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L’abito a energia solare. Così i wearables cambieranno la manifattura

lifestyle

Le tecnologie indossabili sono un ambito in espansione e non esiste giorno in cui non esca un articolo che ci racconta le meraviglie del prossimo accessorio intelligente che cambierà la nostra vita. Li chiamano “wearables” e stanno diventando sempre più indossabili sia grazie alla miniaturizzazione delle componenti elettroniche, per esempio dei sensori e dei microcontrollori, ma anche sempre più invisibili perchè si “embeddano” direttamente nei tessuti. Anzi sono proprio queste ultime che rendono ancora più interessanti:

finalmente possiamo abbandonare (almeno in parte) la plastica e il metallo e lavorare sui tessuti, magari riattivando anche tutto un percorso di tradizione manifatturiera italiana che, nonostante tutto, ancora ci invidiano.

E in questo contesto, tutto il mondo del DIY e dell’innovazione dal basso, di gruppi informali che si ritrovano in Fablab e Makerspace ma anche di micro imprese, è molto più sperimentale e dirompente delle soluzioni preconfezionate che invece ci presenta il mondo consumer tecnologico in senso classico.

Tra le varie limitazioni che non permettono uno sviluppo compiuto di tutto il mondo dei wearables, una è sicuramente la capacità delle batterie, ossia il modo in cui alimentiamo la tecnologia che portiamo in giro e credo che qualche indizio l’abbiamo raccolto tutti con l’esperienza dei nostri smartphone, non durano mai abbastanza.

SOLAR FIBER Uno dei progetti che potrebbe rivoluzionare il modo in cui concepiamo l’energia si chiama Solar Fiber. Si tratta di una fibra solare fotovoltaica flessibile che converte l’energia solare in energia elettrica. Il team che la sta sviluppando ha un’idea molto ambiziosa, intende realizzare un filato che può essere lavorato in tutti i tipi di tessuti, che potrà essere utilizzato in tutti i tipi di applicazioni dove attualmente vengono utilizzati tessuti, ma con il vantaggio di essere in grado di produrre corrente elettrica.

Ho conosciuto Meg Grant, una delle 4 fondatrici, ad un summer camp sugli etextile proprio l’anno scorso. Quando mi ha raccontato di Solar Fiber ho pensato che fosse un progetto interessante non solo per l’idea in sé ma sopratutto per la modalità in cui era nata e per come la stavano sviluppando. Invece che correre a brevettarla, erano fermamente convinti di rilasciarla in open source, perchè fosse accessibile a tutti.

Com’è nato Solar Fiber?

Meg: Il progetto è nato da una 4 giorni di brainstorming intitolata Waiting to Happen a cui ho partecipato a Utrecht in Olanda.

I primi tre giorni ci organizzavamo intorno a vari temi (stampa 3D printing, nano-tech e LED technology) prima seguendo lezioni di esperti e poi in una sessione freestyle di generazione di idee.

Il quarto giorno i gruppi di lavoro che si erano formati finalizzavano le idee che li appassionavano di più. Dutch engineering companies Philips e L&P Group, le due aziende che avevano sponsorizzato l’evento, e successivamente valutato le presentazioni, hanno assegnato il premio di €5000 a Solar Fiber per continuare a sviluppare l’idea.

E’ stato interessante perché il mio team composto anche da Marina, Ralf e Aniela non aveva mai lavorato insieme prima. Ci siamo incontrati per la prima volta durante l’evento e siamo stati fortunati a sentirci subito in sintonia.

Come vedi l’impatto di Solar Fiber nello sviluppo dei wearables?

In generale tutto ciò che è tessile è comune a tutte le culture e le sue applicazioni sono moltissime, quindi penso che il suo impatto potrebbe essere enorme. Proprio per questo motivo volevamo mantenere questa tecnologia open source così da poter giungere tra le mani di più persone possibile.In questo momento stiamo facendo prototipi con fibre ottiche e foto-diodi, e abbiamo un efficienza molto limitata. Questo significa che le applicazioni migliori potrebbero essere su tessuti molto ampi come tende e tendaggi,

Anche se la fibra da sogno che abbiamo in mente dovrebbe essere intercambiabile con un filato di cotone, la grandezza e la posizione dell’area del Solar Fiber influenzerà la quantità di energia che si può generare.

I designers dovranno creare abiti con aree sufficientemente estese e colpite da luce diretta.

Da un lato potrebbe voler dire muoversi in direzione di cappelli stile Royal Ascot, un ritorno delle gonne panier stile Luigi XVI o alle spalline che avevamo negli anni ‘80, ma sarei ancora più eccitata nel vedere strutture espandibili che possono essere aperte quando il sole splende e poi piegate o sgonfiate di notte.

E’ molto più comune imbattersi in progetti e dispositivi open source, ma quando si va su materie prime tecniche su cui magari tali dispositivi sono costruiti è molto più raro vedere un approccio “aperto” perché tendono ad essere brevettati o protetti in qualche modo. Perché?

