Mi piace Finardi perché le sue canzoni mi portano sempre a spasso: lo ascolto e i miei pensieri iniziano a vagare e mi fanno viaggiare tranquilla e divertita. Così se lo sento cantare “… perché arriva dalla gente […] e ci parla direttamente, e se una radio è libera ma libera veramente mi piace anche di più perché libera la mente” io non penso alla radio, ma penso alla Rete. E agli stralci dell’intervento del ministro Severino al Festival del giornalismo di Perugia. E al comma ammazza–blog che pare sia rispuntato.
La storia del DDL sulle intercettazioni è lunga e perigliosa e, vissuta da wikipediana, ha poche date salienti: giugno 2010, quando usciamo con un comunicato, ottobre 2011 quando Wikipedia chiude i battenti per 42 ore e il DDL viene rimandato a data da destinarsi, una settimana fa quando il comma è tornato alla ribalta.
Il pomo della discordia è il punto dove si afferma: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono” che equipara qualsiasi sito ad una testata giornalistica e impone la pubblicazione della rettifica, senza alcuna possibilità di ribattere. La rettifica la richiede chi si sente offeso dai contenuti pubblicati, direttamente. Non è oggetto di dibattito, valutazione da parte di un giudice o chiunque altro, no: mi viene mandata e io devo pubblicarla, altrimenti sono passibile di sanzioni.
Significa morte certa per un progetto come Wikipedia – che persegue il punto di vista neutrale e la modificabilità dei propri contenuti – che si troverebbe a mostrare punti personalissimi e immodificabili.
In definitiva, questa è una vera e propria spada di Damocle per chiunque pubblichi qualcosa online.
E io nel mio piccolo cosa posso fare? Continuo a tenere aperti i miei blog rischiando rettifiche e multe perché al termine di un evento ho riportato in maniera inesatta il pensiero degli altri oratori? Posso continuare a parlare dei temi che mi interessano o mi arrendo e lascio che l’informazione passi solo dai soliti “noti“?
E come farò a rettificare su Twitter, se chi mi chiede la rettifica non ha il dono della sintesi in 140 caratteri?
Sono gli interrogativi che si rincorrono nella mia testa e che al momento non trovano risposta, spero nel meglio ma intanto mi preparo al peggio. Rifletto sulla libertà di cui tutti amiamo riempirci la bocca e che l’esperienza di Wikipedia – poi la smetto di citarla, promesso! – mi ha insegnato a distinguere in tante piccole (o grandi) diverse possibilità.
L’unica accezione di libertà che sono certa di non accettare è “posso farci quello che voglio“: una rete libera (non imbavagliata) non è una rete in cui è giusto che ognuno faccia quello che vuole, come viene speso sotteso da chi scrive le nostre leggi, ma una rete in cui esistono delle regole create in armonia con quella che è l’essenza della rete stessa. Regole che, a loro volta, sono scritte da qualcuno che sappia distinguere tra sito-blog-social e network-facebook-twitter senza bisogno di suggeritori e bigini.
Sono arrabbiata perché da un governo tecnico mi aspetto professionalità su tutti i fronti. Non mi accontento di un Monti luminare dell’economia: voglio che chi si occupa di Web lo conosca a fondo e usi bene la conoscenza che ne ha. Chi ha questa responsabilità non si può limitare a riciclare DDL scritti (male) dal governo precedente o vagheggiare che “È molto difficile configurare un obbligo di rettifica per i blog” (e in tutti gli altri siti?).
Mi rileggo e mi sembro il capitalista medio del “Pago? Pretendo!” rivisto in chiave “Voto? Pretendo!“. Ma voi non mi fareste mai capitano della vostra nave solo perché sono brava a fare le barchette di carta e farle navigare in uno stagno. Quindi, perché da cittadina dovrei accontentarmi di un riciclo?
Certo, la situazione attuale non è rosea (potrebbe piombarvi addosso una causa da venti milioni di euro come niente, ad esempio) e ha diversi limiti, per non dire problemi, ma la soluzione proposta non risolve nulla. Anzi, peggiora le cose.
Milano, 4 maggio 2012FRIEDA BRIOSCHI