Olimpiadi 13. I Giochi social: 5 consigli per evitare figuracce

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Oggi non escono i giornali, Ferragosto è una delle festività garantite anche ai giornalisti che hanno però continuato ad aggiornare i siti delle rispettive testate. Di solito il 16 agosto è il segnale che per gli olimpici è finita la festa e ricomincia la quaresima: bisogna fare spazio la calcio, come se lo avesse mai perso, e per la seconda settimana dei Giochi si interpretano più che le previsioni meterologiche quelle del medagliere che può garantire ancora qualche lampo di attenzione. Ma bisogna dire che grazie ai social oggi non ci sono più sport minori a meno che restare nell’ombra non sia la missione autolesionista di chi non si concede una pagina Facebook, un profilo Twitter o altro. Certo, la disciplina social non è ancora riconosciuta nel programma ufficiale delle gare, ma nei giorni scorsi una italiana ha vinto una medaglia d’oro in questa specialità e ne parliamo più avanti.

ATLETI SUI SOCIAL

Come per altri temi, lo spartiacque sono stati i Giochi di Londra. Alla vigilia del 2012 il Cio ha lanciato l’Olympic Athletes Hub, invitando gli atleti a una presenza nel web tutt’altro che modesta, semmai rispettosa delle regole: le pagine social sono raccolte sotto lo stesso indirizzo di modo che se siete Fabio Basile, oro nel judo a Rio, più noto per alcune imitazioni registrate da Vodafone che per i risultati, finite a fianco di Usain Bolt, che è Usain Bolt e dunque può illuminare pure voi. Non solo, nell’hub gli atleti trovano delle offerte dei partner Cio, una lista di proposte di lavoro, e ancora programmi di allenamenti e, cosa che risulta divertente per tutti, anche i visitatori occasionali del sito (hub.olympic.org), vi sembra davvero di essere in mezzo al prato il giorno della cerimonia di apertura dei Giochi perché siete circondati da atleti di tutto il mondo.

Sarà invece lanciato il 21 agosto l’Olympic Channel del Cio che promette di essere non la Youtube dello sport, quanto piuttosto il primo vero canale sportivo mondiale, roba da meritarsi subito il titolo di patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco.

Si va sui social prima di tutto per dichiarare chi non si è

Da Rio torniamo con tanti esempi, buoni e cattivi, e allora alla vigilia della nuova stagione sportiva facciamo un ripasso anche utilizzando come case histories qualcosa di realmente accaduto.

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Non si va sui social per dichiarare chi si è, quello è implicito. Si va sui social prima di tutto per dichiarare chi non si è. In caso di dubbio, astenersi o rinviare lo sbarco in rete. Prima meglio ricordare la raccomandazione di quei web master d’antan che erano i nostri nonni che dicevano: i panni sporchi si lavano in famiglia.

Se volete scaricare l’allenatore fatelo in privato, se postate una lettera aperta, fin troppo, ottenete l’effetto opposto, cioé svelate debolezze che eravate stati capaci di tenere nascoste.

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Tenete a mente Mourinho quando dice: chi sa solo di calcio non sa niente di calcio. Non potete parlare solo di voi e della vostra disciplina, come cantavano i Matia Bazar c’è tutto un mondo intorno e se volete costruirvi una community di riferimento dovete capire che oggi quel pubblico è formato da tanti pubblici diversi. Torniamo al caso Basile: non vergognatevi di imitare gli attori di Gomorra se questo serve a parlare di judo. Ma appunto dovete sapere qualcosa di Gomorra e del resto. Magari potete postare la vostra playlist ideale e diventare il deejay di riferimento pure per chi non pratica il vostro sport.

