima con un soggetto a parti invertite: una fotomodella con lo strofinaccio e sullo sfondo il corpo di un uomo, presumibilmente appena fatto fuori. Evidentemente le pari opportunità su questi temi hanno vita più facile.

Come ogni volta, la Rete ha reagito invadendo la pagina Facebook dell’azienda d’insulti, aumentando la visibilità della campagna e favorendo il vecchio adagio pubblicitario secondo cui “non importa che se ne parli bene o male, purchè se ne parli”.

Ma se questo genere di conclusione in passato ha fatto la fortuna di piccoli e grandi provocatori seriali, al tempo dei social network questa miserabile conclusione non paga più. Perché le logiche che oggi muovono il consenso intorno a marche e prodotti passano da una valuta che si chiama reputazione ed è questa la vera moneta di scambio attraverso cui ci si confronta sul mercato, ci si posiziona e si acquistano i favori di un consumatore sempre più critico, attento, sensibile e responsabile.

Non servirà a nulla arrivare su giornali e televisioni grazie a una manciata di poster beceri affissi in una qualche sperduta provincia, e neanche invitare un consigliere regionale a una sfilata in bikini durante la settimana della moda, perché oggi i nostri interlocutori sono parte attiva nella costruzione dei messaggi di marca. Possono interagire in tempo reale con le nostre idee, reagendo bene o male in base all’intelligenza di cui siamo stati capaci.

Infine, voglio usare questo post per esprimere il mio personalissimo punto di vista su questi temi. Mi occupo di pubblicità, lavoro nell’agenzia che ha firmato la campagna sulla bellezza autentica di Dove e ogni volta la mia bacheca di Facebook viene utilizzata da chi mi segnala porcherie di questo genere e mi chiede di denunciare un nuovo scempio del corpo femminile e una nuova mercificazione a fini pubblicitari.

So che colleghi molto più illustri di me sostengono di non rilanciare questo genere di pubblicità, di denunciarle alle autorità competenti e di non farle circolare.

Recentemente, proprio in occasione della pubblicità dello straccio, un blog del Corriere della Sera ha preso una posizione di questo tipo, riportando il parere di Annamaria Testa e invitando le sue lettrici a non far circolare queste immagini sui propri social network.

Non sono d’accordo. Mi dispiace. Per quanto ne riconosca le ragioni, ritengo che questo scempio si possa fermare solo e soltanto continuando a mostrare e a dimostrare l’ignoranza pubblicitaria di chi ancora firma questi orrori. Come fa Roberta Milano attraverso un board su Pinterest che continua a rilanciare le pubblicità più assurde, volgari e violente di cui siamo ancora capaci. Perché?

Il perché lo prendo a prestito dal povero Enzo Jannacci, che cantava di un ragazzino ucciso a soli 13 anni: “E tu maresciallo che hai continuato a dire «andate tutti via! cosa fate qui non c’è più niente da vedere, niente da capire circolare. via!» Credo che ti sbagli perché un morto di, di soli tredici anni è proprio da vedere perché la gente sai, magari fa anche finta però le cose è meglio fargliele sapere”.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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