Il mercato globale delle mascherine filtranti aveva già superato nel 2018 i due miliardi e mezzo di dollari. Possiamo solo immaginare a quanto sia arrivato oggi se a gennaio, prima dell’allarme Coronavirus, s’era già impennato in Italia del 900% secondo i dati di Iqvia, registrando nella settimana del 27 un fatturato di 385mila euro contro i 30mila della precedente. Ffp2, Ffp3, N95, Kn95, con o senza valvole: tra nuove società e linee di produzione spuntate ovunque sul pianeta, il settore si è rivoluzionato così velocemente che è difficile avere stime certe e aggiornate sui volumi raggiunti dall’offerta di mascherine tecnologiche. Solo 3M, multinazionale leader delle mascherine, ha raddoppiato la produzione a un miliardo di pezzi l’anno, quasi 100 milioni al mese.
Tutte le mascherine tecnologiche in arrivo sul mercato
Non è vero che quella italiana fosse del tutto assente prima del Covid-19 e gli approvvigionamenti dipendenti esclusivamente dall’export. Diverse aziende straniere erano e sono attive nel nostro paese nel campo dei dispositivi di protezione individuale – incluse tute, occhiali e cuffie – tramite l’ecommerce o catene specializzate.
Come la neozelandese Metamask, che finora ha fatto affari soprattutto in to in Asia; o la statunitense Klopman, che da 60 anni ha la base a Frosinone: 1 divisa da lavoro su 3 in Europa è fatta coi suoi tessuti e adesso lavora al “vestito del futuro”, comodo e impermeabile a germi e batteri. Non mancavano inoltre le realtà autoctone. Come le milanesi Banale e Bls o la romana Dpi Sekur, che ha 4mila clienti in 40 paesi e fornisce anche autorespiratori e semimaschere: già a febbraio aveva annunciato di aver esaurito in 10 giorni le scorte di 10 anni, rivolte fino a quel momento solo a forze dell’ordine, pompieri, tecnici del gas, operai di enti pubblici.
L’offerta c’era, ma per un pubblico di nicchia.
Ad esempio la mascherina trasparente, che mostra la bocca, utilizzata da anni per comunicare con sordi o disabili con disturbi linguistici: progettata dal Politecnico di Zurigo e dall’EssentialTech Center, porosa come le normali e biodegradabile, presto sarà realizzata su scala industriale col nome HelloMask.
Il fuoco incrociato di articoli nazionali e stranieri sta divorando oggi una domanda su cui tanti imprenditori si sono buttati a capofitto inventandosene di tutti i colori, forme e dimensioni.
C’è tuttavia ancora ampio margine per novità tecnologiche interessanti, e sicure, ora che il business della farmacia si è normalizzato, la bolla di consumi sgonfiata, le speculazioni ridotte e la quantità può cedere il passo alla qualità.
L’innovazione più ingegnosa è la mascherina elettrica dell’università dell’Indiana, in tessuto cosiddetto “elettroceutico”, che rilascia una piccola carica elettrica – innocua per l’uomo, letale per il virus – in presenza di umidità come quella da droplet: una specie di ragnatela metallica antivirus, integrata nel poliestere. La polacca Lekko si porta avanti e per l’inverno propone un’intera sciarpa protettiva, con mascherina interna incorporata.
La giapponese Pitta è ricavata da un materiale esclusivo: un poliuretano microporoso aderente come pongo, che intrappola le particelle esterne. Al Ces 2020 di Las Vegas è stato presentato l’ultimo prototipo del modello AirBliss+, con un sistema di ventilazione continua progettato per usi quotidiani e prolungati. L’ormai ex startup cinese Huami ne ha escogitata addirittura una che, collegata a un cavo Usb, si auto-disinfetta grazie ai raggi ultravioletti.
Proprio alle startup, che hanno la loro ragione sociale nel repentino adattamento ai bisogni emergenti della comunità, spetta la parte del leone in un contesto così fluido. La mascherina australiana AusAir ha fatto il botto col crowdfunding raccogliendo su Kickstarter e Indiegogo quasi un milione e mezzo di euro: oltre alle alte performance garantite, è associabile ad essenze bio che la profumano. L’inglese U-earth dei depuratori d’aria ha lanciato la U-mask multistrato.
Il contributo italiano
Le italiane, tra riconvertite e fondate ad hoc, non stanno a guardare. La siracusana iMask è stata messa in crisi a inizio maggio dalla pioggia di commesse che l’ha investita: 50mila mascherine e 150mila filtri ordinati nei primi 7 giorni. Dalla Sicilia arriva anche Drop, a forma di goccia e in gomma termoplastica, ideata da Cappello Group, operante nel fotovoltaico. Luciano Palleschi, giovane ingegnere di Latina, ne ha brevettata una adesiva, che resta incollata al viso senza elastici fastidiosi. A Nord c’è la Yourmask marchigiana, la ProduMask di Varese e la Arya Mask della Linea Colombo di Lecco, che prima si occupava soltanto di design: idrorepellente e personalizzabile, include pure la versione con visiera. Non è finita: con le stampanti 3d con cui realizzava componenti auto, la comasca Caracol ha allestito una filiera tutta italiana dedicata alle mascherine, finanziandosi sulla piattaforma Gofundme.
La rapidità di risposta e trasformazione delle startup ha influenzato i grandi brand: da marzo molte ditte, sofferenti per il lockdown e attive in tutt’altri settori, come la fabbricazione di pneumatici, hanno dimostrato di sapersi reinventare in pochi giorni. Oltre a borse e valige, Roncato produce anche la propria mascherina Botech. La torinese Pattern ha arricchito il proprio abbigliamento aggiungendo in catalogo la Emax, così chiamata perché studiata con software 3D.
Lasciamo stare mascherine rock e tricolori, gadget da uovo di Pasqua che s’illuminano o emettono versi: qui parliamo di presidi medici certificati con marchio CE, concepiti per durare all’infinito: riciclabili, ecocompatibili, plurilavabili, anallergici, multistrato, regolabili sui lineamenti del volto, altrettanto efficaci contro smog e pollini, dotate di accessori sostituibili e intercambiabili anziché usa e getta, in vista di un uso massificato destinato a perdurare. Difficilmente si troveranno a prezzi calmierati, attualmente vanno dalla trentina di euro in su.
Il boom ha riguardato l’intero comparto parafarmaceutico al di là di saponi, salviette, alcol, candeggine, detergenti. Numerose altre innovazioni riguardanti la salute hanno per protagoniste le startup e l’intelligenza artificiale, come gli occhiali a infrarossi che misurano la febbre di centinaia di persone a distanza. Tra tutti però, la mascherina resta candidata a diventare l’oggetto del XXI secolo, il più vistoso e impattante nel quotidiano, che ci porteremo sempre appresso. Nel mondo, oltre al vaccino, si sperimenta su questo “niqab d’Occidente”, imposto non dalle autorità religiose ma politiche per motivi sanitari, che ha cambiato il nostro aspetto e la nostra cultura della prevenzione.