Nell’Italia che cerca lavoro troppi candidati impreparati ai colloqui

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Qualche tempo fa un mio post in cui sostenevo l’inutilità e, anzi, la perniciosità dell’adozione del cosiddetto CV europeo, ha suscitato un animato interesse, fatto di apprezzamenti ma anche diverse critiche piuttosto puntute. Nella speranza di dare un altro contributo alla riflessione, questa volta ritorno sull’argomento da un punto di vista diverso: i colloqui che seguono la ricezione dei CV.

Qualche tempo fa mi è stato chiesto di dare il mio parere relativamente alla selezione di personale conseguente un annuncio. Mi è stato fornito un certo numero di CV preselezionati da chi aveva già fatto parte del lavoro, e sono stato invitato ad effettuare un colloquio con i richiedenti per poter dare la mia opinione su tutti i candidati.

I CV in formato europeo erano circa il 50%.

La lunghezza di questi CV variava dalle 5 alle 10 pagine

Oltre a questi, un altro 25% dei CV aveva una lunghezza superiore alle 5 pagine (uno, di 15 pagine, era scritto in Times New Roman con font size 10). Pur non essendo una cosa di mia pertinenza, in quanto come detto i CV erano stati preselezionati, mi ha colpito il fatto che sul mio tavolo ci fossero centinaia di pagine per un numero tutto sommato esiguo di CV.

Fonte: Nonsoloticino.ch

Sulla base del numero dei CV in mio possesso e dei vincoli del richiedente, ho definito uno schema di massima del colloquio, una durata, una possibile agenda e su questa base ho iniziato a chiamare i vari candidati utilizzando il numero di cellulare riportato sul CV inviato.

Delle prime 10 chiamate, ha risposto solo una persona. Nessuno dei 9 che non avevano risposto ha richiamato. Tutte le chiamate sono state effettuate tra le 10.00 e le 12.00. Comunque non mi sono perso d’animo e nel pomeriggio ho deciso di passare alla comunicazione via e-mail. Ho scritto a tutti spiegando la situazione, fornendo il mio cellulare e chiedendo di essere richiamato per fissare un colloquio. Il 5% delle mail mi sono tornate indietro in quanto l’indirizzo riportato sul CV era errato. Delle rimanenti mail, il 10% dei candidati non ha risposto.

A questo punto ho fissato, con tutti gli interlocutori con cui ero riuscito ad avere un contatto, gli appuntamenti presso il mio ufficio. Per ciascun interlocutore ho inviato una mail in cui confermavo la data, l’orario, la durata e il motivo del colloquio, ripetendo il mio nome, ruolo in azienda, numero di cellulare, indirizzo e come arrivare sino al mio ufficio.

Poi, per ciascuno dei CV per i quali ero riuscito a fissare il colloquio conoscitivo, ho letto velocemente il CV, ho verificato su LinkedIn il relativo profilo e le eventuali raccomandazioni, ho acceduto ai profili Twitter e Facebook e ho googlato un po’ per vedere se riuscivo a saperne di più.

Quelle che seguono sono le statistiche relative ai colloqui effettuati.

  • Il 60% dei candidati è arrivato in ritardo. Alcuni con ritardi minimi, altri con un ritardo significativo. La cosa interessante è che più il ritardo era grave, più la persona rimaneva sconcertata dal fatto che comunque non avrei ritardato il prossimo colloquio, per cui il ritardo “si mangiava” una parte dei minuti a loro allocati. Per gli appassionati delle statistiche, tutti i ritardatari avevano inviato CV chilometrici.
  • Il 70% non sapeva nulla del motivo del colloquio. I candidati avevano inviato il CV “alla cieca” ed anche dopo essere stati convocati non avevano approfondito il contesto del colloquio stesso. Tutti i CV chilometrici e, in particolare tutti i CV in formato europeo, erano in questa categoria.
  • L’80% non sapeva chi fossi e cosa facessi in azienda. Pur avendo mandato la mail, nessuno aveva verificato il mio profilo Linkedin, o googlato il mio nome. Ancora una volta, tutti i CV chilometrici erano in questa categoria.
  • Se il 60% dei candidati non aveva un account Facebook, ben il 90% non lo aveva Twitter. La cosa potrebbe non essere un problema, ma il punto è che i colloqui si svolgevano in un contesto in cui le conoscenze del “campo di gioco” dell’innovazione digitale era l’elemento fondamentale e in quasi tutti i casi alla domanda sul come mai non avessero tali account la risposta, quasi sempre infastidita, era “non credo siano importanti”.
  • Per il 95% dei candidati, la lettera di accompagnamento del CV era essenzialmente qualcosa di standard del tipo “spettabile XX, con riferimento al vostro annuncio YY allego il mio CV per la vostra considerazione. Cordiali saluti”. Solo il 5% aveva aggiunto qualcos’altro (tutti con CV brevi).
  • Una parte dei CV riportava piccoli errori grammaticali e in diversi casi la formattazione del documento lasciava intendere una non gran dimestichezza con l’uso del mezzo utilizzato per redigerli. Nessun CV breve era affetto da questi problemi.

Riassumendo: se avessi dovuto selezionare i candidati con i quali fare un colloquio per questa specifica occasione, avrei concentrato la mia attenzione sui CV più sintetici, ben formattati, privi di errori e personalizzati per l’annuncio in risposta al quale erano stati inviati

Per fare tale prima scrematura sarebbe bastato un tempo molto inferiore a quello che suppongo sia stato speso per leggere molte centinaia di pagine, tempo che si sarebbe potuto utilizzare molto più proficuamente per fare colloqui un po’ più approfonditi con i selezionati. Per quelle che sono state le risultanze delle interviste, così facendo non avrei fatto grossi errori.

P.S.: ovviamente non sto sostenendo che in Italia non esista un problema occupazionale o che tale problema possa essere risolto inviando candidature perfette.

AUGUSTO COPPOLA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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