MAK-ER: Storia di nebbie, sfide creative e visioni di futuro

lifestyle

Tutto è iniziato in un pomeriggio autunnale, classicamente emiliano, con nebbia e umidità sopra i limiti del sopportabile. Era il 2014.

1. Flashback. In una stanza siedono il direttore di una società partecipata specializzata nelle politiche a supporto dell’innovazione, molto attento a quelle che vengono definite nuove tendenze (sempre pronto a lanciarsi in esperienze che altri riterrebbero troppo rischiose), un fablab manager, uno dei primi, con tante idee in testa (e qualche pregiudizio sul sistema istituzionale), infine io, “tecnico” della società di cui sopra, vittima di un senso di realismo sempre eccessivo e di una assenza totale di inclinazione creativa.

2. Che in quella stanza stia per succedere qualcosa è chiaro a tutti, ma esattamente cosa è forse solo abbozzato soltanto nella mente del fablab manager.

Inizia il dialogo. A complicarlo lessici e priorità che, a prima vista, appaiono diversi, “disallineati”. Poi dalle parole e dai concetti come fablab, maker space, stampanti 3d, open source, patrimonio di alcuni ma non di tutti i presenti, cominciano ad emergere esigenze e visioni comuni.

3. Il dialogo diventa condivisione su temi pressanti: la necessità di rilanciare la capacità di innovazione del territorio e di far ripartire il suo sviluppo economico; la percezione che nuovi attori dell’innovazione siano entrati in gioco, l’esigenza di comprenderne le potenzialità, la convinzione ormai diffusa che all’innovazione non corrisponda solo tecnologia ma anche creatività e disponibilità alla contaminazione e poi, infine, l’idea che attraverso lavoro e occupazione non si generino solo profitti ma anche valore sociale per tutti.

4. Il clima cambia. Dalla condivisione si passa alla “fertilizzazione” dei reciproci terreni di ragionamento, base essenziale per la generazione di nuovi approcci e nuovi progetti.

5. Usciamo da quella stanza con una sola e chiara convinzione: i sistemi che rappresentiamo devono trovare nuove formule di collaborazione allargandosi e facendo rete con chi nel territorio sta cercando di innescare meccanismi analoghi.

6. Da lì prende il via la storia di Mak-ER – la Rete della Manifattura Digitale dell’Emilia-Romagna, patrocinata da Make in Italy e supportata tecnicamente da ASTER.

Su richiesta del fablab manager si decide di attivare una prima mappatura delle realtà che si identificano nei modelli del fablab e dei makerspace. Basta un post sul gruppo Facebook “Fabber in Italia” una chiamata informale a un momento di conoscenza e condivisione e qualche settimana dopo ci ritroviamo a confrontarci nuovamente.

Questa volta non siamo più in tre, ma cinque volte di più.

MAK-ER: compito, svolgimento, start!

Il titolo del tema a questo punto è chiaro, bisogna partire con lo svolgimento. Tre le priorità che il gruppo, in nuce la rete futura, decide di darsi:

  • rendere questo momento di confronto un appuntamento fisso con l’obiettivo di scambiarsi informazioni su cosa in ogni territorio si fa e su come ci si sta organizzando, andando a rilevare competenze ed attrezzature già disponibili in ogni spazio attivo;
  • utilizzare la forza del gruppo per rafforzare la propria identità e capacità di comunicazione sul territorio e nel confronto con gli stakeholder che lo popolano, in particolare le istituzioni;
  • identificare ambiti potenziali di collaborazione per sviluppare progettualità comuni difficilmente scalabili dai singoli e per favorire, ma anche supportare, la nascita di nuovi fablab e makerspace sul territorio.

Quello che mi colpisce di più, quando ripenso a quella fase, è che a differenza di altri contesti cui sono più avvezza, in quelle riunioni non c’era bisogno di “settarsi” su definizioni unitarie, di perimetrare i rispettivi ruoli, di chiudere quello che si sta facendo in modelli o procedure.Non che la forma non conti anzi, la nostra funzione è proprio quella di aiutare il gruppo a rafforzare la disponibilità all’incontro con attori e linguaggi differenti – ma di certo i contenuti sono più potenti e la loro capacità di propagazione supera le attese e le singole resistenze.

L’open innovation ai box di partenza

Il gruppo inizia a strutturarsi. Si trasforma in una vera rete. Si dota di primi strumenti comuni. Discutiamo sul logo, sul sito, attiviamo servizi di assistenza legale e di supporto alla definizione dei modelli di business, organizziamo la partecipazione collettiva ad eventi di grande rilievo e presentazioni unitarie a pubbliche amministrazioni, associazioni imprenditoriali, scuole, laboratori di ricerca, mondo dell’associazionismo.

