Nell’estremo Nord del pianeta, a causa dei cambiamenti climatici, un Nuovo Mondo sta emergendo dall’erosione del ghiaccio marino: in 40 anni, da quando sono iniziate le misurazioni satellitari, questo s’è ridotto del 30% scavalcando ogni previsione. Dal 2007 in particolare il disgelo si è impennato, cambiando rapidamente la cartina fisica dell’aera. Più di quanto calcolasse, in maniera già allarmante, la progressione statistica dell’evento. Gli scienziati lo chiamano “Nuovo Artico”, perché fra 30 anni non sarà più lo stesso di quello conosciuto adesso: il paesaggio di questa parte remota del mondo è in rapida evoluzione e già ora irriconoscibile se confrontato alle diapositive scattate dallo Spazio solo qualche decennio fa.
Nuovo Artico: l’allerta dei ricercatori
L’esempio più lampante è lo scioglimento del ghiacciaio Longyearbreen, sull’arcipelago norvegese delle Svalbard, dove l’aumento delle temperature medie invernali di 10 gradi Celsius negli ultimi 30 anni ha spezzato il ciclo dell’ecosistema locale.
Proprio a novembre è stato registrato un nuovo record: venerdì 13 la colonnina di mercurio ha raggiunto i +9.4°C, una soglia mai registrata prima a quelle latitudini, dove in questo periodo dell’anno non si dovrebbero superare i -5 di massima. Il precedente primato, +7.5°C, fu toccato negli anni Settanta. La rilevazione misurata dalla stazione meteo del circolo polare è stata postata su Twitter da diversi ricercatori: la miglior prova oculare, per i troppi che ancora credono che il clima sarà un problema dei nostri pronipoti, di quanto invece stia già radicalmente rimodellando l’habitat che ci circonda.
Secondo la rivista Scientific American, l’ascesa incontrollata delle temperature si tradurrà in sempre meno neve e sempre più pioggia, e la mutazione dei fenomeni meteorologici modificherà a cascata anche il panorama di altri luoghi del globo, bacino del Mediterraneo incluso. Meno nevicate e gelate, più temporali e piogge torrenziali: il territorio che abitiamo si trasforma. I coautori dello studio Laura Landrum e Marika Holland, ricercatori al National Center for Atmospheric Research in Colorado, hanno pubblicato su Nature Climate Change i loro dati sulla tempistica dell’emersione di queste nuove terre dai ghiacci artici: se l’uomo continuerà a non muovere un dito per frenare le emissioni di gas serra, entro la metà del secolo – più o meno nel 2050 – l’estensione della crosta ghiacciata scenderà d’estate sotto il milione di kmq dagli attuali 4 scarsi: una soglia mai raggiunta, a quel punto l’Oceano Artico potrebbe considerarsi “senza ghiaccio”.
Il mare di Leptev al largo della Siberia, la “culla” della calotta artica, a inizio novembre non si era ancora ricongelato quando di solito la banchisa si forma a inizio ottobre. Per il National Snow and Ice Data Center il tasso di declino al Polo Nord procede al ritmo del 10% ogni dieci anni: in sostanza ogni anno sparisce, o meglio non ghiaccia, un’area grande come l’Austria. Se a tutto questo ci aggiungiamo il traffico di navi cargo e l‘attività delle forze Nato e Russia, la frittata è fatta.
Scioglimento del ghiaccio: quali sono i suoi effetti?
Non è solo il prosciugamento delle nostre riserve idriche: lo spesso strato di ghiaccio rappresenta un’ampia superficie brillante che serve a riflettere la luce solare lontano dalla Terra, intrappolando il calore sotto la superficie in inverno e impedendogli di fuoriuscire.
Per questo si scalda a una velocità doppia rispetto al resto della Terra. Man mano che il ghiaccio si assottiglia e scompare, l’oceano diventa meno capace di trattenere il calore: assorbendone di più in estate e rilasciandolo in inverno, la progressiva scomparsa del ghiaccio contribuisce a riscaldare ulteriormente l’atmosfera innescando il classico circolo vizioso.
Rischiano le specie vegetali: senza ghiacci non circolano le sostanze nutrienti per il plancton, che sarà quindi meno in grado di assorbire anidride carbonica dall’aria.
Avviando anche qui un corto circuito, un effetto domino con inquinamento e global warming. Il ghiaccio ha un ruolo strategico più importante di quanto si creda nel far sì che la temperatura terrestre non sfoci in febbre. Rischiano tutti gli esseri viventi. La Polarstern, una nave rompighiaccio tedesca che ad agosto ha partecipato a una grande spedizione multidisciplinare nell’Artico, ha documentato la situazione di ImageKivalina, sul mare di Chukchi: uno dei tanti villaggi nativi dell’Alaska minacciati dallo sgretolamento delle coste, che sta affamando animali su cui i gruppi indigeni fanno affidamento per l’approvvigionamento alimentare.
Tra qualche anno saranno costretti a migrare anche loro, spopolando una nuova “Africa”. Oppure chissà, se affiorasse una vasta terra ferma, potrebbe scatenarsi addirittura una guerra per il suo possesso. L’Artico è la parte del mondo dove gli effetti del riscaldamento sono più visibili, così gravi che ormai è tardi per invertire la rotta. Si può cercare però di mitigarli, di rallentarne le conseguenze, se non altro per darci più tempo di predisporci – fisicamente e psicologicamente – a vivere in climi diversi, che altereranno la morfologia di vaste aree del pianeta. Gradualmente, ma comunque prima di quanto riusciamo a immaginare.
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