Questa fase dello sviluppo del digitale per il sistema Paese possiamo anche inquadrarla così: dopo la presa di coscienza, l’impatto con la realtà. Adesso tocca passare (e in fretta, pure) dall’entusiasmo alle mosse pratiche, concrete, che hanno bisogno di risorse e di infrastrutture di base, oltre che di una visione strategica politica. Sì, finalmente quest’ultima è arrivata: il premier Letta è stato il primo, nella storia d’Italia, a prendersi in carico direttamente lo sviluppo digitale. E a dichiarare che “l’Agenda digitale” (l’insieme di norme e applicazioni normative per questo scopo) è una “riforma dello Stato”. Non è insomma un dettaglio, un settore a parte, ma è qualcosa che cambia tutto. Questa settimana è arrivata l’ulteriore dichiarazione del ministro alla PA Gianpiero D’Alia, «l’Agenda digitale farà risparmiare 60 miliardi di euro, molto di più di una manovra finanziaria».
«Ecco, siamo a questo punto: dopo tanti anni di parole a vuoto, da parte degli esperti, siamo riusciti a svegliare il Governo. Adesso però l’Italia è, appunto, come una persona che si è svegliata dopo un lungo sonno: confusa, si guarda attorno, e deve ancora trovare la stabilità per correre verso l’obiettivo che ha individuato», riassume Paolo Ferri, dell’università Bicocca di Milano. «Si veda per la Scuola: Letta ha dichiarato che risolverà il problema dell’assenza di infrastrutture– solo una netta minoranza di classi ha internet. Ma lo farà mettendo il Wi-Fi con appena 15 milioni stanziati. Pochissimi, del tutto insufficienti», aggiunge.
La Scuola è solo uno dei capitoli con cui possiamo declinare questa fase, tra la consapevolezza e l’azione.
«Il Governo ad oggi può contare solo su 30-40 milioni di euro da investire per l’interoperabilità dei sistemi della PA.
Per tutti i nuovi progetti di digitalizzazione pubblica, dovremo aspettare i fondi della nuova programmazione europea 2014-2020», ha detto a un recente convegno di Business International Roberto Moriondo, rappresentante delle Regioni per l’Agenzia per l’Italia Digitale. Le Regioni saranno gli utilizzatori finali dei fondi europei.
Altro esempio, la banda larga. Sappiamo che gli obiettivi dell’Agenda digitale italiana è di dare a tutti gli italiani copertura banda larga base entro il 2014; entro il 2020, banda ultra larga a 30 Megabit a tutti e 100 megabit al 50 per cento della popolazione. Verificando la situazione con il ministero allo Sviluppo economico, risultano al momento disponibili 500 milioni di euro pubblici per questi obiettivi (a cui va sommato il contributo obbligatori degli operatori privati per almeno il 30 per cento del totale).
Bastano per il primo obiettivo eccetto che su Piemonte ed Emilia Romagna. Per il secondo, bastano (forse) per il Sud. Insomma, per quelle due Regioni e per la banda ultra larga del Centro-Nord il ministero conta ancora su quei mitici nuovi fondi UE.
C’è un bisogno essenziale di infrastrutture, che a loro volta richiedono fondi.
«Come sulle infrastrutture fisiche anche su quelle digitali il nostro Paese sconta un ritardo che danneggia le possibilità di crescita e di sviluppo, infrastrutture digitali che sono fondamentali per lo sviluppo efficace dell’Agenda Digitale, dalle smart communities ai sistemi di trasporto intelligenti al commercio elettronico», riassume Giuseppe Iacono, presidente di Stati generali dell’innovazione.
Quando si parla di infrastrutture, non riferiamoci solo a quelle hardware (reti, server). Ma anche a quelle software. «L’anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr) sarà un’infrastruttura software, perché regge tante cose per lo sviluppo digitale dell’Italia. Regge la possibilità delle aziende di avere un database razionale di nomi e strade su cui costruire un business, razionalizzare la logistica. E quindi è incentivo, per loro, a digitalizzarsi», dice Francesco Sacco, docente dell’università Bocconi di Milano e tra i collaboratori di Francesco Caio (commissario alla Presidenza del Consiglio per l’Agenda digitale). «Regge anche l’identità digitale, che a sua volta è un’infrastruttura che abilita servizi tra cittadini e PA. Non a caso, anagrafe e identità sono tra le priorità individuate da Caio per l’Agenda digitale», aggiunge.
La vision c’è, come si diceva. Adesso pensiamo ai fondi. «Non è un buon segno che nella Legge di Stabilità- secondo l’ultima bozza disponibile- ci sia tanto per le infrastrutture fisiche e pochissimo per il digitale. Appena la restituzione 20,7 milioni di euro che questo Governo aveva sottratto al piano nazionale banda larga», dice Ferri. Viene da chiedersi: davvero, per questi grandi progetti che sono il futuro dell’Italia (e che lo siano adesso lo dice anche il premier), dobbiamo affidarci solo, in tutto, ai nuovi fondi UE? Non dubitiamo che la neonata e dichiarata consapevolezza del Governo sia genuina: è strutturata in tanti progetti fattivi e in una struttura posta sotto Caio. Il dubbio è però che questo tardivo risveglio non venga subito supportato dai fondi che servono per un’azione pratica. «Lo stesso Caio e la sua struttura ci lavora nel tempo libero e senza compenso. Forse abbiamo bisogno di un impegno più consistente e formale, per l’Agenda digitale», nota anche Paolo Gentiloni (PD). Bene la svolta di consapevolezza, quindi. Attendiamo il resto.