Un lavoro invisibile e pericoloso
Negli ultimi anni, il lavoro di moderazione dei contenuti su piattaforme come Facebook è diventato sempre più cruciale, ma anche sempre più oscuro. A oltre 140 moderatori di contenuti di Facebook, impiegati da Samasource in Kenya, è stato diagnosticato un disturbo post traumatico. Questi lavoratori, che passano tra le 8 e le 10 ore al giorno a visionare contenuti estremamente violenti e disturbanti, si trovano a fronteggiare conseguenze devastanti per la loro salute mentale.
Le conseguenze della moderazione
Secondo un’inchiesta condotta dal Guardian, i moderatori hanno riportato episodi di svenimento, nausea e disperazione a causa della brutalità dei contenuti che sono costretti a visionare. Molti di loro hanno abbandonato improvvisamente le loro postazioni, incapaci di sopportare ulteriormente la pressione psicologica.
La situazione è ulteriormente aggravata da problemi di dipendenza da alcol e droghe, che hanno portato a rotture nei rapporti personali e a un aumento dell’ansia e della paura. Alcuni moderatori temono addirittura per la loro vita, preoccupati che i soggetti violenti dei video possano cercarli.
Disparità economica e condizioni di lavoro
Oltre ai gravi effetti psicologici, i moderatori di Samasource in Kenya affrontano anche una disparità economica inaccettabile. Tra il 2019 e il 2023, hanno lamentato di ricevere una retribuzione otto volte inferiore rispetto ai loro colleghi statunitensi, nonostante il carico di lavoro e la responsabilità che comporta il loro ruolo. Questa disparità non solo aggrava le già difficili condizioni di lavoro, ma contribuisce anche a un clima di frustrazione e impotenza tra i moderatori.
La risposta di Meta
Nonostante le evidenze presentate in una causa intentata dai lavoratori contro Meta, la società madre di Facebook non ha rilasciato alcun commento ufficiale riguardo a queste gravi accuse. Martha Dark, fondatrice di un’organizzazione britannica che segue il caso, ha dichiarato: “Le prove sono indiscutibili: moderare Facebook è un lavoro pericoloso che provoca un disturbo da stress post traumatico per tutta la vita a quasi tutti coloro che lo fanno”. Questa situazione solleva interrogativi importanti sulla responsabilità delle piattaforme social nei confronti dei loro lavoratori e sull’etica del lavoro di moderazione.