Dopo la drammatica esperienza collettiva della pandemia, è utile prendersi una pausa per riorganizzare la propria vita piuttosto che tornare immediatamente al lavoro. A tal fine, la psicoterapeuta Esther Perel offre una struttura per resettare la cultura aziendale degli impiegati.
Esther Perel, l’analisi della psicoterapeuta sul ritorno in ufficio
La psicoterapeuta belga Esther Perel ha spiegato che, se un team di lavoro non si sente più una squadra dopo 16 mesi di attività a distanza durante la pandemia di Covid-19, non dovrebbe essere una sorpresa. Ma non significa che la cultura aziendale sia svanita per sempre.
Per alcuni dipendenti, il periodo di lavoro da casa, con le riunioni su Zoom accuratamente programmate e l’assenza del classico trambusto in ufficio, può essersi tradotto in una significativa spinta alla produttività.
Ma una simile circostanza potrebbe anche essersi sviluppata sacrificando lo spirito del lavoro di squadra e le capacità relazionali. La cultura di un’azienda, del resto, non si alimenta attraverso canali Slack ben etichettati o compiti Asana completati.
“Il problema con la comunicazione che abbiamo avuto nell’ultimo anno e mezzo è che è tutto prevedibile e controllato”, ha spiegato la psicoterapeuta Perel, che ha sede a New York. “Ti metti su una chiamata Zoom per discutere di qualcosa di specifico. Non c’è casualità, non ci sono idee che fluiscono liberamente, o cose che le persone condividono improvvisamente che ti portano in una direzione completamente nuova”.
Riaccendere la serendipità e le relazioni interpersonali in azienda
La mancanza di interazioni personali significative è dannosa per la cultura aziendale.
Con il tempo, i dipendenti possono iniziare a sentirsi non visti o non valorizzati – specialmente quando le esperienze e le sfide individuali nel corso della pandemia sono state intense e varie. “C’è la sensazione che la tua vita sia completamente diversa dalla mia, che tu non possa capire le mie sfide”, ha aggiunto Perel, descrivendo il modo in cui i dipendenti possono pensare ai loro manager o ai dirigenti dell’azienda.
Perel, che gestisce il podcast How’s Work?, ha riflettuto profondamente sulle dinamiche di gruppo in un mondo che tenta di tornare alla normalità dopo il Covid. Durante la quarantena, ha iniziato a riflettere su un antidoto alla serietà e allo stress della gestione della vita in isolamento – un modo per infondere spontaneità e giocosità nelle interazioni.
Ha ideato un gioco che pone domande e strutture per la narrazione di storie per un gruppo. Si chiama Where Should We Begin: A Game of Stories ed è stato lanciato il 7 luglio.
Mentre Where Should We Begin è adatto all’ufficio, Perel nota che non serve un gioco strutturato per iniziare a ricostruire i legami – o a riaccendere la serendipità e le relazioni interpersonali.
Prima di tornare in ufficio, ha dichiarato, i leader dovrebbero aprirsi per condividere le proprie frustrazioni e lotte con la loro squadra per favorire “la ricerca dell’esperienza comune e del senso condiviso della realtà – e ha aggiunto –. Tutti hanno subito un trauma durante la pandemia, anche se ha avuto un aspetto molto diverso per ogni persona”.
Le 4 domande che i grandi leader devono porre tornando in ufficio
“La resilienza condivisa e la resilienza collettiva possono quindi aiutare le persone a tornare indietro. Le conversazioni che devono avvenire in questo momento sono: ‘Questo non è normale'”, ha ribadito la psicoterapeuta.
Una volta tornati sul posto di lavoro, quindi, i leader dovrebbero prendersi il tempo necessario per permettere ai team di riorganizzarsi e trovare la loro posizione sociale, non solo per portare avanti i progetti.
Dovrebbero sedersi con la propria squadra, piuttosto che parlare immediatamente del progetto in corso, e chiedere:
- Qual è qualcosa che si è distinto per voi in questo ultimo anno?
- Dove sentite che la squadra ha dato il meglio di sé?
- Dove avete potuto davvero contare l’uno sull’altro?
- Quali sono le crepe nella squadra che hai notato?
Identificando le crepe nel sistema, si può iniziare a riparare. Perel, allora, ha citando Leonard Cohen, recitando: “C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce”.