Olimpiadi 18. I Giochi, rassegna del possibile e inclusivo

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Abbiamo cominciato il 5 agosto, nel giorno del compleanno di Federica Pellegrini portabandiera azzurra, finiamo il 21 agosto, nel giorno del compleanno di Usain Bolt portabandiera di noi tutti. La Nissan, che di tanti sponsor è stato il più originale, ad esempio vestendo come una piscina la facciata dell’albergo che aveva addirittura rinominato Kicks per il lancio del nuovo modello presentato in Brasile appunto il 5 agosto, per oggi lancia l’Happy Bolt Day: ovviamente, possono partecipare tutti. O mandando il proprio messaggio o guardando la seconda puntata del video online su YouTube Bolt vs Flame, e potete già immaginare chi vince.

PASSAGGIO DI BANDIERA AI GIOCHI

Quanto alla cerimonia, c’è un legame con questa apertura. Torna in campo Film Maker, dunque l’Italia migliore, 40 anni di produzione di eventi, dunque l’esperienza ma anche il gusto necessario per saper muovere tutte le persone che andranno sul campo del Maracanà.

Il legame è il momento dell’handover quando il Brasile passerà la bandiera olimpica al Giappone che riavrà i Giochi a Tokyo nel 2020 (li ebbe una prima volta a Tokyo nel 64, poi due volte per le Olimpiadi Invernali). Ultimi discepoli di quella nuova religione mondiale che è lo storytelling invaderanno stadio e schermi con Manga e, pare, anche Supermario, per lasciare però un messaggio molto serio, collegato direttamente col tema verde della cerimonia d’apertura: il Giappone vuole ringraziare il mondo per non averlo lasciato solo dopo Fukushima, e anche evidentemente per avvertire che in tema di ambiente non ci sono confini a proteggerci, siamo una sola squadra.

Non misuriamo gli sforzi perché siamo continuamente rigenerati, poi all’improvviso uno stacca la spina e scopri di essere in riserva

Sono stati, gli ultimi a Rio, giorni difficili.

Spossati dagli spostamenti infiniti, persino feriti dalle notizie sul ridimensionamento delle Paralimpiadi, segno che un’altra lezione di Londra è andata persa, trattare i due eventi allo stesso modo, abbiamo faticato a trovare lo spirito olimpico e a rimpiangerne il distacco. In ogni caso, non si chiama saudade, e neppure mal d’Africa nel caso, questa malattia è la vita di noi connessi 24 ore al giorno con un evento, con una passione. Non misuriamo gli sforzi perché siamo continuamente rigenerati, poi all’improvviso uno stacca la spina e scopri di essere in riserva. E provi ad andare avanti, pescando nei ricordi, anche mettendo in fila le prossime scadenze.

IL MEGLIO E IL PEGGIO

Sono il meglio in assoluto i Giochi? Sono il meglio, ed evidentemente il peggio, proprio perché sono una fotografia, non un dipinto da interpretare.

Che pena leggere i commenti di chi ha trovato scandaloso l’accostamento tra i grattacieli del Brasile ricco le favelas del Brasile sapendo che venivano dalle stesse persone che rivendevano i biglietti. Che vergogna leggere i commenti sulla sicurezza a Rio spacciati come giudizio definitivo da chi se ne intende e assistere poi alla vicenda Lochte, con un intero Paese che si è sentito ferito, preso in giro. E anche il Cio finisce dietro la lavagna. Non perché abbia tenuto due pesi e due misure nella gestione del doping, ma proprio perché non ha avuto una misura, quello che si chiede a chi governa un Paese, o un Paese mondo come sono le Olimpiadi. E ha pure qualche colpa, il Cio, nell’essersi fatto prendere la mano dal Brasile, ma il padrone di casa che lascia carta bianca all’inquilina dovrebbe sapere che il rischio è quello dell’impoverimento del suo patrimonio. Qui c’era un problema, chiaro fin dalla vigilia: i trasporti. Quel problema è rimasto, ed è stato il fattore dominante, forse, nella risposta strana della gente: tutti al Boulevard Olimpico, o anche nei bar e nei ristoranti, a vedere le gare in diretta, lontano però da impianti che si sono comunque riempiti, tranne principalmente lo stadio Olimpico che ha il difetto genetico di essere da solo, separato da tutto il resto, in una città che ha dimensioni esagerate.

Gli sportivi sono i primi a riconoscere dei colleghi in quei ragazzi che scendono dai barconi indossando magliette di squadre europee o americane

Ma i Giochi sono anche e soprattutto una rassegna del possibile. Pensate a quanto appena scritto: ce ne sarebbe abbastanza per mollare il colpo, e pure per pensare che Roma2024 è una occasione incredibile per rimettere in piedi la capitale, per dotarla di trasporti funzionali tutti i giorni e non solo per la durata di un evento. Ovvio che di questo parleremo ancora quando le nostre piccole valutazioni si incroceranno con i bilanci del governo e dei governi dello sport.

Dai rifugiati al burkini

La rassegna del possibile è cominciata il 5 agosto quando ragazzi di 206 paesi si sono stretti su un prato per fare spazio ad alcuni di loro riuniti nel team dei rifugiati. Lo sport è inclusivo, lo dimostrano col loro entusiasmo i ragazzi che da quest’anno partecipano in tutto il mondo ai programmi di volontariato sportivo internazionale del Csi, ma non potrebbe essere altrimenti: gli sportivi sono i primi a riconoscere dei colleghi in quei ragazzi che scendono dai barconi indossando magliette di squadre europee o americane, divise, insomma presentandosi al mondo dicendo che lo lo sport è il loro linguaggio, è uno degli abbracci che cercano. Poi è proseguita con Elisa Di Francisca che sul podio ha sventolato una bandiera europea, non importa di chi fosse la regia di quel gesto, è stata lei l’interprete. Ed è arrivata al culmine a Copacabana, nell’arena del beach volley. Mentre in altre parti del mondo si discute come si può andare in spiaggia, qui ragazze di tutto il mondo scelgono ognuna il costume preferito, il più adatto alle proprie convinzioni. Oppure possiamo parlare di una ragazza italiana, Rachele, che ha dovuto vincere una medaglia d’argento per dedicarla alla compagna, come se non bastasse una vita insieme per potersi dichiarare, avendo comunque dallo sport un riconoscimento e un incitamento robusto.

LA FORZA D’INCONTRO DEL BEACH VOLLEY

Ma torniamo al beach. E’ uno sport moderno, con una storia ancora fresca alle Olimpiadi dove è arrivato ufficialmente solo 20 anni fa. Pensate allora a quale forza può sprigionare lo sport se in 20 anni arriva ad essere il punto di incontro di persone tanto diverse, delle egiziane e delle tedesche sotto rete, altra immagine con un suo indubbio potere evocativo, che abbiamo visto tutti in una delle foto iconiche di questi Giochi. Nelson Mandela che parlava da un Sudafrica non molto diverso da questo Brasile diceva: Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Bisognerà vedere adesso se questo potere sarà esercitato o mortificato. L’avvicinamento alle Paralimpiadi comincia con qualche dubbio. I nostri ricordi sono pieni di speranze che incitano ad essere positivi. Abbiamo ancora qualche cartolina da spedire da Rio: ci sentiamo ancora.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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