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Le consultazioni online dei cittadini: a che punto siamo?

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Nel 2012 si sono svolte le prime consultazioni online della storia del governo italiano. Già in primavera, Chefuturo aveva rilevato questa nuova tendenza delle amministrazioni pubbliche a usare Internet per attingere all’intelligenza collettiva di cittadini sempre più istruiti, connessi e insoddisfatti dei meccanismi tradizionali di rappresentanza; e ne aveva predetto l’accelerazione.

La previsione, per la verità, non era molto difficile. Più i cittadini sono istruiti e hanno accesso a un’informazione diversificata, più diventano riluttanti a dare deleghe in bianco ai loro amministratori. Il consenso politico diventa una risorsa scarsa e volatile.

In questa situazione è naturale per gli amministratori pubblici cercare di sentire il polso ai cittadini prima di agire, nella speranza di ridurre o azzerare e critiche a cui saranno sottoposti una volta che avranno preso le loro decisioni.

In Italia, poi, si è consolidata una percezione negativa della classe politica, che ha messo sotto stress il rapporto tra istituzioni e cittadini. Ma il peso della nostra situazione particolare non va sopravvalutato: la rappresentanza politica è in crisi dappertutto, e in tutto il mondo sviluppato il ricorso alle consultazioni in rete è in forte aumento. Mentre scrivo, ad esempio, è in corso la consultazione dell’Unione Europea sull’agenda digitale.

Come stanno andando queste consultazioni? Questi nuovi spazi per la partecipazione democratica sono progettati bene? Come li usano i cittadini? La qualità delle decisioni pubbliche è cresciuta grazie ad essi?

Tra quelle del governo italiano, vale la pena concentrarsi sulle quattro proposte dal Ministero per l’istruzione, università e ricerca. Sono forse le più avanzate per strumenti utilizzati, e segnano una curva di apprendimento.

Riguardano il valore legale del titolo di studio; sull’agenda digitale; i principi fondamentali di Internet per l’Internet Governance Forum; e Horizon2020, il programma dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione. Tutte sono state gestite dal Ministero per l’istruzione, università e ricerca. La prima si è svolta mediante questionario; la seconda e la terza mediante “ideario” (idee proposte dai cittadini, commentabili e votabili); la quarta ha usato sia il questionario che l’ideario. La prima ha prodotto 31.282 questionari (di cui 20.089 completi – fonte); la seconda ha prodotto 343 idee con quasi 2.000 commenti (fonte); la terza ha oggi 159 idee con 485 commenti (ma è ancora possibile inserire le une e negli altri sul sito, quindi non sappiamo quante siano state prodotte nei tempi previsti dalla consultazione); la quarta 133 idee con 500 commenti nell’ideario, più 6.242 questionari (di cui 1.970 completi – fonte).

Propongo di considerare una consultazione online ben progettata se soddisfa quattro criteri di minima.

1) Il problema è adatto. La partecipazione non è molto utile a quando si deve scegliere tra vie che si escludono a vicenda e che tendono a polarizzare il dibattito, tipo “Windows o Linux”. Nella comunità hacker, il brodo di coltura delle tecniche di collaborazione più avanzate al mondo, queste discussioni sono conosciute con il nome di “guerre di religione” perché non convergono mai, non importa quanto se ne parli. In questi casi è meglio votare, o decidere top-down.

Le consultazioni del governo soddisfano abbastanza bene questo criterio, perché riguardano problemi a forte contenuto tecnico, che richiedono di essere esplorati più ancora che una scelta pro o contro. L’unica eccezione è quella del valore legale del titolo di studio, argomento apparentemente tecnico ma che in realtà rinvia a due concezioni opposte del ruolo dello Stato.

2) Il processo è progettato con cura. Questa è una scelta difficile, perché avviene in uno spazio a molte dimensioni, e non proverò nemmeno ad analizzarla compiutamente. La cosa fondamentale nel progettare un processo collaborativo è che le scelte tecniche non sono dettagli di implementazione da lasciare al servizio ICT. Gettano un’ombra sul futuro del processo, perché la tecnologia non è né buona né cattiva, ma non è mai neutrale.

