in

L’Organization Design al servizio del benessere di chi lavora

default featured image 3 1200x900 1

L’altro giorno stavo cercando un libro un po’ tecnico in una delle poche librerie a conduzione famigliare rimaste nella mia città. Mentre il commesso stava verificando la disponibilità al computer il mio sguardo veniva attratto da un grosso tomo nella sezione “Economia e Management”. Il titolo era un accademico “Organizzazione Aziendale”. Ho preso il libro ed ho cominciato a leggerlo.

Credits: toyoilnewyork.tumblr.com

Non essendo parte del mio background di studi universitari, l’ho sfogliato pensando di trovare affascinanti teorie su come rendere efficienti i processi produttivi e aziendali. Quello che invece ci ho trovato è stata una carrellata infinita di schemi piramidali, flussi di produzione, e compartimenti stagni che comunicano tra loro solo in modo lineare e unidirezionale.Più andavo a fondo in quelle pagine, e più mi era chiara una cosa: i principi su cui sono state organizzate le aziende fino ad oggi sono la causa principale di inefficienze, sprechi e del fatto che ci lavora è sempre più spesso frustrato e insoddisfatto.

Eppure, una piccola breccia scalfita qualche anno fa all’interno di qualche reparto aziendale un po’ irrequieto si è trasformata in una voragine che oggi coinvolge la cultura interna di milioni di compagnie in tutto il mondo.

Dalle più piccole startup ai grossi colossi dell’energia, dell’IT, della manifattura, perfino nei settori della difesa e del campo bio-medico, tutte le aziende più innovative e attente al cambiamento stanno ripensando il loro modo di organizzare le risorse umane e i loro flussi di lavoro. Il tutto accade all’insegna della partecipazione e del coinvolgimento dei singoli dipendenti in decisioni che hanno un grosso impatto all’interno e all’esterno dell’azienda.

Una trasformazione epocale nel modo in cui sono configurati i ruoli e le responsabilità dei dipendenti.

Il “mantra” di riferimento oggi è che se i dipendenti hanno maggior libertà di azione, di organizzarsi e di decidere insieme agli altri colleghi, l’ambiente in cui si lavora è più creativo e sereno. Va da sé che tutto si ripercuote in modo positivo sulla produttività dell’azienda stessa. Ma questo è solo l’inizio di un grande cambiamento di paradigma che prende il nome di Organisation Design. Per saperne di più ho voluto intervistare per voi Paul Tolchinsky, co-fondatore dello “European Organisation Design Forum (EODF)”, il più importante evento europeo sul tema che quest’anno, organizzato da Cocoon Projects, è arrivato per la prima volta nel bacino del mediterraneo il 2 e il 3 ottobre scorso.

L’EODF ha ospitato alcune tra le menti più brillanti nell’ambito dell’Organisation Design, che oggi lavorano in grossi colossi europei o in dinamiche startup internazionali, nel settore pubblico come in quello privato.Lo scopo di questo evento è fare incontrare, in un contesto informale e creativo, persone, professionisti e aziende che stanno esplorando nuove prospettive sull’organizzazione aziendale.

L’evento è stato organizzato in OpenSpaceTechnology, dove ciascuno può proporre una sessione informale di un’ora e mezza su un tema caldo, confrontandosi con altri esperti e curiosi del settore.. E’ stato un successo sia dal punto organizzativo che dei contenuti, e di cui sicuramente parleremo presto su CheFuturo.

Ho chiesto a Paul Tolchinsky, co-fondatore di EODF, di raccontarmi come è nata l’organizzazione europea da quella americana.

