L’accesso a Internet è un diritto umano? Per avviare la discussione abbiamo deciso di riportiare il punto di vista di Aldo Torchiaro, giornalista e CEO presso Reputazione Pubblica.
La Rete, il Web, Internet sono parte essenziale della nostra vita o ne sono solo un elemento accessorio? La risposta a questa domanda è cambiata negli ultimi anni: se la Rete fino a poco tempo fa era un utile strumento di informazione, oggi è un ineliminabile propulsore di attività fondamentali per ciascuno di noi. Permette di esercitare diritti di cittadinanza attivi e passivi, realizza lo scambio effettivo delle idee e delle notizie. Fornisce l’accesso reale al mondo del lavoro, del quale costituisce al tempo stesso un mezzo ed un fine. Moltiplica le opportunità di crescita, di specializzazione, di formazione.
Attiva flussi economici micro e macro, dà vita a servizi anche articolati con valore legale, di interesse sanitario, con rilevanza pubblica e istituzionale. Rende la nostra sfera personale infinitamente più ricca, aperta, relazionale.
Sulla base di questo assunto, che oggi nessuno metterebbe in discussione, si può dedurre facilmente quanto sia penalizzante non avere accesso ad internet. Non solo sul piano del diritto internazionale (ci sono paesi in cui l’accesso è limitato, la navigazione controllata, etc.) ma anche strettamente come garanzia del diritto alla connessione alla rete, l’Italia deve fare di più e dimostrare di considerare davvero l’agenda digitale al centro di un processo sistemico di crescita.
Avere difficoltà nell’accesso ad Internet è penalizzante, al punto da porre i cittadini che vivono ai margini della Rete su un piano secondario e sottostante rispetto ai meglio digitalizzati.
È chiaro, infatti, che il cittadino che non ha libero accesso alla Rete, per ragioni indipendenti dalla sua volontà – e quindi di natura economica, territoriale, logistica – subisce uno svantaggio in termini economici ed una discriminazione sul piano costituzionale.
Cittadini connessi e non connessi non godono di parità effettiva in termini di uguaglianza e di opportunità, di libero accesso alle informazioni e di esercizio della libertà di espressione.
Mentre in Italia ci interroghiamo sui passaggi necessari per garantire il diritto alla Rete per tutti, l’accesso ad Internet e la libertà di espressione online sono assunti come diritti umani fondamentali dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che lo ha dichiarato all’unanimità in una risoluzione approvata giovedì 5 luglio 2012. La risoluzione dice che tutte le persone dovrebbero essere autorizzate a connettersi ed esprimersi liberamente su Internet.
Si tratta di una presa d’atto talmente pacifica che tutti i 47 membri del Consiglio dei diritti umani, compresi Paesi notoriamente fautori di censura come Cina e Cuba, hanno firmato la risoluzione. Il principio era già stato affermato da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’International Telecommunications Union (ITU), nel 2003. L’accesso ad Internet come diritto umano fondamentale da allora è stato sostenuto da diversi personaggi di rilievo, tra cui Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web.
La politica è distratta. Si è confrontata, anche promuovendo un referendum apposito, sul concetto di “bene comune” e di “bene pubblico”, stabilendo la necessaria gratuità di beni di natura pubblica quali l’acqua, ma sul Web non si spende una parola, con il risultato che rimangono pochi gli hotspot pubblici e gratuiti nelle città, che nella maggior parte degli esercizi pubblici e dei mezzi di trasporto pubblico la Rete è inaccessibile o sottoposto a restrizioni. Nel frattempo, i gestori privati possono continuare a mettersi d’accordo per applicare al Web le logiche di cartello che frenano da sempre il paese e ingannano il mercato.
Non si è ancora capito che in tema di libertà economiche, quella di navigazione del Web è al tempo stesso benzina, macchina e motore della crescita. Se non ne prendiamo atto, saremo disconnessi dal futuro.