Quella che sto per raccontare è la storia di un libro, appena pubblicato, e di un servizio ancora in versione “artigianale”. Entrambi si chiamano “Collaboriamo” e hanno l’obiettivo di divulgare i servizi collaborativi digitali (aka consumo collaborativo), servizi, cioè, che mettono in contatto persone con persone per scambiare, condividere e vendere direttamente beni, competenze, denaro.
La storia è cominciata durante un periodo di maternità. Proprio quella maternità che pensavo mi avrebbe portato lontana dal lavoro che, con tanta fatica, dopo le precedenti altre due maternità, mi stavo faticosamente riconquistando.
Appena rimasta a casa, tuttavia, mi sono subito resa conto che staccare la testa dall’operatività, dalle corse di tutti i giorni, mi avrebbe permesso di tornare a leggere, a pensare, e a rimettere in moto il cervello, come d’altra parte era successo durante le due astensioni dal lavoro precedenti.
Sono arrivata a pensare che le aziende dovrebbero favorire dei momenti in cui gli impiegati stiano a casa a pensare, non in vacanza, ma a leggere e a informarsi, per qualche giorno e poi ripartire, con nuove energie e nuovi pensieri.
In quei giorni, dunque, ho scoperto il libro di Rachel Botsman e Roo Rogers “What’s mine it’s yours”, nel quale si racconta come la crisi dei consumi, ambientale, e anche sociale, insieme al diffondersi delle tecnologie digitali, abbia portato al crescere e allo sviluppo di servizi come Airbnb, CouchSurfing, Swap, Zopa, Etsy, e tanti altri che pure nella loro diversità hanno in comune il fatto che sono piattaforme peer to peer, che promuovono un nuovo modello di consumo basato sull’accesso al bene piuttosto che sulla proprietà e sull’usato piuttosto che sul nuovo.
Ed è proprio ragionando sul valore di questi servizi, sui loro benefici, sulla loro crescita che una mattina, mentre spingevo il passeggino sperando di far addormentare mio figlio, a quel punto nato da qualche mese, ho pensato che sarebbe stato bello scrivere un libro per far conoscere questi servizi anche in Italia. Come solo poche volte nella vita succede, e dopo qualche rifiuto, il mio desiderio è stato valutato dalla casa editrice Hoepli che con mio grande piacere, misto a un po’ di stupore, mi ha dato il mandato per procedere.
Dopo il classico panico da foglio bianco, ho così iniziato a raccogliere storie: “Questi servizi mettono in contatto persone,” mi sono detta, “funzionano grazie alla loro partecipazione, è da qui che devo cominciare”.
Ho scelto dieci start up, cinque americane (Airbnb, Relayrides, TaskRabbit, Skillshare, Etsy), una inglese (Landshare), e quattro italiane (Fubles, Prestiamoci, Reoose, TheHub Milano) per capire le difficoltà e le opportunità di casa nostra.
Ognuna vuole essere rappresentativa di un mercato di riferimento (automobilistico, alimentare, turistico, artigianato, lavoro e così via), in modo da dare un affresco soddisfacente di come ognuno di questi servizi impatti nel settore di riferimento. Mettendo insieme queste storie mi sono accorta che queste piattaforme non propongono soltanto un nuovo modello di consumo ma anche un modo alternativo di muoversi (carsharing peer to peer o carpooling), di prestare (crowdfunding), di lavorare (coworking), di imparare, di viaggiare, di stare insieme, di mangiare e quindi di vivere.
E che questi modelli si portano dietro in genere tre grandi benefici: economico (perché riusando, condividendo e vendendo si risparmia ma anche guadagna), ambientale (perché di riutilizza quel che già c’è), sociale (perché permette di fare nuove amicizie).
Ho così realizzato che questi servizi, pur nella loro diversità, hanno non solo un modello progettuale comune (il peer to peer) ma anche un linguaggio e dei valori riconoscibili.
Sono infatti tutti servizi che oltre a prediligere l’accesso al bene piuttosto che la proprietà, lo scambio invece dell’acquisto, promuovono anche il servizio invece del prodotto, la fiducia verso sconosciuti piuttosto che la diffidenza, la collaborazione al posto della competitività, un approccio fluido piuttosto che strutturato, la filiera corta come alternativa a quella lunga e così via.
Ho così riscostruito il terreno comune di questi servizi che ho raccolto nella prima parte del libro -più teorica rispetto alla seconda, dedicata alle storie, che permette di più di connettersi più emotivamente al lettore – nella quale spiego il contesto in cui nascono questi servizi, cosa significa collaborare, chi lo fa, i benefici e le difficoltà, e quanto queste piattaforme siano diffuse in Italia. E proprio a questo proposito le cose negli ultimi mesi sono molto cambiate.
