Legge o non legge Uber è il futuro, ed è impossibile fermarlo

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Quando a una persona viene impedito di parlare e noi non eravamo lì a difenderla, ci resta un debito nei suoi confronti. Specie se è stata zittita con modi brutali e se è una donna.

Non conosco Benedetta Arese Lucini, manager di Uber che a Milano ha subito la vergognosa aggressione da parte di un gruppo di tassisti, lo scorso fine settimana al Wired NextFest 2014. A lei va tutta la mia solidarietà.

Altri hanno scritto condannando una violenza ispirata da un tentativo anacronistico. Usare la prevaricazione e aggredire una persona per fermare una nuova tecnologia, invece di considerarla un’opportunità da sfruttare guardando al futuro, dovrebbe di per sè preoccupare chi ha a cuore l’innovazione sociale. Ma la sfida Uber-tassisti, con il paralizzato imbarazzo delle autorità, ci coinvolge molto più a fondo e tocca il cuore dei problemi dell’Italia.

Perché l’abitudine a difendere ferocemente interessi di un gruppo, un partito, un clan a scapito di quelli collettivi, fa parte di un modo di pensare settario e assai diffuso, in cui contano i diritti di parte e non quelli comuni, l’appartenenza e non il merito. E’ questo che mortifica il talento e frena i cambiamenti.

Così il mio debito nei confronti di Benedetta lo pago a modo mio: raccontando storie di persone, che mi sembra il modo migliore per far volare le idee.

La prima persona è David Weinberger (ritrovato all’evento Wired lo scorso anno), guru di Harvard e autore del celebre ClueTrain Manifesto, che ha analizzato l’impatto del web su aziende, consumatori e organizzazioni.

Era il novembre 2007, io lavoravo a Reuters e la mia intervista a David era stata ripresa dalla brava Caterina De Iorgi per Blogosfere

Siamo all’inizio di una rivoluzione, aveva detto il guru.

“Di sicuro i consumatori ci guadagnano parecchio avendo informazioni molto migliori … ma buone notizie anche per le aziende che hanno buoni prodotti. Brutte notizie invece per quelle che ne hanno di cattivi: perchè lo scopriremo”.

Mancavano poche settimane all’inizio di quello che pensavo sarebbe stato solo un proficuo periodo di aspettativa, con famiglia in California da gennaio a luglio 2008. C’erano ancora mille incognite, su come organizzarsi e cosa fare. Certo non mi aspettavo che la nascita di Italiani di Frontiera diventasse pure un percorso di non ritorno, esistenziale e professionale, diventando il mio nuovo lavoro. E le parole di David le ho ritenute d’ispirazione, per un progetto multimediale che si regge sul rapporto interattivo attraverso i social media con chi lo segue.

E sulla reputazione, nella trasparenza dei contenuti.

La seconda storia riguarda un gruppo di fantastici imprenditori e amici, protagonisti dell’Italiani di Frontiera Silicon Valley Tour 2013. Che con lo spirito giusto hanno reagito con battute e ironia all’unico inconveniente, nel viaggio di cui io ero la guida: qualche chilometro di marcia forzata a piedi verso il ristorante, nemmeno troppo in periferia, scoprendo così insieme, l’unica volta che non avevamo il pullman a disposizione, che a San Francisco in diverse zone della città trovare un taxi è un’impresa. Ci sono oltre 30 compagnie, alcune molto piccole, gli autisti sono in buona parte immigrati, con margini di guadagno molto bassi. Mentre Uber, che ti consente di scegliere una delle auto che circolano nella tua zona mentre le vedi muoversi sul display del tuo telefonino, arriva in pochi minuti ovunque, come un altro bizzarro servizio, l’auto “con i baffi” di Lyft, che consente a chiunque di proporsi per darti un passaggio a pagamento.

Intendiamoci, Uber ha provocato polemiche anche fuori dall’Italia, è stata criticata per il mancato rispetto di regole locali anche negli USA e per la sua politica di adattare le tariffe alla domanda, alzandole dunque quando la richiesta è particolarmente elevata.

Ma io penso ci siano davvero pochi dubbi su quale sia il futuro. Su una strada tracciata assieme a Uber da altre imprese innovative, come Airbnb, che sta rivoluzionando il mondo dell’ospitalità facendo aprire in tutto il mondo le proprie case ad estranei.

E una delle persone che meglio hanno indicato già qualche anno fa questa cammino è Rachel Botsman giovane ricercatrice e imprenditrice, Che in due bellissime conferenze TED ha indagato a fondo su quel che chiama “consumismo collaborativo”.

Spiegando come le tecnologie che ci consentono di svolgere attività economiche con estranei, abbiano aperto uno scenario inedito, in cui la valuta di maggior pregio è la fiducia, generata dalla reputazione.

Come diceva Weinberger, buone notizie per chi ha buoni prodotti e può crescere grazie al feedback dei propri clienti, che ha un valore economico. Cattive notizie per chi ha prosperato in sistemi protetti, in cui a garantire il tuo lavoro era una corporazione, magari forte di una potente arma di ricatto, non la tua qualità professionale.

Io credo sia una strada di non ritorno. Serviranno a poco le barriere paventate mercoledì 21 dal Governo. E anche fra i tassisti, i primi che capiranno che occorre uscire dal corporativismo che difende anche gli indifendibili, che le tecnologie della trasparenza premieranno i migliori, saranno avvantaggiati.

Sulla carta, il tassista trasandato che qualche giorno fa a Roma mi ha trasportato guidando con davanti un filo penzolante e un cruscotto lercio, che uno spray avrebbe reso quasi decoroso in pochi secondi, conta quanto quello premuroso che a Milano, poche settimane prima mi aveva stupito, condividendo le mie idee sulle opportunità che le nuove tecnologie offrirebbero alla sua categoria, prendendo le distanze da tanti suoi colleghi.

Uber o non Uber, in futuro non sarà più così, si passerà dall’economia della Corporazione a quella della Reputazione. E dobbiamo augurarci che succeda presto.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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