L’agenda digitale alla prova di una nuova governance

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Suggerisco un metodo originale per capire il motivo che ritarda l’Agenda digitale italiana: vediamo quali sono i temi che sono andati avanti in qualche modo, negli ultimi mesi. E’ presto detto: le azioni per estendere la banda larga, le nuove norme per le startup innovative. Cioè le sole cose che non avevano bisogno di: concertazioni, accordi tra teste diverse, parole parole parole. E’ un nodo importante da tenere a mente proprio in questa fase in cui, con il nuovo decreto del Fare, cambia di nuovo la governance dell’Agenda.

Ah, e non ci sono dubbi che l’Agenda digitale sia in ritardo rispetto ai programmi del precedente governo. Non lo dicono solo gli esperti dall’industria, ma anche uno dei personaggi che nel Parlamento sono più addentro, operativamente, in questa vicenda: Michele Meta, presidente della commissione Trasporti e Tlc della Camera.

Proprio uno studio della commissione ha messo nero su bianco i ritardi dell’Agenda, in termini di decreti e regolamenti che mancano all’appello. Meta ha chiarito meglio le cose, però, con una dichiarazione consegnata a un convegno della scorsa settimana, curato dal Corriere delle Comunicazioni: «non posso fare a meno di denunciare un rischio, che vedo con preoccupazione dal famoso decreto dello scorso anno: il rischio di accontentarsi di avere scritto l’indice del libro. Chiaro, preciso, con date certe (così certe che alcune sono già scadute), ma con le pagine ancora vuote».

Più chiaro di così,,,

Sarebbe però populismo disinformato dire che tutta l’Agenda è in ritardo. La settimana scorsa è arrivato il primo bando di gara per fare un po’ di copertura con la banda ultra larga con fondi pubblici (in Campania; seguiranno entro luglio quelli di Basilicata, Calabria, Molise e Sicilia).

Poco prima sono partiti quelli che elimineranno il digital divide entro il 2014, a opera del ministero allo Sviluppo economico.

Si può dire che questo piano di bandi ha la coperta corta, che non ha ancora trovato fondi per il Centro-Nord (aspetta una nuova tornata di finanziamenti europei 2014-2020). Si può aggiungere che ci vorrebbero molte più risorse per completare le lacune, non indifferenti, dei piani banda ultra larga degli operatori rispetto agli obiettivi voluti dall’Unione europea (dare i 100 Megabit al 50 per cento della popolazione e i 30 Megabit al 100 per cento entro il 2020). Telecom Italia proprio nei giorni scorsi ha lanciato l’offerta nazionale Vdsl2 a 30 Megabit, in 25 città, con un piano per coprire il 35 per cento della popolazione entro il 2015.

Se lo sommiamo a quello di Fastweb e di Metroweb (i soli altri due soggetti che stanno costruendo reti a banda ultra larga) questa percentuale sale solo di pochi punti, visto che gli operatori tendono ad andare nelle stesse zone. Ergo gli obiettivi europei 2020 sembrano lontanissimi (più vicini nel resto d’Europa però come nota la commissione europea) e un sostegno pubblico sarebbe fondamentale per raggiungerli. Ma la scarsità di risorse su questo fronte è dovuta alla miopia del governo Berlusconi, che non ha scommesso un euro sulla banda larga. Quindi, nella palude complessiva dell’Agenda, questi bandi di gara sono una buona notizia. Una delle poche, tra cui anche le agevolazioni burocratiche per le startup e gli incubatori. Come si vede, sono il frutto delle poche norme che non richiedevano ulteriori interventi normativi dopo il Crescita 2.0 di ottobre 2012 o almeno che necessitavano di un’azione diretta di un singolo ministero.

E invece, proprio nel ramo infrastrutture, c’è uno dei ritardi più gravi dell’Agenda: il decreto attuativo che faciliterebbe gli scavi in fibra ottica e in grado quindi di aiutare gli operatori ad aumentare la copertura. Non solo: pure a ottimizzare l’utilizzo delle risorse pubbliche ora stanziate con i bandi.

«Il decreto scavi vede un confronto in atto tra Sviluppo economico, Trasporti, Anas e Comuni, ma dovrà essere affrontato in fretta», sostiene Meta. Va avanti da mesi, ormai, per un balletto di competenze. E per l’atavico bisogno di qualcuno di conservare il potere di decidere che cosa accade sulle strade italiane.

Ecco perché la governance è tutto. Ecco perché è fondamentale una figura che spinga i decreti e i regolamenti mancanti superando le resistenze di alcuni ministeri. O che imponga alla Pa locali di cedere le proprie competenze informatiche per assegnarle a un organo centrale in grado di razionalizzare sistemi e servizi. Chi farà tutto questo? La risposta non è ancora chiara ed è il principale problema dell’Agenda attuale. Il decreto Fare istituisce una Cabina di regia con vari esponenti sotto la diretta responsabilità della Presidenza del Consiglio e che si avvarrà di un Tavolo permanente presieduto da Francesco Caio, già super consulente governativo per la banda larga (ai tempi del governo Berlusconi, che però ignorò i suoi consigli dopo averli commissionati). Sarebbe stato meglio nominare un sottosegretario alla Presidenza, per snellire la governance (come suggerito da parlamentare bipartisan già prima delle ultime elezioni); ma forse le ragioni politiche degli accordi tra i due partiti di governo impedivano la nascita di una nuova figura.

Così abbiamo avuto una moltiplicazione di soggetti nella Cabina e nel Tavolo. A questi si aggiunge la già istituita Agenzia per l’Italia digitale, voluta dal governo Monti, che al momento sembra occuparsi soprattutto di Pa digitale. Da una parte è un bene che il nuovo governo abbia voluto prendere sotto di sé in modo più diretto le responsabilità dell’Agenda: è un fatto inedito, in Italia.

Dall’altra, non è chiaro come tuti questi tasselli si incastreranno. Come lavoreranno assieme cariche vecchie e nuove? Cariche volute peraltro da governi diversi e forse anche partorite sotto opposte visioni: non è un mistero che il cambio di legislatura abbia reso più complicato il lavoro all’Agenzia, ritardandone l’approvazione dello Statuto (il quale, quando scriviamo, è ancora in attesa di via libera alla Corte dei Conti dopo essere stato stoppato dalla Presidenza del Consiglio).

La speranza è che per una volta, sulle beghe di potere, prevalga l’interesse del Paese. Che di tempo sulla rivoluzione digitale ne ha perso già fin troppo e non può davvero più permetterselo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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