Devo incontrare Federico nel tardo pomeriggio di un lunedì, a Roma, zona San Giovanni. All’incrocio fra via Gallia e via Licia. Non conosco la zona e ben presto mi accorgo di essermi persa, l’appuntamento è per le 18:30 e sono addirittura le 19:00. Squilla il cellulare e rispondo. “Sono Federico, ti sto aspettando, dove sei?”
Federico Palmaroli
Dopo dieci minuti riesco a raggiungere il posto, e finalmente mi trovo davanti al più grande fenomeno social degli ultimi mesi, l’ideatore della pagina “Le più belle frasi di Osho” (presente anche su Twitter con questo account), vero e proprio deus ex machina di una nuova comicità.
Ci presentiamo, entriamo in un bar, gli dico “preferisci che ti chiami Osho?”. “No, no” fa lui ridendo.
“Il mio nome è Federico, Federico Palmaroli”.
È un uomo gentile e dallo sguardo vispo, un po’ di malinconia gli vela gli occhi ma è sempre pronto a sdrammatizzare. Dopo aver ordinato da bere mi spiega che presto uscirà il suo libro. “Il 7 aprile” precisa. Io allora gli chiedo se è contento e lui risponde “sì, certo, sono contento ma anche un po’ sorpreso: chi se l’aspettava che da una semplice pagina facebook potesse nascere tutto questo?”
La pagina in questione conta infatti più di 310.000 iscritti, e ha una media di visualizzazioni che non scende mai al di sotto delle cinque o sei migliaia. Inoltre è stata ripresa già in vari in programmi tv (dal Trio Medusa Late Show a X Factor) e fra gli estimatori conta Nerì Marcoré, Claudio Santamaria, Giorgia Meloni, Martina Colombari, Valerio Mastandrea, Camila Raznovich.
“È nata poco più di un anno fa”, continua Federico, “esattamente il 23 febbraio del 2015. È da allora è stata una escalation perenne, un’ovazione continua di iscrizioni e condivisioni. C’è chi ha fondato perfino dei gruppi su WhatsApp, per aggiornare amici e parenti su quello che pubblico”.
Se non conoscete ancora ciò di cui sto parlando potete farvi subito un’idea. Vignetta dopo vignetta, sentenza (tragicomica) dopo sentenza, capirete immediatamente il meccanismo: a una foto di Osho, celeberrimo maestro spirituale indiano, viene affiancata una didascalia redatta in dialetto romano. “Una cosa che dall’esterno sembra semplice” dice il mio interlocutore, “ma che in realtà non lo è”.
“Cioè?” chiedo.“Be’, la battuta deve essere fresca ma non banale, deve essere comprensibile a tutti ma con originalità.
Deve accontentare la massa ma rispecchiare la mia individualità. In una parola deve essere veloce, e soprattutto sui social che sono pura velocità. Devo sempre prevedere una spalla, per facilitare al pubblico la comprensione, ma quella spalla in realtà non c’è. È immaginaria, ma per gli altri deve essere scontata.”
“Come costruisci i tuoi post?”“Vado a braccio. Scrivo sul momento, non programmo nulla e questo dà molta più autenticità e schiettezza ai contenuti.”Contenuti che spaziano dal calcio alla politica, dall’Isis a Papa Francesco, dalle carte di credito ai problemi di viabilità. Vediamo il volto barbuto del maestro che consiglia di andare al cinema, dire che i pomodori non sanno più di niente, imitare le corteggiatrici di Uomini e donne, interrogarsi sul tempo, provare un paio di scarpe…“Sai che diceva sempre Osho?”
“No”, rispondo. “Che diceva?”“Sii uno scherzo per te stesso, e sarai una benedizione per tutti quanti.”
“La pagina quindi si fonda su questo principio?”“Sì. La pagina ma anche un po’ la mia vita. Non vorrei mai prendermi troppo sul serio.”
“Quanto è stata importante per te la rete?”“Molto, anzi moltissimo. È stata e continua ad essere importante. Mi ha permesso di mettere in scena la mia vera natura di iconoclasta.”
“Ah sì?”“Certo, sono io il vero iconoclasta dei social, perché sono contro ogni tipo di immagine sacra, sacra in senso ampio, e Internet mi ha dato un palco per poterlo dire, per veicolare di continuo le mie distruzioni.”
Facciamo una pausa. Arriva da bere. Federico ha preso un bicchiere di vino mentre io un succo d’arancia.
“Devi capire che fare satira significa proprio questo: smontare il dogma per avvicinarsi a quello che davvero vuol dire. La distruzione è un tentativo di avvicinamento a una forma di verità, che nel mio caso coincide con un abbassamento della prospettiva. Più umanizzi, più fai ridere. E non c’è nulla di ridicolo in questo, anzi.”
“Attraverso la figura di Osho tiri fuori il lato più umano possibile delle situazioni?”“In pratica sì. E sulla rete l’umanità diventa ancora più fruibile, nonostante la virtualità, perché è tutto più veloce.”Facciamo ancora una pausa. Io e Federico finiamo di bere mentre parliamo ancora un po’. Scopro così che è laziale, che come me è fan dei Pink Floyd, che è un estimatore del futurismo e che è in disaccordo con Aristotele quando dice che l’ironia è la più alta forma di intelligenza. “Secondo me è l’autoironia” ribatte Federico.
“Perché hai scelto proprio Osho?” m’informo ancora.“Ti confesso che l’ho scoperto quasi per caso. Ma non libreria, sempre su Internet. Mi ha colpito subito. Guardalo attentamente, con quella faccia strana… È un Bin Laden buono. È un pazzo pieno di dolcezza. Coma fai a non volergli bene?”
Rido. Ridiamo.
“E se Osho è un Bin Laden buono, tu invece che sei?”
“Io sono una specie di Osho con una vis polemica un po’ pronunciata, che sui social dà il meglio di sé”.
ANGELA BUBBA