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L’Italia non è un Paese per innovatori. Modifichiamo le manovre

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In questi ultimi giorni è uscita la notizia che l’Italia non è più tra gli 8 Grandi, superata nel Pil dalla Russia. Ora è solo nona tra i grandi, ma entro 5 anni, se continua, così sarà fuori dalla top ten perché ben presto ci scavalcheranno India e Canada.

Qui non si tratta di classifiche per capire chi arriva primo alla fine del campionato. Il punto infatti non è se siamo dentro o fuori dal G8, in cui sono implicate moltissime altre dinamiche. O se è colpa dell’ultimo governo o di tutti quelli prima.

Il punto su cui focalizzarsi è un altro. L’Italia, nelle stime del Fondo Monetario Internazionale, nel 2014 avrà un PIL inferiore a quello russo. Punto.

Dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, quest’anno infatti la Russia sta compiendo ufficialmente il sorpasso nei confronti dell’Italia.

Ma sapete cosa vuole dire che l’Italia scivola di posizioni per Prodotto interno lordo? Il PIL è in estrema sintesi quello che produciamo all’interno del Paese. Qui stiamo parlando di noi. Di tutti noi. Delle nostre vite e di quelle delle nostre famiglie.

Del lavoro che, se non si produce abbastanza per il Paese e per l’estero, non c’è e non ci sarà, perché non c’è niente in più da produrre. Perché non cominciamo ad esempio a preoccuparci di produrre almeno quanto l’anno prima per non peggiorare ancora di più la situazione?

E’ necessario identificare un piano di sviluppo del Paese che tenga in considerazione delle manovre in grado di facilitare il salvataggio di molte PMI che stanno chiudendo a seguito della crisi che persiste nel nostro paese a differenza degli altri paesi del G8.

Basta questo per mantenere lo status quo? No non basta ma già aiuterebbe. E allora perché non si fa?

Dove altro guardare? Ho incontrato negli ultimi anni un numero impressionante di startup, poche realmente si sono trasformate in vere e proprie imprese nel corso del tempo, in quanto il nostro Paese non facilita certe dinamiche.

Ad esempio leggevo alcuni numeri in questo articolo: «L’Europa ha investito nel 2012 €36.5 miliardi in capitale di rischio (-19% rispetto all’anno prima) finanziando circa 5.000 aziende. E salta subito all’occhio il ritardo Italiano in questo campo, considerando che investiamo meno di un terzo rispetto alla media europea (0,07% del PIL rispetto al 2,6%). Ma colpisce ancora di più che la percentuale per il solo settore del venture capital è dello 0,004% del PIL in Italia contro lo 0,02% medio in Europa.

Dopo di noi solo Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Grecia e Ucraina. C’è un macroscopico gap da colmare: è la cruda realtà dei numeri». (fonte: Chefuturo). Questo per dire che per fare in modo che effettivamente le startup possano rappresentare una modalità per far ripartire l’economia, aumentare il PIL, creare posti di lavoro e così via, è necessario che vengano studiate delle iniziative in grado di supportarle efficacemente e non di lasciarle allo sbando o farle fuggire all’estero. Culturalmente siamo abituati un po’ ad arrangiarsi in un modo o nell’altro, ma ora non basta più.

Ben presto ci scavalcheranno altri paesi come l’India e il Canada. Questa non è una notizia senza conseguenze. Indolore. O che può passare inosservata.

Eppure siamo una nazione competitiva. Cosa ci manca?

Siamo competitivi, in termini di talento, capacità e realizzazione pratica rispetto al resto del mondo. Siamo un Paese DI innovatori, ma ad oggi non siamo ancora un Paese PER innovatori. La facilitazione dei processi di cambiamento nei confronti delle cariatidi. Ecco ad esempio cosa ci manca.

Abbiamo molta strada da fare ancora per poter essere terreno fertile per la nascita di una vera disruptive innovation o the next big thing qui in Italia. I nostri innovatori infatti si distinguono eccome appena vanno all’estero.

Quando abitavo a Houston ho conosciuto molti italiani che lavorano alla NASA e altrettanti nel miglior centro medico mondiale che ha sede lì. Queste non sono casualità. Sono persone, con un cervello, che ci mettono un impegno senza paragoni. E sappiamo benissimo che l’Italia è piena di persone così.

Ma abbiamo sprecato vent’anni di occasioni. Non ultimo l’aumento dell’IVA, mossa adatta ad affondare una qualunque economia, come quella Italiana attuale, in quanto in grado di contrarre ancora di più i consumi invece che rilanciare l’economia. Non a caso i dati ISTAT hanno subito rilevato un netto peggioramento delle condizioni a seguito dell’aumento dell’IVA. A ottobre l’indice del clima di fiducia dei consumatori è sceso a 97,3 dal 100,8 di settembre, dopo alcuni rialzi consecutivi.

Ovvero? Cosa facciamo in questo Paese? Un passo avanti e due indietro. E come volete che possa finire? Che finiamo indietro a livello mondiale. Ovviamente.

Il peggioramento infatti è diffuso a tutti gli indici rilevati dall’Istat, ad esempio il clima personale, che è quell’indice che si riferisce alle attese sulla situazione della propria famiglia, alle varie opportunità di risparmio e di acquisto di beni durevoli, al bilancio della famiglia, è in deciso peggioramento dal 102,4 al 98,1 di ottobre. E come potrebbe essere altrimenti. Gli italiani si vedono con meno lavoro e prezzi più alti per sopravvivere. Con che sguardo possono guardare positivamente al futuro?

Diamoci da fare con manovre correttive concrete per fare in modo di non scivolare ancora più a fondo. Perché se grave è che siamo un Paese DI innovatori, ma ad oggi non siamo ancora un Paese PER innovatori, sarebbe ancora peggio finire ad essere un Paese DI lavoratori e non PER lavoratori.

Non sappiamo come farle? Andiamo ad esempio a vedere i dati di chi ci sta col fiato sul collo: il Canada viaggia venti posizioni sopra all’Italia in quella dell’Ocse sul livello di istruzione degli abitanti, sessanta sopra in quella della Banca Mondiale per facilità di fare impresa e sessantacinque sempre sopra in quella di Transparency International sulla percezione di corruzione. Non mi sembra che siano variabili su cui non possiamo agire.

Cosa stiamo aspettando ad implementare ad esempio un’agenda digitale volta a ridurre questi ed altri gap che abbiamo? Prendiamo gli altri Paesi, guardiamo dove vanno meglio e correggiamoci di conseguenza. Ci saranno variabili relative agli altri Paesi come la crescita della popolazione o la disponibilità di materie prime sulle quali non potremo più di tanto agire (la Russia ad esempio è il primo esportatore di gas e secondo esportatore di petrolio dietro l’Arabia Saudita), ma ce ne sono molte altre su cui possiamo davvero fare qualcosa.

Scopriamo in fretta quali sono i gap sulle variabili su cui possiamo agire con azioni correttive, diamoci degli obiettivi difficili ma raggiungibili e soprattutto quantificabili, decidiamo un timing, tracciamo un deciso percorso di sviluppo e torniamo ad essere la nazione che ci meritiamo.

Senza entrare in eccessivi tecnicismi di micro, macroeconomia e politica economica, seguiamo le semplici regole che insegnano al primo anno di Economia. Ma soprattutto, se si vuole essere competitivi per davvero, credetemi, non ci vuole poi tanto, se non il buon senso, e la volontà di cominciare a farlo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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