Questo matrimonio non s’ha da fare. L’annuncio dell’ingresso di Microsoft Corporation nella Linux Foundation non è stato accolto bene da tutti. Microsoft è il più grande produttore di sistemi operativi per desktop computer ed ha sempre avversato lo sviluppo del software libero e open source.La Linux Foundation è invece una fondazione non profit che dalla nascita è devota allo sviluppo del kernel Linux e di progetti open source. È un matrimonio innaturale.
Microsoft ha una lunga storia di cause per atteggiamento anticoncorrenziale, è nota per la sua capacità di lobbying, ed è un monopolista del software. Il suo software, come hanno sempre detto gli hacker non consente la cooperazione e non aiuta la solidarietà essendo vincolato a rigidi standard proprietari protetti da licenze d’uso che avvantaggiano i produttori e scoraggiano gli utilizzatori dal farne usi non previsti, come studiarne il funzionamento.
E questo al contrario del software libero come il kernel Linux, il sistema operativo GNU/Linux e tutti i sistemi linux-like sotto il cappello della GPL (General Public License). E allora perché questa collaborazione?
NADELLA, IL CEO CHE AMA LINUX
Andiamo con ordine: l’annuncio è arrivato nella giornata di mercoledì 16 novembre 2016. Satya Nadella Ceo di Microsoft, incontrando i programmatori alla Connect conference di New York ha dichiarato che l’azienda fondata da Bill Gates è diventata un membro della Linux Foundation.Altri membri della fondazione sono Cisco, Fujitsu, HPE, Huawei, IBM, Intel, NEC, Oracle, Qualcomm e Samsung. E quindi perché non dovrebbe starci anche la Microsoft?
In effetti la Microsoft ha da tempo deciso di collaborare con il mondo Linux e open source attraverso vari progetti come OpenDaylight, Open Container Initiative, Open API Initiative.
Ma il processo di avvicinamento tra il colosso del software proprietario e il mondo open source è iniziato già alcuni anni fa, nel 2014, quando Microsoft ha annunciato la decisione di rendere open source la piattaforma .NET. Mentre nel 2015 aveva fatto lo stesso con l’editor Visual Studio Code.
Microsoft adesso ha rilasciato .NET Core 1.0 in open source, è diventata partner di Canonical (che distribuisce Ubuntu), ha collaborato con FreeBSD e reso open-source il suo Software development kit (sdk). Inoltre è diventata partner di Red Hat e SUSE per portare Linux su Azure (dal nome del sistema operativo Microsoft, variante di Windows Server per supportare l’omonima piattaforma di cloud computing Microsoft Azure). Microsoft supporta Debian GNU/Linux su Azure ed ha una sua certificazione Linux.
Microsoft offre il software open-source per big data Hadoop su Ubuntu e ha anche una distribuzione Linux specializzata: Azure Cloud Switch.
Quindi il suo ingresso nella Linux Foundation è legittimo e in larga misura atteso.
500 MILA DOLLARI IN CAMBIO DI UN POSTO NEL CONSIGLIO DIRETTIVO
Così Microsoft ha deciso di entrare nella Linux Foundation come membro platinum e verserà almeno 500mila dollari l’anno nelle casse della fondazione non profit per favorire l’avanzamento e lo sviluppo di progetti open source della Fondazione stessa. Ma non per niente. Un suo rappresentante, uomo di fiducia di Nadella, John Gossman di Microsoft Azure, farà parte del consiglio direttivo della fondazione.
Quindi con questa mossa Microsoft non solo consegue la possibilità di influenzare le scelte della fondazione ma ottiene la legittimazione necessaria a stare al tavolo della comunità degli sviluppatori di software opensource. Perché? È ovvio per un’azienda quotata in borsa: per sfruttare il metodo collaborativo alla base del successo del software libero e sviluppare tecnologie che possano servire al successo dei suoi prodotti commerciali. Bella mossa se non si limiterà a rilasciare solo il codice realizzato con il contributo della comunità.
SE NON PUOI BATTERE IL TUO NEMICO ALLEATI CON LUI
Comunque vada, per ora il cambiamento appare epocale. Per gli smemorati bisogna ricordare che nella lettera agli hobbisti del 1975 Bill Gates, fondatore della Microsoft, additava lo scambio del software tra i programmatori come un furto e dichiarava l’impossibilità di sviluppare buon codice senza farselo pagare come era costume all’epoca. Poi, di fronte alla crescita del movimento del software libero creato da Richard Stallman, Eric Raymond e Bruce Perens, aveva avviato un’opera decisa di demolizione della filosofia libertaria alla base della Free Software Foundation e aveva convinto amministrazioni pubbliche, enti governativi e università ad adottare il suo software con la strategia FUD: Fear, Uncertainty Doubt, (Paura, incertezza e dubbio), cercando di dimostrare al mondo l’inaffidabilità del software libero diventato ormai suo concorrente.
Linux era definito dai dirigenti Microsoft una roba da comunisti e addirittura un “cancro” (Steve Ballmer, 2001).
Ma dopo la batosta successiva all’avvento di Internet sul cui futuro di massa non aveva voluto investire, adesso ha capito che per non rimanere fuori dal mercato mobile più Internet deve spingere l’acceleratore sul software libero. Il perché è presto detto: Android, che è basato su software open source ha conquistato l’82% del mercato smartphone e Windows non può “stare alla finestra” a guardare.
CHI HA VINTO E CHI HA PERSO
Tutto bene dunque? Linux e il software libero hanno vinto la battaglia? Secondo Richard Stallman proprio per niente. Affinché il software aiuti lo sviluppo della società e delle migliori qualità umane deve avere certe caratteristiche.
E questo lo pensiamo anche noi. Perciò bisognerà vedere cosa succede.
Nei famosi Halloween documents frutto di un leak interno alla Microsoft, la strategia da adottare nei confronti di Linux e del software open source era quella di Embrace, Extend and Extinguish e cioè (Abbraccia, Estendi ed Estingui), una strategia che secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti descriveva le modalità strategiche dell’ingresso di MS nei mercati di prodotti basati su standard internazionali riconosciuti, tramite l’introduzione di caratteristiche proprietarie non conformi agli standard, e il successivo utilizzo di tali differenze allo scopo di svantaggiare la concorrenza.
Ovviamente ci auguriamo tutti che questa volta non finirà così.
ARTURO DI CORINTORoma, 20 Novembre 2016