“Dobbiamo avere molta cura e rispetto di chi vive nei moduli abitativi, perché sono il simbolo della nostra ferita, sono lì a dirci che il nostro territorio è stato colpito a morte, e ci vorranno anni per rialzarsi”.
Sono parole dure, ferme, quelle che Michele Vanzini, psicoterapeuta di Medolla, usa per parlare della sua gente e del suo territorio colpito dal sisma devastante del maggio 2012. E non usa mezzi termini.
“Noi siamo devastati dalla paura che in qualche momento si trasforma in panico e disperazione. Si tratta di sindromi post traumatiche tipiche di chi ha subito un grosso evento devastante come un terremoto di questa intensità. E la cura è lenta, ci vuole tempo per riassorbire questo stato di forte stress emotivo che ti condiziona in ogni momento della giornata.”
Vanzini è uno dei fondatori de LA CA’, un’associazione nata nei giorni immediatamente successivi alla scossa del 29 maggio con la finalità di mettere in rete una serie di professionisti della cura psicologica (psichiatri e psicanalisti) per poter dare supporto psicologico alle popolazioni colpite.
“Dopo poche ore, alcuni di noi avevano perso lo studio o erano senza casa. Ci siamo quindi trovati, ed abbiamo deciso di fondare l’associazione che si è posta fin da subito due obiettivi. Da un canto quello di fornire assistenza tecnica a tutti i professionisti della zona che erano rimasti senza lo studio o che potevano aver bisogno di formazione su come gestire una situazione come questa, oggettivamente nuova dalle nostre parti. E dall’altro, fornire soccorso psicologico alle persone, bambini in testa, che si trovavano catapultati nell’incubo collettivo della vita da terremotati, fatta di precarietà, distruzione, senso di frustrazione e paura, appunto.
Abbiamo dunque organizzato una serie di incontri con la popolazione per imparare a gestire il momento e, parallelamente, terapie individuali, dove chi può pagare lo fa a rette calmierate e chi ha subito ingenti danni a causa del sisma viene seguito gratuitamente , grazie alle donazioni ed alla solidarietà che l’associazione riceve.
E qual è, in generale, la condizione psicologica della popolazione?
“Bisogna ricostruire la fiducia in se stessi e vincere la paura. Sono stati mesi di forte incertezza: ogni 20 minuti una scossa. Tanta gente, nonostante non avesse subito danni alla propria abitazione dormiva ugualmente in tenda in giardino. In un contesto di questo genere , all’interno della psiche umana si sviluppa una sorta di scissione, fra la tendenza all’adattamento e una realtà in continua evoluzione e precarietà. In questa dissociazione si sviluppa lo stress post traumatico, che è molto difficile da curare e che ha purtroppo mietuto alcune vittime: ci sono stati alcuni suicidi in questi mesi e, in generale, è aumentato l’uso di alcool e psicofarmaci. Ad esempio, sembra un dato banale, ma sono aumentati gli incidenti stradali nella zona del cratere sismico: la gente guida distratta perché è sotto stress, e questo può anche essere molto pericoloso.
Sono anche aumentate le risse: frutto dell’abuso di alcool e di uno stato di tensione che emerge anche con una certa violenza”.
I bambini e gli adolescenti come stanno reagendo a questa situazione?
“Sicuramente hanno reagito meglio degli adulti.Molti sono stati portati via nei momenti immediatamente successivi al sisma, e quindi non hanno vissuto il dramma dei primi istanti devastanti. Ma anche in chi è rimasto, e comunque ora a distanza di un anno, vedo molta consapevolezza ed una capacità di adattamento alla precarietà e gestione della paura che mi ha sorpreso positivamente. Ho assistito ad un episodio indicativo della situazione, che fotografa molto bene la paura e le emozioni che il terremoto ha fatto emergere: la mattina della scossa del 29, quella delle 9.00, i ragazzi di 3a media, erano a scuola a Medolla per preparare l’esame che si sarebbe svolto a giugno. I ragazzi hanno atteso che finisse, come da protocollo d’emergenza, e poi disciplinatamente sono scesi in strada. Ebbene in quel momento, è arrivata la paura, perché hanno cercato di mettersi in contatto con le famiglie ma, nell’epoca dell’iperconnessione h24, nessun dispositivo mobile funzionava per via del terremoto. Telefoni muti, luce assente, comunicazioni bloccate. E quindi è subentrato il panico nei loro giovani occhi: sapevano che i loro genitori erano in molti casi a lavorare in quei capannoni fragili che erano già crollati nella notte del 20 ed i genitori che mano a mano arrivavano alla velocità della luce sapevano che i loro figli erano dentro scuole di cemento malmesse dal sisma. In questa distanza emotiva collettiva sta tutto la difficoltà psicologica del momento in cui viviamo.
Vanzini si congeda come ci ha accolti, parlando della ricostruzione dei territori, partendo dai suoi abitanti…
“I centri storici sono feriti a morte, la ricostruzione è lenta, molta gente vive nei moduli abitativi e ci resterà forse per anni. Solo attraverso la serenità saremo in grado di ricostruire i nostri territori. Dobbiamo ripartire dalle relazioni e lavorare sul rafforzamento emotivo dei terremotati, aiutandoli a superare le paure, affinché non vinca la disperazione di un momento difficile che adesso pare non possa finire mai. E questo è possibile solo con la cura, l’ascolto e molta pazienza”.
JONATHAN FERRAMOLA e MICHELE D’ALENA