Magna Grecia sfregiata: così a Capo Colonna il cemento affoga millenni di storia

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È da circa un anno che non visito Capo Colonna, a Crotone, a pochi chilometri dal centro abitato. Ricordo il posto come sempre occupato dalle erbacce, incuria e disordine ovunque, pannelli informativi sbiaditi e che risalgono forse agli anni ’90, e infine una passerella traballante che conduce all’area sacra.

Sembra incredibile, eppure è così che viene tenuto uno dei più importanti santuari della Magna Grecia.

Delle quarantotto colonne che costituivano il tempio di Hera Lacinia, risalente al VI secolo a. C., solo una è rimasta in piedi; e sta ancora piazzata lì su un promontorio a picco sul mare.

Magnifica, imponente, distante da tutto.

L’unica colonna superstite dell’antico tempio dorico di Hera Lacinia

Mi vengono in mente insieme alle recinzioni metalliche che la circondano, le bottiglie di birra seminate in mezzo alle cartacce, gli altri reperti del sito che affiorano dalla terra e un silenzio innaturale davvero sconcertante.

Anche se «di silenzio, a dire la verità, ce n’è poco in questo periodo», come m’informano dal comitato “Salviamo Capo Colonna”, che presidia l’area dallo scorso gennaio ovvero da quando una colata di cemento armato ha letteralmente invaso il suolo millenario.

MILLENNI DI STORIA SEPOLTI DAL CEMENTO

Più che sbalorditiva, la notizia diventa surreale se collegata all’intenzione di realizzare un parcheggio adiacente la chiesa della Madonna di Capo Colonna (situata nelle vicinanze del perimetro templare), allo scopo di migliorare l’accoglienza dei fedeli e di quanti vogliano godere del panorama del luogo. Informandomi scopro però che il sindaco Peppino Vallone, insieme alla Soprintendenza, ha precisato come non sia contemplata l’idea di un parcheggio, bensì soltanto la volontà di ottimizzare la fruizione del santuario.

Ma fatto sta che la decisione, più che mai scellerata, di pavimentare il sagrato di una chiesa, ha portato anche alla copertura di reperti eccezionali nonché di recentissima scoperta.

Nel corso delle trivellazioni cui il terreno è stato sottoposto, da settembre a dicembre 2014, sono stati rinvenuti i resti dell’antico foro romano: «una delle più importanti novità dal punto di vista storico e archeologico in Magna Grecia negli ultimi anni», secondo la relazione degli ispettori ministeriali in visita a Crotone; novità tuttavia non valorizzata in nulla se non dalla colata di cemento armato.

I resti dell’antico foro romano prima della colata di cemento

Nessuna comunicazione ufficiale è stata fatta, nessuna conferenza stampa, nessuno annuncio – neppure alla cittadinanza – di uno dei più significativi ritrovamenti odierni.

Dunque invece di pubblicizzare un simile evento, con tutte le ricadute positive, comprese quelle economiche, che avrebbe portato in un territorio poco competitivo come quello crotonese – e non per mancanza di vere ricchezze ma per cattiva gestione di queste – invece di puntare sulla rivelazione, dicevo, si è preferito l’insabbiamento. Un operato che senz’altro stride con quelli che, almeno sulla carta, dovrebbero essere gli obiettivi del progetto, il cui titolo è, cito testualmente, “Ampliamento della conoscenza della realtà archeologica e messa in sicurezza delle strutture portate in luce”.

Nulla di più eloquente, in pratica, e nulla di più distante dalla realtà.

Come sottolineato dall’esperta Margherita Corrado, che fin dall’inizio segue la vicenda, si tratta di «un’indagine funzionale a sapere non che cosa c’era in un’area mai stata scavata, bensì soltanto a renderla pavimentabile». È naturale allora, è logico chiedersi come in un posto già tenuto malamente, che non agevola il turista, abbandonato a se stesso, a cosa porterebbe una progettazione tanto screanzata, la quale poggia su materiali e soluzioni irrispettosi dell’ambiente in cui è inserita.

I resti dell’antico foro romano dopo la colata di cemento

E come se non bastasse, oltre allo pseudoparcheggio si devono considerare gli altri interventi messi in cantiere, allo stesso modo poco compatibili con la natura geologica, essenzialmente rocciosa, dell’area di Capo Colonna.

UNA TETTOIA “COME QUELLE DELL’AUTOGRILL”

I 2,5 milioni di euro stanziati, infatti, dovrebbero servire anche per la costruzione di una tettoia in acciaio, «una tettoia come quelle degli autogrill» precisa l’archeologa Corrado: in teoria per proteggere i preziosi mosaici presenti in loco, in pratica bucando irragionevolmente il terreno per otto metri di profondità.