Arriviamo a co-organizzare una Mini Maker Faire a Rimini nel corso della quale viene lanciato il primo progetto collettivo della rete – Mak-ER’s Beach – con il quale ci proponiamo non solo di rispondere ad un fabbisogno concreto del territorio ma soprattutto di favorire un nuovo modello di filiera produttiva che vede i fablab protagonisti nella collaborazione con gli imprenditori e gli artigiani locali.

La percezione da parte del territorio della rete e dei suoi aderenti, ormai arrivati a quota 17, si fa più forte così come più forte si fa il senso di appartenenza dei singoli al gruppo e il rapporto di fiducia tra il gruppo e la società che rappresento.

Le istituzioni iniziano a prendere confidenza con questo nuovo mondo, si aprono spazi di riflessione comune, si comprendono le potenzialità della proposta, si inizia a riflettere su formule più o meno strutturate di sostegno. La rete viene coinvolta in maniera attiva sui progetti e raggiunge accordi operativi con operatori e istituzioni.

Un’esperienza che gli addetti ai lavori definirebbero bottom up, è riuscita a inserirsi nel sistema e a sollecitare azioni o almeno riflessioni nuove.

Tutto questo non è successo per caso o solo come conseguenza di quanto realizzato.

Change agents, Bologna, Italia

Nel frattempo anche il sistema è cambiato. Esperienze come le nostre hanno iniziato a strutturarsi in altri territori. Alcune istituzioni hanno iniziato a prendersi in carico il tema sperimentando azioni pilota. I mass media hanno iniziato ad appropriarsi di termini e obiettivi facendo impennare l’attenzione su queste iniziative. Insomma il contesto si è fatto favorevole.

Il valore aggiunto è che, però, noi siamo pronti a coglierne l’effetto positivo. Gli ormai due anni di lavoro svolto, a volte anche molto faticoso, ha permesso alla rete di definire la sua identità e di creare un patrimonio comune di conoscenze ed esperienze ora spendibile con forza su nuove opportunità e progettualità.

Questo non significa che il percorso avviato abbia raggiunto la maturità. Al contrario, con il contesto nel frattempo è cambiata la rete stessa. I suoi aderenti sono cresciuti – c’è chi ha scelto di mantenere un’organizzazione più vicina al modello originale, c’è chi invece ha deciso di proporre formule evolute di questo stesso modello – e assieme a loro nuovi quesiti e nuove sfide si sono delineati. Come permettere la sostenibilità di fablab e maker space, come gestire processi reali di open innovation con il territorio e in particolare con le imprese, come confermare il ruolo al momento appena delineato di questi nuovi attori nell’ecosistema regionale dell’innovazione senza deludere le attese create?

Molte le risposte e i modelli possibili. Una sola la via per scegliere quelle più efficaci. Quella stessa via che è stata intrapresa all’inizio di questo percorso, quella del confronto e dello scambio, quella della contaminazione e della cogenerazione.

Per questo la rete propone oggi una nuova sfida. Un incontro collettivo di fablab nazionali ed europei all’interno di un evento istituzionale, R2B2016 – il 9 e 10 giugno 2016 a Bologna, con l’obiettivo di lavorare fianco a fianco e arrivare a convergere su soluzioni condivise. ASTER, come all’inizio del percorso, ma questa volta assieme alla Regione Emilia-Romagna e all’expertise preziosa di Andrea Cattabriga di Makers Modena, ha reso in questi mesi la proposta fattibile attirando a Bologna esperti ed istituzioni di rilievo.

Di certo l’iniziativa è solo l’inizio di un nuovo percorso. Questa volta però la nebbia non ci sarà, l’umidità purtroppo temo di si.

BARBARA BUSI*

*Responsabile Unità Ecosistema dell’Innovazione di ASTER

PS. I protagonisti della storia appena raccontata sono moltissimi. Richiamarli tutti sarebbe difficile. Tra questi però non posso esimermi dal citare ovviamente tutti i fablab manager che sono l’anima della Rete e il loro rappresentante Francesco Bombardi, quello che ha fatto scattare la scintilla. ASTER e tutti i colleghi che ci sopportano e ci supportano tutti i giorni in questa iniziativa, tra cui in particolare Martina Lodi senza la quale tutto questo non sarebbe successo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

What do you think?

Scritto da chef

scienze

Il falso sbarco sulla Luna e il teorema della pizza della Nasa

lifestyle

Non bastano storia, arte, cucina. Come tornare primi nel turismo