Ministri, hackers e imprenditori per custodire insieme i beni pubblici

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Il notabilato, la casta, l’élite, l’uno per cento. In tutti i modelli di governo che funzionano alla scala nazionale, anche quelli democratici, i pochi prendono decisioni per i molti. Alcuni studiosi – me compreso – stanno cercando soluzioni per processi decisionali aperti, a cui molte persone possano partecipare attraverso processi di intelligenza collettiva; ma queste soluzioni sono molto lontane dall’essere pronte. Nel frattempo molti pensano che questo sia un prezzo inevitabile da pagare per un processo decisionale governabile. Questo crea una tensione tra i pochi che stanno nella stanza dei bottoni e i molti che ne rimangono fuori. Come scegliere i decisori in modo che portino i risultati migliori possibili?

La diversità vince sull’abilità

Nel 2004 gli economisti Lu Hong e Scott Page hanno avuto un’idea radicalmente nuova: i gruppi che funzionano meglio nel trovare soluzioni a problemi complessi non sono quelli composti dalle persone di qualità migliore, ma quelli composti dalle persone più diverse tra loro.

Diversity trumps ability, dicono: la diversità vince sull’abilità.

Il modello funziona così: immaginiamo un gruppo che affronta un problema difficile. “Difficile” vuol dire che non è nemmeno chiaro che tipo di problema è, non è facile da inquadrare. L’unico modo per fare passi avanti è provare ad attaccarlo con varie tecniche, e sperare che qualcuna funzioni. Ciascun componente del gruppo padroneggia un numero limitato di tecniche, e ciascuna tecnica risolve bene alcuni tipi di problemi, ma non è molto utile per altri. Un esempio concreto potrebbe essere un’automobile il cui motore non si avvia. Il problema potrebbe essere meccanico; o elettrico; o ancora nel software della centralina; o nel fatto che il serbatoio è vuoto! Un gruppo di dieci meccanici, anche bravissimi, non saranno probabilmente in grado di fare ripartire la vostra auto se il problema è elettrico.

Un gruppo con competenze diversificate, invece, può provare più approcci al problema, e ha più probabilità di risolverlo. Quindi, per affrontare un problema difficile, conviene costruire gruppi molto diversificati.

Il ragionamento fila. E allora perché la tendenza all’omogeneità culturale delle élites politiche ed economiche? Perché è così difficile vedere skaters nei ministeri, atlete nei consigli di amministrazione, artisti di circo ai vertici delle fondazioni bancarie? Ci sono molte ragioni per questo, ma una delle più importanti è che collaborare è difficile quando si è diversi. Le differenze di linguaggio ostacolano la comunicazione; gli stili di lavoro non si incontrano; gli interessi divergenti alimentano conflitti e egoismi.

Nell’ambiente europeo e globale dell’innovazione sociale, quello in cui mi muovo di più ultimamente, in questo momento abbiamo sul tappeto un problema davvero molto difficile e urgente: lo Stato, che per un secolo e più ha costruito beni pubblici (dalle strade agli ospedali, dalle biblioteche all’alfabetizzazione di massa), è in ritirata e non riesce più a prendersene cura.

Possono i cittadini, riuniti in comunità, prendersi cura insieme di quei beni materiali e immateriali che lo stato sta abbandonando? E come?

Il modello “stewardship”

La comunità globale di Edgeryders ha raccolto oltre cento esperienze di semplici cittadini che prendono a cuore qualcosa che è di tutti, si fanno avanti, si rimboccano le maniche e se ne prendono cura – dal pensionato che gestisce l’unico giardino botanico del Montenegro al gruppo di hackers californiani in un McDonald’s abbandonato, che ricostruiscono la tecnologia per leggere le fotografie digitali fatte dal primo Lunar Orbiter nel 1966. Da queste esperienze è nata Living On The Edge 4, una conferenza dedicata al tema della stewardship, cioè la custodia dei beni pubblici svolta dai cittadini (il titolo vuol dire più o meno “vita sul bordo”).

L’obiettivo è imparare tutti insieme come diventare custodi migliori, facendo leva sui successi ottenuti e imparando dagli errori fatti lungo il percorso. E siccome il problema è davvero difficile, abbiamo bisogno del massimo di diversità che possiamo mettere in campo.

Living On The Edge 4 è gestito da un team di curatori come non si è mai visto: comprende Fabrizio Barca, ex ministro e direttore generale del Ministero dell’economia; Caroline Paulick-Thiel, attivista tedesca in prima fila nel difendere l’utopia tascabile di Prinzessinnengarten a Berlino dalla speculazione edilizia; la svedese Amelia Andersdotter, la più giovane europarlamentare di tutti i tempi (eletta a 21 anni!) e attualmente presidente del partito pirata europeo; il tedesco Matthias Ansorg, hacker open sourcevincitore del premio europeo per l’innovazione sociale, uno che ha comprato un autopompa del 1968 e lo sta riattando per farne una casa mobile completamente autocostruita; l’americana Robin Chase, imprenditrice seriale della sharing economy; e l’altra svedese Nadia El-Imam, CEO di Edgeryders. Il ruolo di questa squadra eccezionale non è però quello di dare la linea, ma piuttosto quello di aiutare la comunità di Edgeryders a mappare il terreno della stewardship, ancora poco conosciuto. In piena tradizione hacker, gli interventi alla conferenza (e all’hackathon che la procede) sono proposti dalla comunità stessa; i curatori hanno il compito di collegare tra loro i vari interventi, sottolineando somiglianze e differenze, cercando di capire cosa funziona e in quali situazioni.

Da Matera la via italiana

Davvero dirigenti pubblici, figure politiche e imprenditori di successo possono lavorare fianco a fianco con hackers, squatters e nomadi digitali? Siamo consapevoli dei rischi di incomprensioni e perfino di scontri, ma crediamo di sì. Certamente abbiamo fatto del nostro meglio per preparare il terreno: per prima cosa coinvolgendo persone certamente portatrici di una propria cultura ma anche curiose di quelle degli altri; evidenziando i tratti comuni tra le loro esperienze; e presidiando l’interazione, in modo da ridurre i rischi di equivoci e delusioni. Anche l’ambiente in cui si svolge tutto questo aiuta: si tratta dell’unMonastery di Matera, un luogo dove la sperimentazione è all’ordine del giorno e gli errori commessi vengono accettati come parte del processo, invece che disapprovati.

È solo un esperimento. Potrebbe fallire. Potrebbe essere uno straordinario successo. Comunque vada, cercheremo di imparare dal successo o dal fallimento, di renderlo una tappa del viaggio che porta a metodi migliori per affrontare, insieme, i problemi sempre più pressanti e sempre più globali che ci attendono. E come andrà dipende anche da te: se vuoi provare a vincere questa scommessa insieme a Fabrizio Barca, Amelia Andersdotter e gli altri, raggiungi il Popolo del Bordo a Matera.

ALBERTO COTTICA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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