Da questo punto di vista le consultazioni del governo mi sembrano migliorabili. La scelta dell’ideario fatta propria dal governo (e da altre amministrazioni pubbliche nel mondo) ne è un ottimo esempio. Il software utilizzato si chiama Ideascale, ed è stato inventato in ambito aziendale. È stato pensato per raccogliere idee che non richiedono grandi discussioni (“ehi, dovreste fare questo modello di auto anche in verde scuro”). Il sistema funziona bene per sollecitare la creatività di chi lo usa (perché tutti possono vedere tutte le idee proposte, e farsi ispirare da esse), ma male per tenere traccia della conseguenze di fare una scelta piuttosto che un’altra. Pensate alle decisioni di bilancio: qualcuno dice “investiamo sulle scuole!” e ottiene molti voti – investire sulle scuole non può essere sbagliato. Ma questo non ci dice a cosa dovremmo rinunciare per avere le risorse da investire sulle scuole! Nel progettare un processo collaborativo bisogna come minimo controllare che le proprie scelte tecniche non introducano (e anzi compensino) i bias psicologici, che sono enormi e molto ben documentati; che siano matematicamente eque nella fase di valutazione delle proposte e decisione; e che inducano il cittadino a dare il meglio di sé. Per esempio, il Parlamento – una tecnologia collaborativa secolare – richiede ai propri membri di chiamarsi a vicenda “onorevoli colleghi”. Questa è un’esortazione; un ricordarsi a vicenda che ciò che unisce gli utenti di questa tecnologia è più importante di ciò che li divide, e spinge l’interazione verso un atteggiamento più collaborativo. Al di là delle scelte specifiche, non mi pare che ci sia stata una riflessione matura sullo strumento da utilizzare, anche perché almeno due delle quattro consultazioni (valore legale e agenda digitale) sono state avviate in tutta fretta (e questo è di per sè un brutto segno, visto che entrambi i temi sono sul tavolo da anni).

3) Vi è attenzione alla sicurezza e alla privacy. Alcuni cittadini non vogliono essere profilati, schedati, impacchettati in grandi database e venduti in blocco alle imprese per fini di marketing – e questo include alcuni dei gruppi sociali più impegnati, abili e motivati. Alcuni non si fidano di Google. Parecchi non si fidano di Facebook.

Da questo punto di vista, le consultazioni del governo presentano sia luci che ombre. Da un lato, il peggio della profilazione a fini commerciali (Facebook o Linkedin) è stato evitato; in più, i questionari sono ospitati da servers del MIUR, e quindi i loro dati sono molto sicuri. Molto più discutibile è il ricorso a Ideascale: l’azienda ha una licenza per le istituzioni pubbliche, e consente a chi crea una consultazione di esportarne tutti i dati una volta terminata. Però la sua privacy policy parla chiaro: sì, gli utenti vengono profilati, e l’azienda si riserva di usare questi profili per “promozioni mirate e offerte di marketing”. Il risultato, paradossale, è che per accedere ad un canale di partecipazione democratica in Italia bisogna accettare di essere profilati da aziende for profit americane.

4) La consultazione propone e rispetta un contratto sociale esplicito ed equo. Oggi ai cittadini si chiede di spendere tempo e intelligenza in molti esercizi partecipativi e collaborativi. Il risultato è un’inflazione delle occasioni di collaborazione. I cittadini non sono a libro paga del governo; il loro tempo dovrebbe essere usato con rispetto e moderazione, tentando di dare loro qualcosa in cambio. Questo qualcosa in genere sarà influenza e conoscenza. Influenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di influenzare questa decisione del governo. Conoscenza: in cambio dei miei sforzi, ottengo di capire meglio questo problema che mi riguarda. Qualunque sia il contorno preciso del contratto sociale in questione, credo che ogni esercizio collaborativo debba averne uno; e che esso debba comprendere un follow-up, in cui i cittadini vengono ringraziati e informati di cosa il governo ha fatto con il loro input, e perché.

Da questo punto di vista, ci sono più ombre che luci. Influenza: su nessuna delle quattro consultazioni (ho partecipato personalmente a tre di esse) mi è chiaro come il contributo dei cittadini ha influito sulle decisioni prese. Conoscenza: qui il giudizio è più sfumato. A me non pare di imparare molto partecipando alle discussioni e votazioni sugli ideari, ma forse è un problema mio. Quanto ai follow-up, per la consultazione sull’agenda digitale è stato pubblicato un documento di sintesi interessante, e uno corrispondente è stato annunciato per quella su Horizon2020.

Complessivamente, quindi, mi pare di potere dire che siamo a buon punto. Certo, molti aspetti del lavoro del 2012 possono e devono essere migliorati – a partire dalla consapevolezza delle conseguenze delle proprie scelte tecniche. D’altra parte solo un anno fa non era stato fatto ancora nessun passo per esplorare l’interazione online come canale di partecipazione democratica, almeno a livello di governo centrale! Inoltre, va considerato che l’Italia non risulta in ritardo rispetto ad altri paesi guida e all’Unione Europea, che stanno facendo i nostri stessi errori e anche peggio. Semplicemente, questo campo è nuovo, e dobbiamo inventarne il know-how. Avanti con giudizio, quindi. Speriamo di potere vedere miglioramenti significativi nel 2013.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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