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La Realtà Virtuale segnerà la fine della nostra civiltà sociale?

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La Realtà Virtuale segnerà la fine della nostra civiltà sociale? Prima di tutto chiarisco che la risposta è no: non saranno i vsori VR a distruggere l’umanità – ce la possiamo fare benissimo anche senza.

Anzi, a lungo andare, la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata renderanno la nostra vita migliore, come tante altre invenzioni che nella nostra storia si sono avvicendati a interpretare il ruolo del Gort di turno: la stampa, il suffragio universale, il rock, la TV, Internet, i videogiochi, Social Network e chi più ne ha più ne metta.

Qualche giorno fa, al Mobile World Congress (la più importante fiera globale delle tecnologie mobili), in un evento organizzato da Samsung per la presentazione delle ultime novità si è parlato anche del visore per realtà virtualeGear VR” realizzato in collaborazione da Samsung e Oculus.

In realtà il visore è disponibile sul mercato già da qualche tempo: il nostro gioco VRAsteroids era tra i titoli di lancio e ne siamo stati molto felici, ma già all’ultimo Giffoni Experience l’avevamo mostrato in anteprima.

A parlare del rapporto tra Realtà Virtuale e società è intervenuto Mark Zurckerberg, il fondatore di Facebook, che in Oculus ha investito 2 miliardi di dollari.

Questi eventi hanno un’organizzazione eccezionale: per due volte ho avuto l’onore di essere invitato a parlare su un palco di Samsung al Mobile World Congress ed entrambe le volte sono rimasto sorpreso da quanto siano efficienti, minuziosi e impeccabili – mai, in nessun altro evento, ho avuto la percezione di una così meticolosa e attenta gestione.

E l’organizzazione ha messo a disposizione di ognuno dei presenti un visore, chiedendo ad un certo punto di indossarlo per provarlo.

A questo punto, Zuck ha fatto la sua entrata ad effetto.

E qualcuno ha fatto una foto: l’imprenditore giovane, geniale, ricco e sicuro di sé percorre il corridoio circondato da una pletora di persone che non lo vedono perché sono immerse nella realtà virtuale.

Credits: uk.businessinsider.com

Zuckerberg star dell’evento

Il Washington Post ci ha ricamato scrivendo che, mentre Zuckerberg afferma che le esperienze virtuali saranno sociali, la foto suggerirebbe “qualcosa di diverso: centinaia di persone che condividono lo stesso spazio, ma non hanno percezione, esperienza o ancora fenomenologica [di quello spazio]”. Addirittura, la conferenza, parola che essa stessa significa “mettere insieme” si trasformerebbe in una serie di “bolle iper-individualizzate” e il sorriso di Zuckerberg sarebbe quello di colui che le controlla tutte… un po’ il Sauron della Realtà Virtuale, perché, sempre secondo i giornalisti in questione, chi controlla le bolle controlla il loro contenuto.

Salvo che non è affatto così.

La combinazione degli elementi, come ha fatto notare Ben Kuchera qui è stata studiata per ottenere un effetto di magia associato all’entrata di Mark, che, come tutti sappiamo, è una star.

Quasi nessuno ha parlato dell’esperienza che tutto l’audience ha condiviso.

Un’esperienza unica, che non è tangibile, ma non per questo è meno reale: capisco che possa sembrare strano a chi non l’ha mai provato, ma i mondi virtuali sono reali, non irreali.

Il virtuale esiste, si vede, è interattivo. E lo sappiamo da molto tempo: il telefono è forse irreale?

Quando, nel 1980, vedevo una persona passeggiare da sola parlando ad alta voce, pensavo si trattasse di uno squilibrato o un ubriaco. Con l’avvento dei cellulari e, successivamente, degli auricolari (sempre più piccoli, sempre più efficienti) ci ci siamo abituati a questo tipo di scena: se una persona cammina per strada parlando ad alta voce, sappiamo che è al telefono con qualcuno.

Sulle prime faceva una strana impressione, ma oggi non ci stupisce più.

La TV è forse irreale? Certo, un tempo qualcuno ha rilevato quanto fosse assurdo starsene la sera davanti a uno schermo a guardare cose che non succedevano a noi, o che non succedevano affatto… ma forse qualcuno l’avrà detto anche del teatro. Anzi, con tutta probabilità la locuzione “Realtà Virtuale” fu inventata da Antonin Artaud proprio per descrivere il teatro

Eppure, che cos’è che rende quella foto così inquietante?

Io credo che a farci impressione sia quella sensazione di estraneità data dal visore: ci fa percepire subito che quella persona non ci vede.

Chi utilizza il visore ci sembra bendato: una situazione che naturalmente percepiamo come fastidiosa; vedere una persona bendata e contenta è incompatibile col nostro modo abituale di relazionarci agli altri.

Realtà aumentata sovrapposta alla realtà virtuale: il mondo nuovo

Qui, in ufficio, alla SpinVector, ci siamo già abituati: i visori, per noi sono pane quotidiano. Capita spesso di entrare in una stanza e trovare due persone che chiacchierano con indosso i visori: sono insieme in un ambiente virtuale (inventato o ripreso dal vivo, poco importa).

Qui abbiamo fatto da un po’ un passo importante: abbiamo aggiunto le telecamere ad Oculus, trasformandolo in un sistema di Realtà Aumentata in cui non perdiamo il contatto con la realtà.

E succede una cosa che, secondo come la vediamo, può essere molto carina o ancora più inquietante: si ricostruisce l’archetipo del viso – quei due puntini neri con i loro riflessi cristallini ricompongono la figura stilizzata di una faccia che, senza esserne un surrogato, può funzionare lo stesso nel contesto giusto, come l’arte ci ha mostrato più volte, ad esempio nei personaggi di “From Dust” di Éric Chahi o in quelli disegnati da Fiona Staples per Saga.

Dove stiamo andando, allora? Ci dobbiamo rassegnare a vedere i nostri parenti in casa con il visore? Non bastava il telefonino?

Beh, intanto sappiate che la tecnologia migliorerà, e questi dispositivi saranno sempre più leggeri e comodi, ma poi siamo sicuri che il problema sia il dispositivo?

Se i miei amici non vogliono parlare con me, sarà colpa dei telefonini o del fatto che non ho molto da dir loro?

E c’è poi tanta differenza tra quattro persone che guardano la TV e quattro persone che giocano a un videogioco in realtà virtuale? Sì… e vi dico qual è: che quelli che giocano stanno vivendo, insieme, un’esperienza unica che, in buona parte, stanno costruendo da soli e non è stata completamente pre-confezionata da qualcun altro.

Questo garantisce un uso edificante del mezzo? Certamente no! Come la stampa, le videocassette e il pianoforte gli effetti di una nuova tecnologia dipendono solo dall’uso che decidiamo di farne – insomma, se vedrete esperienze virtuali brutte, stupide o alienanti, ancora una volta non sarà colpa dei visori, ma degli autori.

Klaatu barada nikto.

GIOVANNI CATURANO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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