Il 19 febbraio del 2009 uscì in edicola il primo numero della edizione italiana Wired, un magazine che era e resta un simbolo per tutti quelli che sono appassionati di futuro. C’era una grande attesa testimoniata dal fatto che gli abbonati “a scatola chiusa” erano oltre trentamila. Io ne ero il direttore e mi ero giocato tutto sulla scelta di dedicare la copertina non ad un giovane “smanettone” di successo, ma alla centenaria Rita Levi Montalcini. C’erano molte ragioni dietro quella scelta – che fu premiata dai lettori con un tutto esaurito in edicola – ma in particolare forse fu la capacità della professoressa di mettere sempre al centro dei suoi discorsi “il capitale umano”. Qualche giorno dopo incontrai il professor Riccardo Viale che aveva da poco coronato il suo sogno: far nascere in Italia una Fondazione dedicata all’innovazione tecnologica, formata da sette grandi aziende e con una presidenza ad honorem che più autorevole non si può immaginare, il Presidente della Repubblica.
Il vero fattore critico che determina la capacità di un paese di essere “innovatore” è la cultura
Con Viale convenimmo subito su una cosa: che l’innovazione dipende sì dagli investimenti, dalla politiche pubbliche e in una certa misura anche dal genio individuale; ma il vero fattore critico che determina la capacità di un paese di essere “innovatore” è la cultura. Il capitale umano, avrebbe detto Rita Levi Montalcini. Fu da questi ragionamenti che nacque l’idea di creare un Rapporto che analizzasse e misurasse la cultura dell’innovazione degli italiani. Nel giugno di quell’anno la prima edizione era pronta e la prima copia la consegnammo personalmente al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A rileggere oggi quello che scrivemmo allora viene da pensare che fummo facili profeti: il Primo Rapporto Cotec-CheBanca! fotografava perfettamente alcuni fenomeni allora nascenti.
Su tutti la centralità della rete e della rivoluzione digitale per le nuove generazioni. Per inquadrare il periodo, va ricordato che allora Facebook non era quello che è oggi, l’iPhone era nato da appena due anni e da molti era guardato con sospetto, non esisteva una app-economy e via così. Eppure già allora chiedendo gli under 24 a cosa non avrebbero proprio potuto rinunciare per vivere, la risposta era questa: la rete.
IL RAPPORTO TORNA
A quel primo Rapporto ne sono seguiti un paio di altri, l’ultimo lo consegnammo sempre a Napolitano qualche giorno prima della fine della mia direzione di Wired, nel giugno 2011. Poi più nulla. Un peccato, perché era uno strumento utile per capire chi siamo e in che direzione stiamo andando.
Quest’anno il Rapporto Cotec-CheBanca! sulla Cultura della Innovazione torna. Ne ho parlato qualche mese fa sempre con Riccardo Viale, che nel frattempo ha lasciato la Cotec; e poi con Claudio Roveda che della Fondazione presieduta da Luigi Nicolais è il motore; e infine con Chebanca!. Che c’entra Chebanca!, vi chiederete. Intanto è una startup del mondo bancario, e poi è nata digitale, sul web; infine dal 2012 è editore di un blog-magazine, Chefuturo!, che è diventato un punto di riferimento quando si parla di innovazione in Italia (disclaimer: ne sono il direttore).
IL 2016 A CURA DEL CENSIS
Il Rapporto 2016 è stato affidato al Censis, che davvero non ha bisogno di presentazioni quando si parla di analizzare i cambiamenti profondi della società italiana. Non spendo altre parole se non per dire che vorrei davvero che si creassero le condizioni per far sì che il Rapporto Cotec diventi un appuntamento annuale perché, e su questo siamo tutti d’accordo, senza cultura dell’innovazione non ci può essere innovazione.
RICCARDO LUNA