“Ho visto cose che voi umani“: Blade Runner. “Be curious“: Stephen Hawking, cerimonia di apertura delle Paralimpiadi. Ci sono momenti, persone e film che entrano nell’immaginario collettivo e Londra è una delle città migliori per apprezzare quella ricca mescolanza che è la cultura pop. Momenti, persone, film, libri e canzoni sono la nostra storia. Siamo noi.
Non è solo suggestione da lune piene, né doveroso omaggio a una persona scomparsa: in questi giorni alle Paralimpiadi sembra spesso di sbarcare sulla Luna, intentendo con questa terreni inesplorati, meraviglie che non ci aspettavamo. Uno di questi momenti risale a ieri sera. Finale dei 100 metri alle Paralimpiadi. Un’ovazione alla presentazione di Oscar Pistorius. Addirittura un ruggito collettivo, una cosa oggettivamente da brividi, alla presentazione dell’atleta di casa, Jonnie Peacock.
C’era pure il precedente dei 200: Pistorius, il poster boy dell’evento, una delle cento persone più importanti al mondo, aveva perso e – troppo arrogante per essere vero e per essere lui – dopo essersi inchinato in pista davanti al brasiliano Oliveira, si era lamentato per le protesi dell’avversario. Poi, ha chiesto scusa in mille modi: da quello più semplice, si è di nuovo inchinato davanti al brasiliano in occasione della premiazione, a quello più evoluto, un messaggio di sincero pentimento via Twitter.
Congratulating Alan of Brazil for his 200m win.. The fastest last 80m I have ever seen to take it on the line. pic! twitter.com/sabrinaferri/s…
— Oscar Pistorius (@OscarPistorius) Settembre 3, 2012
Ieri, stadio olimpico pieno come un uovo, addirittura 6 milioni e 300mila davanti alla Tv in Gran Bretagna, una audience mondiale incalcolabile, milioni di televisori e PC connessi con la storia.
Pistorius ha perso, addirittura è finito ai piedi del podio. Ha vinto Peacock, 19 anni, e segnatevi il particolare. Secondo lo statunitense Browne, unico nero sul podio in una gara in cui di solito ai bianchi rimangono le briciole. Terzo un sudafricano, l’altro, quello che normalmente è condannato all’anonimato dal fatto di essere contemporaneo di Oscar: Fourie.
All’arrivo Oscar era felice come una pasqua, e non capita spesso di vedere un re sorridere quando gli tolgono il trono. Era felice perché aveva visto realizzato il suo sogno di aprire il mondo ai disabili e farli, finalmente, accettare. È stato battuto da un ragazzo di 19 anni, e lui ne ha solo 7 di più, cresciuto sognando di diventare Pistorius. E davanti a lui, come per un riconoscimento in vita, non solo la Gran Bretagna, ma anche gli Usa e il suo stesso paese.
Insomma il mondo.
Forse è per un difetto di prospettiva, visto che siamo qui, in questa Londra felice di mandare allo stadio e negli altri impianti paralimpici 2 milioni e 700mila persone. Forse è perché abbiamo pianto e battuto le mani pure noi per familiari, amici, ragazze sconfitte ma non vinte da malattia, soldati che hanno perso una gamba per una mina, per le tante persone che diventano disabili a causa dei motivi più diversi. Forse è per questo, ma non solo, che Londra ha consegnato al mondo uno di quei momenti che fanno la storia proprio perché condivisi.
Qui per ogni vittoria di un atleta di casa mandano al massimo del volume Heroes di David Bowie: “Possiamo essere eroi, solo per un giorno, possiamo essere eroi”. Pistorius quel giorno lo ha allungato e lo ha fatto diventare la vita di una generazione. Oggi ci sono i 400: può provare a vincerli, ma da ieri sera praticamente non perde più. Ha convinto il mondo che non si è disabili per quello che ci manca, ma siamo abili per quello che sappiamo fare. Ha portato il mondo nello stadio a vedere i sudditi che si ribellano al migliore dei re che hanno avuto: questo diceva il suo abbraccio a Peacok. Era un passaggio di consegne che il giovane nemmeno sapeva di aver già meritato. Oscar ci ha fatto vedere l’altra faccia della Luna, di cui non dobbiamo avere paura, di cui dobbiamo essere consapevoli, di cui dobbiamo occuparci.
Solo 100 passi per atleti che Channel4 ha chiamato superhumans, una grande corsa per tutta l’umanità.
Londra, 7 settembre 2012LUCA CORSOLINI