Non basta dire FOIA per avere una buona legge sull’accesso ai dati

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Ormai ci siamo. Il Ministro Madia lo ha ripetuto anche alla Leopolda: “Prima di Natale, il Governo approverà il Freedom of Information Act italiano”.

Dopo anni di rivendicazioni e proclami (qui a CheFuturo avevamo inserito FOIA tra le “parole-chiave” del 2015), sembra davvero arrivato il momento di una nuova legge per l’accesso all’informazione detenuta delle pubbliche amministrazioni. Un provvedimento normativo che possa far recuperare all’Italia posizioni nella speciale classifica internazionale sulla trasparenza (il c.d. “RTI rating” che, al momento, la vede 97sima su 102 Paesi), supportando la lotta alla corruzione.

Si tratta di una piccola ma significativa vittoria per tutti coloro che, nel corso degli ultimi anni, si sono impegnati nella campagna #FOIA4Italy e che, grazie alla sensibilità del Parlamento (in particolare dell’Intergruppo Innovazione), hanno ottenuto che all’interno della legge di riforma della pubblica amministrazione venisse inserita la delega al Governo ad adottare un nuovo decreto sull’accesso all’informazione.

Ma l’obiettivo non è stato ancora raggiunto. È già successo in passato che nuove leggi sulla trasparenza venissero definite impropriamente “FOIA”, mentre in realtà non lo erano (come il c.d. “decreto trasparenza” adottato dal Governo Monti).Per questo motivo, Foia4Italy ha chiarito quali sono i dieci requisiti che il testo che sarà adottato dal Governo dovrà rispettare se vorrà davvero essere chiamato FOIA e riconosciuto come tale.Non si tratta della pedanteria dei giuristi né della rigidità degli attivisti, ma di realismo:

non abbiamo bisogno di una qualunque norma sulla trasparenza, ma solo della reale affermazione del diritto di chiunque ad accedere agli atti e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Non abbiamo bisogno di “leggi manifesto”, provvedimenti che non abbiano alcun impatto positivo sul livello di trasparenza.

Il caso spagnolo di una buona proposta finita male

Una lezione che arriva proprio in questi giorni dalla Spagna ci aiuta a capirlo meglio: si tratta della chiusura di “Tu derecho a saber”, una piattaforma realizzata da due organizzazioni non governative impegnate per il riconoscimento del diritto di accesso all’informazione (Access Info e Civio).Il progetto (da cui è derivata la piattaforma italiana “Chiedi” realizzata da Diritto di Sapere) aveva l’obiettivo di consentire – attraverso l’uso di un unico e intuitivo sito – di poter inoltrare le istanze di accesso a tutte le amministrazioni.Dal 2012, grazie a “Tu derecho a saber” sono state inviate oltre 1800 istanze nei confronti di più di 900 enti. Ma quando il Parlamento spagnolo ha adottato una nuova legge sulla trasparenza tutto è diventato più complicato.

Infatti, anche se nelle intenzioni di chi l’ha approvata la nuova legge avrebbe dovuto rappresentare un passo in avanti verso la trasparenza, le modalità di presentazione delle istanze sono state rese molto più complesse. Non basta una semplice mail, ma è diventata necessaria una più complessa autenticazione sui differenti portali delle amministrazioni.Il risultato è stato che le istanze presentate attraverso “Tu derecho a saber” venissero respinte dalle amministrazioni in base all’argomentazione che – seppure l’utente ne avesse titolo – la richiesta non soddisfaceva i requisiti di forma previsti dalla Legge.

Per questo motivo la piattaforma è stata chiusa e, da qualche giorno, sul sito campeggia un ironico- ma per questo non meno triste – necrologio.

La lezione che viene dalla Spagna deve rappresentare un monito per tutti.Non bastano le buone intenzioni e le generiche affermazioni di principi: per aprire davvero all’accesso

c’è bisogno di modalità semplici per l’inoltro delle istanze, di eccezioni tassative e rigorose e di sanzioni efficaci per le amministrazioni inadempienti.

Dionigi, tiranno di Siracusa tra il V e il IV secolo a.c., affiggeva le leggi da lui emanate, ma lo faceva sulle mura più alte della città, in modo che queste fossero formalmente pubbliche, ma molto difficili da conoscere. Dopo aver garantito questa forma fittizia di pubblicità, si divertiva a sanzionare i sudditi che non le rispettavano.

Sembra un’era apparentemente molto lontana, eppure – come insegna il caso spagnolo – bisogna evitare il rischio che leggi scritte male possano diventare l’alibi che consenta ad amministrazioni in mala fede di (non) essere trasparenti a norma di legge.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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