Obama appoggia la ricerca openaccess.E in Italia a che punto siamo?

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Il governo di Barack Obama vuole che i risultati delle ricerche scientifiche pagate con denaro pubblico vengano resi accessibili a tutti i cittadini.

Chi paga, cioè la collettività, potrà finalmente leggere gli studi pubblicati e verrà messo in grado di utilizzare i dati provenienti dalla ricerca. Sembra una petizione di buon senso, ma in realtà si tratta di una proposta innovativa, che è stata intrapresa dall’amministrazione statunitense in un documento dell’Ufficio per le politiche della scienza e della tecnologia della Casa bianca.

Oggi i ricercatori spesso pubblicano i loro studi su riviste che richiedono il pagamento di abbonamenti molto cari, che solo le università e le grandi biblioteche possono permettersi. Chi ha pagato una ricerca effettuata in un’università pubblica, cioè il cittadino, deve pagare un’altra volta per poterne leggere i risultati.

Secondo l’amministrazione Obama, invece, gli articoli scientifici e i dati prodotti nelle ricerche dovranno in futuro essere resi disponibili in forma open access entro un anno dalla pubblicazione. Il governo federale metterà a disposizione 100 milioni di dollari per favorire la pubblicazione open access.

Questa misura è il frutto di un dibattito durato mesi, che ha coinvolto scienziati, gruppi di pressione a favore del libero accesso alla conoscenza, editori e membri del Congresso.

Quando avremo un dibattito di questo livello in Italia?

Nei mesi scorsi 65.000 cittadini Usa avevano firmato una petizione che chiedeva di rendere accessibili gli studi finanziati con denaro pubblico. La petizione è stata presentata sulla piattaforma online della Casa bianca, “We the People”, un sito che permette ai cittadini di fare proposte al governo e ottenere risposte se si raggiungono numeri elevati di adesioni.

L’amministrazione Obama ha dato sei mesi di tempo alle agenzie federali per comunicare il modo in cui potrebbero adeguarsi a queste nuove linee guida basate sulla trasparenza. L’esempio è quello degli NIH (National Institutes of Health), cioè l’agenzia federale per la ricerca biomedica, che già oggi obbligano i ricercatori che finanziano a pubblicare i loro articoli di ricerca sul database PubMed, da dove chiunque abbia un computer connesso alla rete può scaricarli liberamente: cittadini, imprese e altri scienziati.

In Italia non solo non ci sono leggi così avanzate in materia di accesso alla conoscenza scientifica, ma anche il dibattito langue.

Molte università hanno firmato accordi e petizioni di principio sull’open access, ma non hanno emesso regolamenti vincolanti. Di conseguenza, un gruppo di ricerca finanziato dallo stato può pubblicare i suoi risultati su riviste tradizionali come Nature, dove saranno accessibili solo a chi paga abbonamenti costosissimi.

Eppure le alternative non mancano: sempre più ricercatori pubblicano su riviste open come PLoS, ma volontariamente.

In questi giorni si sta insediando un nuovo parlamento, e al suo interno vi sono persone che da anni si battono per una maggiore trasparenza della ricerca scientifica. Potrebbe essere il momento per discutere di una politica seria dell’accesso e della trasparenza. Anzitutto sull’open access, cioè permettere ai cittadini di consultare liberamente gli studi che hanno contribuito a finanziare. Ma anche sulla proprietà intellettuale: si potrebbe chiedere ai ricercatori finanziati con denaro pubblico di usare forme di copyleft, come le licenze Creative Commons, per dare a chiunque la possibilità non solo di leggere, ma anche di modificare, riutilizzare, e ridistribuire le informazioni.

Come sostiene il documento dell’amministrazione Obama, “la ricerca scientifica supportata dal governo federale catalizza avanzamenti innovativi che guidano la nostra economia”, dato che un accesso maggiore e più facile ai dati e alle conoscenze scientifiche può fornire maggiori opportunità a chi fa innovazione industriale o a chi vuole utilizzare le informazioni per scopi non limitati dalle mura delle istituzioni scientifiche.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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