«Quando arrivai in Europa – racconta Paul – ero allibito da come i consulenti aziendali lavorassero in modo totalmente sconnesso tra loro, senza molta collaborazione. Tutti facevano cose estremamente interessanti ed innovative, ma pochissimi si accorgevano che qualcosa andava storto. Sopratutto nessuno di loro sembrava imparare qualcosa da quella situazione. Negli USA, quando stavo imparando il mestiere, avevo creato un gruppo di consulenti, alcuni dei quali – tra l’altro – competevano tra di loro nello stesso mercato. Eppure, ci incontravamo non meno di una volta all’anno per scambiarci idee, imparando dagli altri e coltivando le nostre pratiche individuali e collettive.Così iniziai a desiderare qualcosa di simile in Europa. Con tutta la diversità di approcci al cambiamento delle organizzazioni, perché non dovremmo abbracciare noi questa diversità e diventare più forti mentre ci lavoriamo aiutandole a diventare più forti? Mi misi subito in contatto con i pochi a cui piaceva l’idea con la promessa di invitare ciascuno altre tre persone, e chiedere loro di fare lo stesso. Oggi siamo quasi 300!».

Come è cambiato il design delle organizzazioni negli anni? Quali sono i topic più caldi del momento?

«Il design delle organizzazioni, come teoria e pratica, ha le sue radici nella Rivoluzione industriale. Molti di noi ne identificano le radici con Frederick Taylor che propose di applicare al lavoro impiegatizio lo stesso approccio ingegneristico utilizzato nel design della catena produttiva. Dall’inizio dello scorso secolo alla Seconda Guerra Mondiale fu fatto un enorme progresso teorico, senza una reale trasformazione. Durante la guerra sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna finanziarono la ricerca pubblica sull’organizzazione del lavoro impiegatizio (ci serviva essere produttivi e di gran qualità pur avendo impiegati non tradizionali!). Da questa ricerca nacque la disciplina di cui ci occupiamo oggi. Oggi il focus è sulla rivoluzione dell’informazione, e sugli impatti che ha sulle organizzazioni e sul luogo di lavoro. Ho di recente scritto un articolo che parla di tre cambiamenti principali: il posto di lavoro è ovunque e a qualunque ora del giorno o della notte. Molti “vanno (ancora) al lavoro”, lavorando in fabbriche o uffici tradizionali, ma tanti altri non più. Vanno in spazi di co-working, in caffetterie, o semplicemente a casa propria. Questi nuovi luoghi di lavoro non hanno mura, orari per timbrare il cartellino, e quasi nessun tipo di controllo da parte dei superiori sul lavoro che si sta svolgendo. Le implicazioni per questo tipo di lavoro, sempre più on-line, autogestito e mosso dal reale valore che viene prodotto è enorme. Dobbiamo riconsiderare il modo in cui lavoro è configurato e come abilitarlo per operare con successo. Studiando e sperimentando modelli organizzativi distribuiti, connessi, agili e veloci, non è mai stato così importante per il successo dell’innovazione e per la sopravvivenza delle aziende.

La forza lavoro è cambiata! Le persone sono cambiate.

Tutti parlano di millenials e altre nuove generazioni. Sono differenti; lavorano in modo differente e sono la prima vera generazione guidata completamente da Internet, quindi quello che valutano importante e al quale sono interessati nel mondo del lavoro è sostanzialmente differente da quello dei baby boomers. Per ora queste generazioni non sono la maggior parte dei dipendenti delle nostre aziende. Molti posti sono ancora a doppio modello: under 35 e over 55! Abbiamo quindi la sfida di creare contesti di lavoro che siano interessanti per queste nuove generazioni. Comprendere le esigenze, cosa muove differenti tipi di persone a lavorare in modo soddisfacente è importante tanto quanto difficile è trovare il giusto equilibrio quando si tratta di reinventare le organizzazioni. La creazione consapevole del contesto in cui lavorano le persone è fondamentale.Il mondo è piatto, come disse qualcuno. Le organizzazioni oggi operano simultaneamente in paesi diversi con diversi fusi orari. La collaborazione è una chiave fondamentale affinchè il tutto funzioni bene. Se la tua è davvero un’organizzazione Pan-Europea, o “Globale” allora trovare modi di collaborare tra reparti e luoghi differenti diventa essenziale. Le gerarchie verticali rimangono importanti come meccanismo condiviso di governance. Sistemi orizzontali di organizzazione abilitano l’emergere di collaborazioni positive, sia tra uffici distribuiti in vari paesi europei che tra continenti».