Domanda interessante. Penso sia una combinazione tra costi di sviluppo e cultura. Il primo muro che abbiamo dovuto scavalcare nello sviluppare questo progetto è stato quello del costo dei macchinari (e dei laboratori) per creare e testare soluzioni. Se investi migliaia di euro in una macchina ad estrusione, cerchi tutti i modi possibili per recuperare quei costi. Anche i dispositivi richiedono macchinari costosi, e c’è l’hardware open source, che è la ragione per cui penso abbia a che fare con la cultura dell’industria manifatturiera e dell’accademia.

Capisco perfettamente le aziende che vogliono proteggere le proprie invenzioni e mi rendo conto che i ricercatori hanno bisogno di registrare brevetti per molte ragioni, ma sono convinta che in qualche caso lo si fa solo perché “si fa così” ma è necessario metterlo più in discussione.

Non ci sono molti casi come il vostro che vi facilitino il compito. Come state mantenendo questo aspetto di apertura? Come sta cambiando lo sviluppo del prodotto che di solito sarebbe protetto da un brevetto?

La nostra deicisone di mantenere Solar Fiber open source è rinforzata dal fatto che nessuno del nostro team vuole diventare produttore industriale di fibra fotovoltaica. Ci piace molto tutto il processo di innovazione e la creazione di nuove idee e di sue applicazioni.

Quando siamo entrati in contatto con scienziati per far evolvere la nostra idea, la maggior parte di loro erano sorpresi positivamente di questa nostra scelta, ma spesso non sono loro i decsion-makers.

E’ assolutamente possibile che quando lavoreremo con ricercatori di università e istituti riconosciuti probabilmente il lavoro sarà brevettato ma in quel caso il nostro ruolo cambierebbe. Diventeremmo sostenitori dell’uso illimitato di tale tecnologia. Quando ci si trova di fronte a un prodotto utile e potenzialmente dirompente, crediamo che debba essere disponibile per il maggior numero di persone. E’ la nostra motivazione più forte in questo progetto.

Solar Fiber in quanto progetto opensource è aperto alla collaborazione, come avviene?

Il modo in cui Solar Fiber sta diventando quasi più una community è attraverso le persone che ci contattano online. Abbiamo ricevuto offerte di collaborazione interessanti dalla Turchia e dal Belgio da tecnologi che la vedono allo stesso modo sull’’opensource e sulle energie rinnovabili. Recentemente uno studente della Design Academy Eindhoven (NL) ci ha chiesto se poteva usare la nostra fibra nel suo progetto di tesi. Oltre a darci la possibilità di avere un prototipo funzionante da mostrare ci ha spinto a raggiungere un processo manifatturiero più formale entrando in partnership con tessitori indipendenti e con un produttore tessile commerciale e tutto ciò sta sviluppando dei risultati molto interessanti.

Ank Hazelhoff, artista tessile, ci ha prodotto della fibra solare così che l’abbiamo potuta tessere insieme alle fibre ottiche. Anche in questo caso è stata una collaborazione che ha dato vantaggi ad entrambe – noi le abbiamo dato il materaile e lei ci ha donato (tanto) il suo tempo. Entrambe poi abbiamo ottenuto un tessuto di fibre ottiche!

Ci sono un mare di possibilità da esplorare e anche le imprese più grandi hanno voglia di sperimentare. In molti casi se parliamo direttamente con i tecnici e gli artigiani, la loro passione e curiosità viene prima delle domande rispetto alla proprietà e ai brevetti.

Solar Fiber Loom from meg grant on Vimeo.

Come lavorate al progetto se siete un team informale, avete un laboratorio e vi incontrate regolarmente?

Questo è un buon punto. Quando il progetto è iniziato, vivevamo tutti e 4 in tre differenti città dell’Olanda. Per fortuna l’Olanda è piuttosto piccola, quindi eravamo solo a circa due ore di viaggio di distanza. Ci incontravamo una volta al mese di persona ma quasi mai tutti insieme. La maggior parte delle nostre discussioni avviene via email e Skype e funziona meglio di quanto si possa immaginare specialmente perché questo è un side-project per tutti noi.

Come si vede da questa intervista, l’ambito di azione è sia teorico, di ricerca, ma soprattutto pratico perché necessita di prototipazione e sperimentazione continua. Se vi interessa interagire con questi argomenti, toccare con mano i possibili sviluppi e dare il vostro contributo, a Milano nel Makerspace WeMake stiamo muovendo i primi passi per sviluppare un’area ibrida che mette insieme sia la ricerca e la sperimentazione su tessuti e filati e il loro impiego con macchine per la prototipazione rapida come lasercut, stampanti 3d e macchine da maglieria; sia un’esplorazione di quelle tecnologie che le rendono intelligenti, tipo Arduino. Per ora stiamo incontrandoci una volta al mese a WeMake con l’Arduino User Group & Wearables Milano, con cui si può anche rimanere in contatto tramite mailing list.

Settimana prossima ospiteremo inoltre Riccardo Marchesi di Plug&Wear per un workshop che introduce agli Smart Textiles utilizzabili anche con Arduino e a giugno avremo ospiti il duo di designer italiani MHOX per un workshop di creazione di forme tridimensionali in tessuto prodotte con la lasercut.

Vi aspettiamo in una delle open night!

Milano, 19 maggio 2014ZOE ROMANO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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