Quando ho iniziato il libro i servizi collaborativi in Italia si contavano sulle dita di poco più di una mano. Oggi ne ho contati più di 150 (compresi gli spazi di coworking) e sono in continuo aumento sia per numero sia per utilizzo. Nel nostro paese, come all’estero, oggi si condivide di tutto: la casa (Airbnb, Wimdu, ecc) la tata (Oltretata), il tempo (Sfinz, Tamtown), il cibo (Gnammo, Newgusto), la barca (Sailsquare), la bici (Okobici), le competenze (OilProject, SkillBros), la macchina (Blablacar), il denaro (Prestiamoci, Starteed).
Siamo forti anche nelle piattaforme di baratto, dove abbiamo una tradizione culturale piuttosto radicata, nelle aste online che, sulla scia di eBay, sono sicuramente le piattaforme più frequentate e conosciute, e nella mobilità, un settore in cui questi servizi stanno crescendo velocemente in tutto il mondo.
Ci sono servizi molto interessanti che propongono qualcosa di unico nel panorama internazionale come, per esempio, Openwear, una piattaforma collaborativa per la produzione di capi d’abbigliamento finanziata dalla Comunità Europea, Impossible Living, una mappa di edifici abbandonati pronti per il loro riutilizzo, ScambiaTreno che permette di scambiare biglietti del treno non utilizzati, Dropis e Sardex che sono monete virtuali la prima rivolta al consumatore finale, la seconda alle aziende della Sardegna.
Alcuni servizi, in genere i più vecchi possono vantare numeri interessanti come, per esempio, Zerorelativo che ha più di 70.000 annunci, Delcampe, un marketplace per collezionisti che dichiara più di 50 milioni di vendite in corso, Subito, con più di 54 milioni di annunci, Carpooling che annuncia più di 750.000 viaggi nazionali, Reoose che conta una community di 25.000 membri o Fubles che ha raggiunto più di 250.000 iscritti), ma in genere sono servizi molto giovani, nati dalla creatività, dalla passione, e anche dallo spirito di iniziativa dei ragazzi che spesso investendoci tempo e denaro sperano in un futuro diverso.
Anche per questo sono ancora servizi isolati, non c’è tra loro alcun tipo di coordinamento e non c’è quella consapevolezza che possiedono invece i protagonisti del consumo collaborativo negli Stati Uniti. Per questo, ma non solo, ho lanciato Collaboriamo.org Finito il libro mi sono posta il problema di come presentarlo sulla rete. Non volevo un semplice sito statico, una sorta di brochure del libro come spesso si fa, e ho quindi pensato, a mia volta, di creare una piattaforma nella quale mettere in contatto chi cerca un servizio e chi lo offre.
Collaboriamo.org, infatti, è oggi una semplice directory che ha lo scopo di riunire tutti i servizi collaborativi italiani al fine di dar loro visibilità e farli conoscere a un numero sempre maggiore di persone.
Per i consumatori potrebbe diventare un luogo dove conoscere nuovi modi per vivere e fare la spesa, dove leggere le esperienze di chi ci ha già provato, dove conoscere le opportunità offerte da modelli collaborativi. Per i servizi, invece, potrebbe essere il luogo attraverso il quale far nascere collaborazioni fra le diverse piattaforme e per questo insieme a Simone Marini di Sailsquare abbiamo iniziato a organizzare una serie di incontri.
Per tutti si spera possa diventare il luogo dove far crescere e diffondere consapevolezza su nuovi e diversi modelli di consumo e di vita. Spiegare bene i benefici di questi servizi, sensibilizzare sui temi legati alla condivisione, al riuso e alla vendita diretta, sottolineare il fatto che si è parte di un movimento che condivide valori e anche opportunità, aiuta a sensibilizzare le persone, ma anche la stampa, a far crescere i servizi e a sperare in un futuro migliore.
Così oggi mi ritrovo ad essere da autrice a startupper, due ruoli in cui, fino a poco tempo fa, non avrei mai immagino di ricoprire. E in queste vesti sto già iniziando a sperimentare tutto le fatiche dei tanti startupper italiani. Passione, curiosità, tanta voglia di fare che si scontra con la mancanza di tempo, soldi e aiuto. Tutto questo, però, probabilmente, fa già parte di un’altra storia.
MARTA MAINIERI