Ogni tanto vorrei stabilire lo stato di “raggiunta agiatezza” per quanto riguarda il digitale in Italia. Ringrazio colei che mi ha ispirato questo concetto. Mai mi permetterei di parlare male del mio Paese per partito preso, se non altro per il dovere morale che ho di prendermene cura, in quanto cittadino italiano. E’ la sensazione di disarmo però, quella che mi pervade ogni volta che mi confronto nella mia quotidianità con chi avrebbe i mezzi per cambiare le cose, ma non lo fa.
Credo che il digitale sia movimento e dinamicità, curiosità e soluzioni differenti ai soliti problemi. Credo che il digitale non debba avere “fissa dimora”, ma essere nomade, un fenomeno capace di contagiare tutti.
Raggiunta agiatezza dicevo. Quella orribile presa di posizione paralizzante di alcuni, che impedisce alle persone di cogliere l’utilità di una svolta digitale nelle azioni quotidiane.
Abbiamo raggiunto uno stato di agiatezza, caro Comune, quando ci gloriamo di avere accesso a tre hotspot che offrono il WiFi gratuito, se poi non possiamo navigare per più di un’ora, o se non spieghiamo come poterci collegare a questa rete.
Abbiamo raggiunto uno stato di agiatezza, cara Pubblica Amministrazione, quando rispondiamo “non ci sono soldi” per questo progetto, che magari è proprio un progetto (digitale) per risparmiare dei soldi. Ci dimostriamo fermi perché non incentiviamo le startup e anzi, le ostacoliamo. Fermi quando nessuno dall’alto, si prende la responsabilità di proporre una nuova, indispensabile, irrinunciabile mentalità digitale. Che vorrebbe dire andare un po’ controcorrente, rischiare, provarci. Viviamo però in un Paese in cui siamo disabituati a valorizzare il coraggio, seppur di persone che hanno coraggio ne conosco tantissime.
Coraggio, che significa “avere a cuore”, prendersi cura.
Con questo spirito ho provato a fare la mia parte.
Nel mio piccolo paese di ottomila anime (Casarsa della Delizia, Pordenone) ho sentito la necessità di insegnare agli anziani come usare un computer. Ho organizzato dei corsi, anche se non mi piace chiamarli così. Di base c’era l’esigenza interiore di trasmettere un “dono” a qualcuno. Quale dono? Il dono che io ho ricevuto in maniera innata, a causa o grazie all’età che ho. Il dono di padroneggiare le tecnologie digitali in maniera facile ed immediata. Allora ho sentito il dovere di trasmetterlo questo dono, di condividerlo.
Così l’ho fatto con le persone che nel mio territorio fanno più difficoltà a maneggiare queste cose.
A loro ho spiegato come funziona un computer, come scrivere una lettera, come navigare in Internet, come comunicare tramite la posta elettronica. Poi mi sono accorto sì di avere fatto una cosa utile, ma che ancora mancava di qualcosa. Per questo in occasione del Digital Day del 5 maggio in Friuli Venezia Giulia ho reso “insegnanti” alcuni anziani che in precedenza avevano seguito i miei “corsi”, e gli ho chiesto di farmi un regalo: “spiegate ad altre persone ciò che avete imparato”. Un trapasso di nozioni fenomenale. Il coraggio di chi ce l’aveva fatta assieme alla paura di chi voleva farcela
E’ stato bellissimo. Immaginatevi una signora di ottant’anni intenta a spiegare ad una sua coetanea che Internet tutto sommato serve, ed è bello ed è facile. E’ stata una cosa piccola, semplice, ma efficace. E’ stata una cosa che ha demolito lo stato di “raggiunta agiatezza” di cui si parlava, quell’assenza di stimoli che non permettono l’innovazione. E’ stato il modo per concretizzare il digitale, per dargli una forma ed un senso. Un modo per far sì che il digitale apportasse un beneficio immediato e tangibile. Aver dato degli strumenti tecnologici in mano a delle persone che prima non ne sapevano nulla ha creato in loro delle sicurezze e necessariamente delle nuove domande.
Quelle domande sono la mia, la loro, la nostra benedizione. Perché ogni domanda ci spinge più in là, ci mette in movimento. E ogni passo avanti, soprattutto se in ambito digitale, è un beneficio in arrivo.
Poiché siamo in estate e le scuole sono chiuse, mi permetto di dare io un compito per le vacanze a ciascuno di noi: interrompere lo stato d’agiatezza in cui ci troviamo, uscire dalla nostra zona di comfort e metterci cuore e mente, affinché un cambio di passo, seppur minimo, sia possibile.
Matteo TroìaUdine, 24.07.2014