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Altro prezioso consiglio dei nonni smanettoni: parlate come mangiate, ovvero non usate termini troppo tecnici o paroloni che la gente non capisce al volo. Essere semplici vuol dire puntare all’attenzione di quanta più gente possibile, finire col fare i sempliciotti significa esporsi al rischio di epic fail. Sintesi dei primi tre punti astenersi da lamentele sui ricavi diversi tra calciatori e atleti olimpici. Est modus in rebus: fate notare che un calciatore può sbagliare più di una partita in un campionato di 30 gare. Voi non potete sbagliare una gara che capita ogni quattro anni. In tempi in cui le prestazioni sono tutte misurate, anche autonomamente dal risultato, questo approccio vi fa fare un figurone.

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Humani nihil a me alienum puto è una citazione di Terenzio. Non usatela nel web, sarebbe fraintesa, ma come ispirazione. Lui intendeva che nulla di umano ci può essere estraneo, voi dovete capire che il simbolo dello sport sono i cinque cerchi che rappresentano i continenti ognuno intrecciato agli altri, ma anche che suggeriscono un approccio diverso da quello autoreferenziale che normalmente contraddistingue lo sport italiano. Niente di sportivo vi deve risultare alieno, dunque dovete sapere quante più cose possibile del vostro sport, anche chi lo ha praticato e oggi è un vip (minuto di raccoglimento in onore di Carlo Pedersoli, primo italiano a nuotare i 100 stile libero in meno di un minuto, e poi diventato per tutto il mondo Bud Spencer), anche chi lo pratica nei campionati master ( il fenomeno del momento ). E interessatevi anche agli altri sport. Intanto per essere ricambiati, poi per imparare dagli errori dagli altri, che non avete bisogno di ripetere, e per prendere spunto dai successi. Poi è proprio come su Facebook: più amici avete vicini a voi, al vostro modo di vivere, maggiore risalto acquista ogni vostra iniziativa.

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Infine, where sport, wear sport. Dove si presenta un’occasione per parlare di sport, mettetevi la divisa del vostro sport e del Coni. Non aspettate che vi chiamino gli altri, assumete voi per primi un ruolo social. Anche andando nelle scuole ad esempio, dove i valori dello sport interessano sempre: è un difetto storico dello sport quello di non fare il primo passo e poi lamentarsi della scarsa interazione con il settore dell’educazione. Voi avete un vantaggio: non avete una maglia, che è pure ostile ogni tanto; avete una divisa che invece unisce. Leggere per credere: all’interno dei capi Armani che avete indossato per i Giochi c’è l’inno di Mameli (mentre nelle divise Usa realizzate da Polo Ralph Lauren c’è il motto olimpico Citius, Altuis, Fortius ), dunque voi siete l’Italia.

Elisa Di Francisca si è presentata sul podio della gara di fioretto sventolando la bandiera dell’Europa

Sapendo e praticando tutte queste cose, e avendo sperimentato che una buona comunicazione è un gioco di squadra allargato a tante persone, Elisa Di Francisca si è presentata sul podio della gara di fioretto che lei ha chiuso al secondo posto sventolando la bandiera dell’Europa. Bel gesto, bellissimo anzi. Giustamente finito in prima pagina un po’ dappertutto. Giustamente elogiato dalle autorità comunitarie, per nulla offese del fatto che Elisa fosse arrivata seconda (e che con questa intuizione ha invece vinto una medaglia d’oro quasi definitiva). Una persona dello staff della fiorettista, che ha sue curiosità mai banali, si era accorta di un commento di Aldo Cazzullo che notava l’assenza ai Giochi dell’Europa nella sua stagione più difficile. Il tema è stato riportato ad Elisa che, evidentemente, lo sentiva già suo per interpretarlo tanto bene. Se uno ha in progetto di vincere l’oro olimpico, nel caso suo di ri-vincere l’oro olimpico è chisaro che ha già allargato il suo impegno verso altri orizzonti. La rete ha apprezzato, ci mancherebbe. Qualcuno ha rosicato, pensando che sia stata una furbata. E’stata invece la prima finale, vinta, di comunicazione social sportiva. Brava alla Di Francisca, e bravo a Marco Del Checcolo, il suo media manager.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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