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L’eterno ritorno (al futuro): Italia-Germania non finirà mai

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Joachim Löw aveva lasciato il suo ritiro di Evian-Les Bains con l’illusione di essere guarito e senza pensare di imbattersi in novità. La novità invece è che come i suoi giocatori, Löw, pur non smettendo di essere un paranoico non ha aggiunto alla collezione un altro fantasma, stavolta hanno vinto loro.

La Germania campione del mondo è una macchina composta di grandi gesti agonistici, di perfezione tattica e incubi automatici

Alla vigilia di questo quarto europeo Joachim Löw era un ripostiglio di risatine secche, semitoni, sguardi imprecisi, rimozioni. Insomma un pazzo interessante, come Conte del resto. La Germania campione del mondo è una macchina composta di grandi gesti agonistici, di perfezione tattica e incubi automatici. Guasti, questi ultimi, che non possono essere riparati da un giorno all’altro, ma soprattutto incorporati su due piedi.

L’automatismo corrotto della Germania, il suo sistema mentale opposto, si è sempre chiamato Italia, lo sapevano loro, lo sapevamo noi. Löw, uomo mite e forse esageratamente modesto, già da secondo di Klinsmann in patria ha goduto di ottimo prestigio e di reputazione solida e duratura. Ieri, a poche ore dalla gara contro gli Azzurri ha fatto tutto quello che doveva fare. Timbro impersonale, in conferenza stampa ha detto di aver preparato al millesimo la partita, di aver controllato tutto, brecce, botole, sfiatatoi, insomma, di aver incartato il sorcio. Attribuendosi doti taumaturgiche, un po’ come quei guaritori che possono affermare di aver guarito casi di cecità isterica, ha anche rassicurato i tifosi giurando che i suoi avevano rimosso l’incubo-Italia, a suo parere fomentato dai media.

Tarcisio Burgnich

Dall’Azteca, nel loro immaginario, la nostra squadra non è mai più stata una squadra di calcio, ma una incursione governata da forze implacabili

Ripercorrendo il passato possiamo cogliere l’enorme risonanza metaforica che l’Italia del calcio ha sempre esercitato sui tedeschi. Dalla bruciante sconfitta dell’Azteca, contro l’Italia di Riva e Boninsegna, in Germania hanno continuato a vivere lo scontro nella tragicità della minaccia finale giudicando la realtà mai troppo realistica; da quella sconfitta, da quel Burgnich difensore invalicabile e per assurdo goleador, nel loro immaginario la nostra squadra non è mai più stata una squadra di calcio ma una incursione governata da forze implacabili, un mistero che a buon diritto avrebbero potuto definire destino, o più semplicemente, sfiga.

Marco Tardelli

Italia-Germania è un racconto cucito intorno a paure, ossessioni, elementi comici e pittorici

Il 4-3 di Messico 1970 rappresenta un classico nell’economia della trama di tante ItaliaGermania, un racconto cucito intorno a paure, ossessioni, elementi comici e pittorici.

L’urlo di Tardelli, registrato l’undici luglio dell’82 nella finale di Madrid contro la Germania di Jupp Derwall, Schumacher e Breitner, ormai lontanissimo, ad ogni vigilia si è riproposto come un eco. La smorfia di Tardelli è un mito dei nostri tempi, come la bistecca alla fiorentina, il viso della Garbo e le patatine fritte. Il brano più radicale venne però scritto nel 2006, al Westfalenstadion, davanti a 65mila tedeschi, 65mila persone che a fine partita si trasformarono nella micidiale estensione della loro incontrollabile paranoia. Quel giorno al centro del complotto c’era l’Italia di Lippi e Pirlo, Grosso e Gilardino. La semifinale mondiale aveva un destino scritto, Klinsmann Podolski e Ballack da quel giorno ripudiarono l’ortodossia freudiana che, attraverso uno staff di psicoterapeuti, li aveva accompagnati all’ennesima beffa maturata nel secondo tempo supplementare.

E ora? Ora che Löw e i suoi hanno smentito la storia, ma soprattutto la loro testa, crederanno alla moltiplicazione del miracolo?

ELIO PIRARI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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