L’economia della condivisione manca di una definizione condivisa. Così Rachel Botsman intitolava qualche tempo fa un suo articolo su FastCompany nel quale cercava di mettere ordine sul significato di Sharing Economy e dei tanti nomi che continuano a proliferare per descrivere un’economia che propone il riuso e la condivisione di beni sottoutilizzati.
L’economia collaborativa
In quell’articolo la Botsman spiega che cosa intende per Collaborative Economy, Collaborative Consumption, Sharing Economy e Peer Economy senza, tuttavia, dare un’unica definizione chiara e precisa di che cosa stia dentro e che cosa fuori. Un’impresa non certo facile. L’economia collaborativa è un mondo molto ampio di cui fanno parte le piattaforme digitali che mettono direttamente in contatto le persone ma anche il cohousing, il coworking, l’open source, le social street, fenomeni che al loro interno mostrano sfaccettature molto diverse pur promuovendo, tutte, forme di collaborazione fra pari.
Pratiche molto recenti che, probabilmente, prima di essere descritte in una definizione unica, devono maturare ed essere approfondite, e per questo potrebbe valer la pena di provare a definire i singoli “fenomeni” dell’economia della collaborazione per conoscerli meglio, per poi capire cosa mettono a fattor comune.
In questo post proviamo a chiarire meglio i confini dell’economia collaborativa digitale non pretendendo, con questo, di dare una definizione ma solo la descrizione di una fenomenologia che fa parte dell’economia collaborativa in senso più ampio. Conoscere e capire di più il fenomeno dell’economia collaborativa, arrivando anche a definire che cosa sta dentro e fuori, aiuta, a nostro avviso, a far chiarezza e a far crescere i servizi.
L’economia della collaborazione digitale, dunque, promuove lo sfruttamento a pieno delle risorse grazie a tutte quelle piattaforme che mettono in contatto le persone per affittare, condividere, scambiare, vendere beni, competenze, tempo, denaro, spazio; promuovendo nuovi stili di vita che prediligono il risparmio o la ridistribuzione del denaro e la socializzazione.
Le caratteristiche dell’economia collaborativa
I servizi che rientrano in questo perimetro possiedono, così, le seguenti caratteristiche:
1) Promuovono lo sfruttamento pieno delle risorse incoraggiando l’accesso invece della proprietà e il riuso invece dell’acquisto.
2) L’azienda che li offre è una piattaforma abilitatrice; non eroga servizi o prodotti dall’alto verso il basso ma agisce da abilitatrice, non solo mettendo direttamente in contatto chi cerca con chi offre (modello “peer 2 peer”), ma anche diventando veicolo di reputazione, fiducia e appartenenza. Può offrire, inoltre, servizi di valore aggiunto disegnando l’ambiente in cui avvengono le interazioni senza però influenzare gli attori che sono abilitati.
3) Gli asset che generano valore per le piattaforme (beni e competenze) appartengono alle persone e non alla compagnia, come avviene invece nelle aziende tradizionali.
Gli stessi attori possono scambiarsi i ruoli, proponendosi in alcuni casi come chi offre e in altri come chi cerca.
4) La collaborazione è al centro del rapporto fra i pari. Le persone attraverso questi servizi entrano in relazione fra loro collaborando. Si può dire, quindi, che le piattaforme collaborative hanno sempre un valore sociale, anche quando lo scambio è mediato dal denaro. Si può collaborare mettendo in comune il bene temporaneamente senza modificarne la proprietà, o in maniera permanente cedendo la risorsa non più utilizzata. In entrambi i casi la transazione può essere mediata dal denaro, come per Airbnb, oppure no come nel caso di Couchsurfing.
Si generano così quattro aspetti della collaborazione: la condivisione quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la piattaforma non prevede transazioni in denaro (come Timerepublik); l’affitto, quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la transazione è mediata dal denaro (come nel caso di servizi come Airbnb, ma anche di cessione temporaneo di competenza come nel caso di Tabbid o anche Gnammo); lo scambio, quando si baratta una risorsa in cambio di un’altra senza intermediazione di denaro (servizi tipici di baratto come Baratto Facile, Zerorelativo), anche se lo scambio viene mediato da monete alternative (tempo, crediti) come nel caso di Reoose, Timerepublik, Sardex; la vendita se quel che si cede in maniera permanente è un oggetto usato (Sharoola, Subito.it, ma anche eBay prima maniera).
5) La tecnologia digitale è un supporto necessario: in tutti i servizi collaborativi digitali, le piattaforme tecnologiche, sotto forma di siti internet o app mobile, sono necessarie per abilitare questi servizi e renderli scalabili, utili, originali.
Non rientrano all’interno di questa fenomenologia, quindi, servizi come Car2go e Enjoy perché non sono peer2peer, ma gli asset appartengono all’azienda che li affitta ai cittadini facendo così più innovazione di mercato che sociale. E non vi appartiene neanche Uber Black (il servizio che utilizza autisti NCC) perché non mette in contatto privati con privati, ma cittadini con una categoria specifica di professionisti. Di contro fa parte dei servizi collaborativi digitali Uber Pop, il servizio lanciato ad aprile a Milano che permette a privati in possesso di autovetture di mettersi a disposizione di cittadini per muoversi in città.
MARTA MAINIERI e LORENZO BRAMBILLE