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L’altra metà di Facebook: la vice di Zuckerberg e il futuro delle donne

scienze

Per combattere un nemico bisogna, prima di tutto, riuscire a individuarlo. E nulla è più sfuggente di un condizionamento culturale. Eppure sono proprio i condizionamenti culturali, ai quali tutti siamo esposti, che determinano parte dei nostri comportamenti e delle nostre decisioni.

Sheryl Sandberg. Foto: foxbusiness.com

Volete un esempio? Sheryl Sandberg, la numero due di Facebook, propone di riflettere su una vecchia storia che è un esempio illuminante sugli stereotipi di genere. Un padre e un figlio sono in macchina e hanno un grave incidente; il padre muore e il figlio è ammaccato in modo serio. Portato in ospedale, si decide che deve essere operato ma il chirurgo si rifiuta di farlo perché dice che il ragazzo è suo figlio.

Alla domanda su chi sia il chirurgo, più di metà degli interrogati comincia a immaginare complicate storie di relazioni extraconiugali con figli segreti piuttosto che pensare alla soluzione più ovvia: il chirurgo è la madre del ragazzo.

Quello che impedisce a metà delle persone di proporre la soluzione più naturale è uno stereotipo culturale grande come una casa:

nell’immaginario collettivo il chirurgo è un maschio, come sono maschi i capi, gli amministratori delegati e le persone potenti.

Sheryl conosce bene l’ambiente di lavoro della Silicon Valley, dove appena il 15% del personale tecnico è di genere femminile, e cerca i identificare i perversi meccanismi che generano questa disparità.

Se chiedete a qualunque responsabile delle risorse umane di un’azienda medio grande se nello scegliere i nuovi assunti ci sia una prevenzione ad assumere donne, nella grandissima maggioranza dei casi la risposta sarà negativa, assolutamente nessuna discriminazione. Tuttavia, richiesti di giudicare curricula costruiti ad arte per essere identici per età, preparazione ed esperienza, metà attribuiti a maschietti e metà a femminucce, hanno attribuito ai curricula maschili un punteggio superiore nel 27% dei casi e, qualora si fosse deciso di assumere la signora, l’offerta salariale è stata più bassa.

Per essere sicuri di non avere fatto errori involontari nella costruzione dei curricula da sottoporre all’esame, i ruoli sono stati invertiti facendo diventare femminili i CV che prima erano maschili e viceversa, con risultato identifico. A parità di tutto, in un caso su 4 il solo fatto di essere uomo si è rivelato un vantaggio. Il condizionamento culturale non colpisce solo il mondo industriale, le università hanno lo stesso problema.

E’ un fatto che le orchestre che hanno deciso di fare audizioni di candidati nascosti hanno subito visto aumentare la percentuale di presenza femminile.

Per non discriminare le donne e l’unica soluzione parrebbe essere l’anonimato. In effetti, una volta constatato che le richieste di finanziamento con responsabile donna hanno meno probabilità di successo di quello a responsabilità maschile, sono diverse le istituzioni che stanno considerando di rendere anonimi i formulari, almeno per il primo livello di giudizio.

Poi, chi ha passato la prima scrematura dovrà dare tutti i dettagli.

Purtroppo, il condizionamento culturale è trasversale e colpisce anche le giovani generazioni. Una ricerca su 14 milioni di giudizi anonimi sul sito RateMyProfessors.com mostra che la percentuale di professori geniali e brillanti è terribilmente sbilanciata dalla parte dei maschi.

Tutte le professoresse attive negli USA sono delle schiappe? Non è ragionevole pensarlo: semplicemente chi formula i giudizi si aspetta un comportamento diversi dai professori dei sue sessi.

Come succede per la valutazione dei curricula, comportamenti simili vengono interpretati con diverse chiavi di lettura. Quello che per un maschio è un pregio, per una donna può essere un difetto. Gli aggettivi usati per descrivere l’atteggiamento dei professori sono illuminanti: mentre i professori maschi sono autorevoli, le signore sono autoritarie. Avere una spiccata personalità è positivo per gli uomini ma negativo per le donne.

Non ci credete? Provate a inserire un nome o un aggettivo nel sito http://benschmidt.org/profGender e vedrete in che percentuale si applichi ai prof maschi e femmine nelle varie discipline. Provate a mettere genius, good, fanny oppure nice o gentle e vedrete come cambia la situazione. Se volete vedere le donne uscire vincitrici mettete bossy. Le prof americane devono dare l’idea di essere terribilmente prepotenti.

Che negli USA le professoresse piacciano meno dei professori è dimostrato in modo inoppugnabile da un’altra ricerca che chiede agli studenti di dare una valutazione di corsi online costituiti solo da materiale scritto. Gli studenti non hanno mai visto l’insegnante e non sanno se sia una uomo o una donna.

Per mettere alla prova le reazioni degli studenti, lo stesso corso è stato attribuito a volte a un maschio, a volte a una femmina. Ebbene, gli studenti che credevano che il professore fosse maschio hanno dato una valutazione più alta di quelli che credevano che fosse una femmina. Più chiaro di così…

La strada da fare è molta e la guerra ai pregiudizi è ancora lunga, ma vincerla andrebbe a vantaggio di tutti.

Sheryl Sandberg sostiene che la presenza femminile nelle posizioni che contano ha effetti benefici sul profitto aziendale: i risultati migliorano e i guadagni crescono. Le startup a guida femminile hanno maggiore possibilità di successo perché, secondo Sheryl, “men are more confident, women are more competent”.

Mica male come riflessione per l’8 marzo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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