Al momento le domande centrali della nostra ricerca in organisation design sono alcune basate su quello che ho appena detto. Cosa motiva e ispira la nuova generazione di lavoratori? Come cambiano e cosa rende divertente, interessante e pieno di significato un contesto di lavoro? Quali pratiche e principi meglio si applicano alla creazione e alla gestione di organizzazioni distribuite e connesse? Come possono le tecnologie che rendono l’informazione immediatamente disponibile e trasparente impattare positivamente l’individuo e l’organizzazione? Si dice che i wearables siano il futuro, e che ogni ufficio e ogni casa avrà le sue stampanti 3D… cosa significa per il futuro del lavoro?

«Al momento ci sono diverse scuole di pensiero, che in generale convergono tra loro. Le vecchie scuole, come quella dei Sistemi Socio-tecnici, o Requisite Organisations stanno integrando i loro punti di vista. Le nuove scuole, come Agile e Lean, o Holacracy stanno integrando nozioni di informazione e leadership distribuita nei vecchi contesti.La differenza maggiore sta nel focus. Alcuni si focalizzano sul ruolo della leadership e su come essa sia condivisa sempre di più facendo leva su tutti i componenti del team. Ognuno può prendere un suo pezzo di leadership in questa visione. Altri modelli si focalizzano sul flusso di informazioni e su come debba essere veicolato per arrivare in modo efficiente ai suoi destinatari. Altri modelli ancora si focalizzano sulle strutture e sui processi (sistemi più formali di altri). Il campo dell’organisation design prende le sue nozioni teoriche da varie discipline. Sociologia, psicologia (dinamica di gruppo e di team), ingegneria industriale (come è percepito il luogo di lavoro), e infine ovviamente l’Information Technology, sono tutte rilevanti per l’organisation design: tra loro differiscono soprattutto nel processo che seguono. Come un’organizzazione arriva dal punto A al punto Z è importante, e in alcuni tipi di processi innovativi vengono coinvolti i dipendenti insieme ai capi per decidere la migliore strada da percorrere. Altri approcci coinvolgono soprattutto i manager in processi decisionali a cascata. Il sistema Whole-Scale Change coinvolge l’intero sistema, mentre l’OpenSpace è aperto a chiunque voglia partecipare».

Cosa limita il cambiamento?

«Il maggiore limite che vincola il potenziale delle organizzazioni è la riluttanza al cambiamento, a lasciare andare le vecchie abitudini individuali e di leadership. Alcuni non comprendono le esigenze che le persone hanno. Altri pensano che il successo sia radicato nel passato e nell’onorare vecchi modelli. Altri, invece, pensano semplicemente che ci siano sempre soluzioni migliori, limitando la situazione cercando sempre il meglio del meglio.

La mancanza di coinvolgimento ed interesse è scontata se non vieni coinvolto nei processi. Senti di appartenere a qualcosa se hai contribuito a creare quel qualcosa. Molti sistemi coinvolgono solo alcune persone nell’azienda, per prendere decisioni che hanno implicazioni per tutti, di conseguenza l’implementazione diventa poi difficile. La velocità è tutto. Una ricerca McKinsey mostra che più tempo un cambiamento richiede, più è difficile la sua implementazione. Coinvolgere le persone che vengono impattate può richiedere più tempo all’inizio, ma poi l’implementazione è molto, molto più rapida. E’ il concetto di consenso giapponese detto Nemawashi.

Infine, credo che il maggiore limite di una startup o di una grande azienda, sia la mancanza di una chiara visione di quale cultura aziendale e di quale tipo di organizzazione si voglia creare. Molti imprenditori si focalizzano sul prodotto, i mercati e i venture capitalist, ma pochi si focalizzano sulla cultura o sulla struttura che incarna le promesse e i presupposti del loro brand».

EUGENIO BATTAGLIA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

What do you think?

Scritto da chef

ambiente

Perché la sharing economy farà il successo di Expo (e 6 realtà da tenere d’occhio)

innovaizone

Noio volevan savuar…. l’Expo: 7 storytellers lucani a Milano con “Slurp”