La delicatezza estrema del sito, e specie dei suoi resti, ne è uscita perciò molto compromessa; senza contare che il pluricitato progetto non prevede, incredibilmente, il consolidamento e il restauro di quegli stessi resti da preservare. «Noi rischiamo» continua Margherita Corrado, «di avere alla fine la grande pavimentazione tipo parcheggio da un lato, la grande tettoia dall’altro, ma di non poter vedere realmente i mosaici e gli intonaci, così come non possiamo vedere quello che è venuto fuori dallo scavo».

Le strutture in acciaio in attesa di essere allestite

#SALVIAMOCAPOCOLONNA

Se finora ha resistito, è stato solo grazie all’intervento di alcuni crotonesi, i quali davanti all’avanzata di macchine scavatrici e betoniere non sono potuti rimanere indifferenti. Quello che potremo definire un movimento, ambientale e ancor prima culturale, nasce all’inizio tramite segnalazioni, e via via con proteste di massa, sit-in e veri e propri accampamenti in zona. Il comitato “Salviamo Capo Colonna”, che ha mobilitato e mobilita centinaia di cittadini con una pagina Facebook e con l’hashtag #SalviamoCapoColonna ha così portato avanti una battaglia piena di insidie, uno scontro dove la burocrazia stava per vanificare gli sforzi e in cui a perire era un patrimonio unico per la sua eccezionalità e bellezza.

Il web è stato dunque una cassa di risonanza, e non secondaria, per la diffusione della notizia, rimbalzando in questo modo nei programmi radio e tv, e permettendo a molti di avvicinarsi a un problema che sarebbe altrimenti rimasto ignoto.

Al momento, dopo ben due interrogazioni parlamentari al Ministro Dario Franceschini, dopo uno stop ai lavori ricevuto a fine gennaio e una ripresa ad aprile, con tanto di presidio da parte della Digos, e infine dopo un ricorso al Tar e l’intervento del Fondo ambientale italiano, i lavori sono stati sospesi.

Come previsto, nessuna ruspa ha disturbato la manifestazione collegata alla Madonna di Capo Colonna, le cui festività ricadono nel mese mariano e si sono quindi appena concluse: tutto è rientrato nel piano cioè nel contenimento e nell’accoglienza dei fedeli. E il cemento serviva proprio a questo, come risposto dal Ministero alle interrogazioni di alcuni parlamentari, ovverosia a reggere il peso della folla in preghiera radunata nello spiazzo durante la festa.

Ciò che adesso rimane, è una situazione oscillante e con poche certezze da parte delle istituzioni.

E sebbene risalga a qualche giorno fa la decisione di rimodulare il progetto, esso comunque continua ad arrancare e risultare incredibile per come è stato concepito: rimane una colonna piantata come un obelisco su di un prato atomico; rimangono importanti reperti esposti alle intemperie; e rimane un parco archeologico di ben quaranta ettari – con potenzialità enormi – che non riesce a decollare.

4 DOMANDE AL MINISTRO FRANCESCHINI (E A NOI STESSI)

Mi chiedo allora, ci chiediamo:

1. Come è stato possibile arrivare fin qui?

2. Come può uno sfregio simile essere stato approvato dallo stesso Ministero per i Beni Culturali?

3. Quanta leggerezza è servita per provocare una ferita tanto pesante (in un territorio già stremato)?

4. Quanta distrazione, quanta miopia, quanta tragica sciatteria occorre per promuovere un disastro del genere?

Una delle betoniere al lavoro nell’area di Capo Colonna

Qualora voleste visitare il luogo, troverete all’entrata un vecchio pannello arrugginito dove sta scritto, a caratteri cubitali, “LA TERRA, IL SACRO, IL MARE”: tutt’e tre cose che sembrano man mano scomparire, e a ritmi velocissimi, sgretolandosi sotto il peso di operazioni disumane e che non fanno altro che uccidere anziché salvaguardare. Poiché cementificare non significa valorizzare; ammodernare tanto selvaggiamente un luogo per pellegrini e coppie di sposini non vuol dire tutelare; camuffare non è proteggere.

Non è bastato il crollo di Pompei e il furto negli scavi di Ercolano, né tanto meno il degrado del Colosseo o la situazione pericolante nella Valle dei Templi.

Ora la traccia profonda dell’irresponsabilità italiana, la stessa che ha gettato quel cemento sul foro romano, trova nell’amministrazione del patrimonio crotonese una nuova opportunità d’espressione. E nonostante adesso, solo adesso, qualcosa inizi a muoversi nella direzione sperata, rimane comunque una grave violenza perpetuata ai danni del passato, di ciò che di più prezioso è rimasto, della potenza come della fragilità di quello che eravamo.

ANGELA BUBBA*

* Angela Bubba, calabrese di Mesoraca (KR), è scrittrice per Bompiani. Nel 2009 con il romanzo d’esordio “La casa” è stata la più giovane finalista al Premio Strega

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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