Tremate, tremate: le streghe sono tornate. E sono pronte a portare avanti i temi dell’empowerment femminile in modo nuovo. Non più con cortei, reggiseni bruciati, approcci iper intellettuali e obiettivi politici. Ma anzi con libri, film, tv, social network, campagne virali e strategie di marketing. In modo concreto, senza filtri, sfrontato e furbo. Finalmente consapevoli che per cambiare le cose per davvero bisogna iniziare dal basso e dal principio. Non per strada, bensì a casa e a scuola, a partire dalle bambine. E dalla loro educazione. Perchè purtroppo gli stereotipi di genere, sui ruoli e sulle possibilità è lì che iniziano a sedimentarsi. Ed è dunque da lì che devono venire scardinati e sovvertiti. È giunto il momento di #RedrawTheBalance (ridefinire gli equilibri) e dare alle giovani donne in erba più speranze, modelli, stimoli e forza per il loro futuro.
E dunque per il futuro e per il bene di tutti.
Mio papà dice che non posso diventare un ingegnere perché sono una donna. Cosa devo fare?
Un punto di partenza ideale di questa piccola rivoluzione lo possiamo trovare in uno scambio di battute avvenuto tra Emma Watson (attrice, femminista, attivista e portavoce della campagna #HeForShe di Un Women) e una sua giovane fan: «Mio papà dice che non posso diventare un ingegnere perchè sono una donna. Cosa devo fare?». Risposta: «Diventa un ingegnere». Era il gennaio 2015 e questo semplice botta e risposta si è trasformato in un piccolo manifesto per le adolescenti di tutto il mondo alle prese con la definizione del loro futuro e a caccia di modelli a cui potersi ispirare.
La macchina del cambiamento passa anche per i giocattoli
Ora, a un anno di distanza, sono tanti gli esempi che ci fanno capire come la macchina del cambiamento si sia avviata per davvero. E sta già portando i suoi primi importanti frutti. Gli ambiti operativi di questa nuova ondata di “empowerment per fanciulle” sono tanti e trasversali. I giocattoli, innanzitutto. Pensate alla nuova linea di Barbie, che pure con una buona dose di superficialità d’approccio, finalmente include body types diversi e professioni non solo ludiche e da femmina, ma anzi trasversali e contemporanee. Perchè dopotutto: #PuoiEssereTuttoCiòCheDesideri. Un altro esempio è Lego Academics, un account Twitter (totalmente UGC, creato da Donna Yates, fellow della Università di Glasgow) che racconta le vicissitudini di un gruppo di scienziate alle prese con il loro lavoro di ricerca, usando un set e dei personaggi Lego.
E così facendo contribuisce a rendere “normale” la figura della donna che si occupa di scienza. Oppure i libri, come testimonia l’incredibile caso del progetto editoriale Good Night Stories for Rebel Girls di Timbuktu Lab, una raccolta di storie di donne speciali e fuori dalla norma, dedicato alle bambine a caccia di modelli concreti e realistici (altro che Cenerentola e Raperonzolo) a cui ispirarsi. O, ancora, le azioni di comunicazione più corporate come quella fatta da Microsoft per #MakeWhatsNext, un progetto che oltre a dimostrare come siano tante – anche se poco raccontate – le donne scienziate e le inventrici, invita le bambine di tutto il mondo a cimentarsi anche loro con l’innovazione, rendendole consapevoli del potenziale che le aspetta e delle possibilità che, anche e soprattutto in quanto donne, hanno di fronte. E quelle portate avanti quotidianamente da enti e fondazioni come Girl Up della United Nations Foundation, Ragazze Digitali di EWMD, L’Oreal For Women in Science e tanti altri.
Un nuovo femminismo pop
E poi, l’entertainment, i media, la musica. Ovvero quei linguaggi universali capaci di catturare e trasmettere forza e ispirazione. Proprio qui sta, dopotutto, l’incredibile potenza e ricchezza di rimandi, riferimenti e profondità di Lemonade. Sempre qui troviamo tutta la potenzia di gittata e comunicazione di quelle attrici e personalità dello spettacolo che ormai da anni si impegnano per la gender equality al cinema e in televisione: Geena Davis con il suo Institute of Gender in Media, Reese Witherspoon con la campagna #AskHerMore, Lena Dunham con i suoi diari, le sue newsletter, i suoi tweet e le sue foto su Instagram. Potremmo continuare, ma questa manciata di esempi già basta per mostrare come quello che si sta poco a poco affermando è un tipo di femminismo nuovo, ibrido, impuro, pop, inclusivo e dal basso. Fatto non per inculcare dottrine e messaggi, bensì per esporre – attraverso il gioco, la comunicazione, i social media e i prodotti culturali – quelle che possono davvero essere le possibilità concrete, le scelte e le opportunità che le bambine e le adolescenti hanno davanti a sè.
Le donne vere e coraggiose in cui credere
Ormai è chiaro: tutto serve a promuovere un messaggio che ha bisogno di venire gridato a gran voce. Non solo Simone de Beauvoir, Silvia Plath e Virginia Wolf. Ma anche i Lego, le Barbie, Taylor Swift e Serena Williams. Anche il remake tutto al femminile di The Ghostbuster. E anche l’incredibile, pazza e probabilmente impossibile idea che il prossimo James Bond non sia il solito maschio carico di testosterone alla Daniel Craig, ma anzi una donna (e che donna): Gillian Anderson. Perchè è vero che l’educazione è il vettore di cambiamento più importante ed efficace che abbiamo a disposizione. Ma questa funziona solo se è in grado di parlare una lingua comprensibile e semplice. E di mixare modelli alti e assoluti ad altri che siano invece realistici, credibili, concreti, veri. Pop. E proprio per questo in grado di attecchire. Non servono le supereroine. Servono donne vere e coraggiose in cui credere. Di tutti i tipi.
FRANCESCA MASOERO