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Olimpiadi 4. Pindorama, il Brasile e quei cinque cerchi verdi

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Quattro ore di diretta tv sono forse uno spazio fin troppo dilatato per l’apertura dei Giochi ma se si riesce a distillare qualità da quantità ci sono stati dei momenti della cerimonia di Rio che resteranno davvero nella storia. E alla storia il Brasile ha strizzato l’occhio orgogliosamente per tutta la sera: affrontando i suoi problemi, che non sono solo le bordate di fischi al presidente Temer, soprattutto assumendo con forza il ruolo guida di un intero continente all’esordio in un evento del genere.

Qualità italia alle Olimpiadi

Della ricca parte italiana della cerimonia, ovvero del fior di eccellenze, di nuovo qualità, e delle tante persone, quantità sorprendente solo per chi non conosce lo sport di oggi, parleremo poi. Qui è più giusto riassumere i coincetti chiave di uno spettacolo che è stato davvero la spiegazione più semplice dello slogan di queste Olimpiadi che pensavamo fosse invece retorico: abbiamo visto Un mundo novo, un nuovo mondo.

Dichiariamo la tregua olimpica, insomma dichiariamo la convivenza tra diversi possibile, per non dire doverosa

Un mondo di musica, e il Brasile ha un ritmo tutto suo con cui ha contagiato tutto il mondo, magari senza conquistarlo come è riuscito al rock anglosassone, una colonna sonora sviluppata su una realtà che qui è davvero quotidiana: siamo forti perché diversi. Il meticciato è una risorsa e qui lo sanno talmente bene che hanno dedicato una ovazione al primo team dei rifugiati, gente senza bandiera che una bandiera ha trovato proprio nell’impegno dello sport a farla gareggiare al pari di altri. E così si può anche pensare che i tempi lunghi concessi alla Parata delle Rappresentative fossero un inno al Brasile: un Paese mondo. E un mondo Paese che si è concesso il messaggio pre show di Ban Ki Moon: dichiariamo la tregua olimpica, insomma dichiariamo la convivenza tra diversi possibile, per non dire doverosa perché nessuno si deve permettere il diritto di pensarsi meglio di un altro.

I CINQUE CERCHI VERDI

Poi, il colpo di genio: i cinque cerchi verdi. I cinque cerchi olimpici rappresentano i continenti allacciati, ognuno esiste se agganciato agli altri, e il verde è il colore dell’Oceania. Ma il verde è anche il colore principale della bandiera del Brasile, omaggio alle sue foreste. I cinque cerchi verdi sono un richiamo all’Earth Summit, la prima riunione sull’ambiente dei capi di stato che si svolse proprio qui a Rio nel 1992. Cosa è successo da allora, per meglio dire cosa non è successo? E via con l’elenco di problemi mai pienamente affrontati: le emissioni di CO2, il global warming, lo scioglimento dei ghiacci polari, l’aumento del livello del mare. Non solo. E’stato mostrato un piccolo elenco di regioni e città che avranno problemi seri.

Da Amsterdam a Dubai, dalla Florida a Shangai, a Lagos. Fino a Rio. Conflitto di interesse? Macché, interesse a darsi una mossa piuttosto.

Ognuno ha avuto un seme da piantare, e da un semplice gesto nascerà la Foresta degli atleti

E così non si è chiesta una mano allo sport, sono stati letteralmente mandati in missione per conto dell’umanità i partecipanti alle Olimpiadi. Il miglior esempio possibile e basta scorrere la lista dei portabandiera. Ognuno ha avuto un seme da piantare, e da un semplice gesto nascerà la Foresta degli atleti, più di diecimila alberi vicino all’X Park di Deodoro, non a caso il cuore più giovane di questi Giochi, quello riservato alle discipline cosiddette emergenti se non fossero già emerse come dimostra l’arrampicata sportiva che arriverà a Tokyo per conto anche del parkour.

E questo mondo rotondo, di curve e non di spigoli, ha il nome che gli avevano dato gli indigeni brasiliani: Pindorama, il giardino che il Pianeta può tornare a essere a patto che ognuno faccia la sua parte. Dunque, i cinque cerchi verdi sono persino l’attualizzazione della visione di de Coubertin: bisogna partecipare, bisogna impegnarsi. Il vecchio mondo ha fatto il suo tempo, ed è un tempo che non ci porta da nessuna parte: c’è bisogno di Un mondo novo.

Nello sport si gioca di squadra, tutti insieme, ecco la mano tesa, e nello sport si è davvero tutti uguali

La luce in fondo al tunnel era il senso della cerimonia. Un significato g-local, valido per tutti e ancor più per il Brasile che non si può essere certo liberato dei suoi problemi in una sera. Ma dallo sport vengono una mano e un suggerimento. Nello sport si gioca di squadra, tutti insieme, ecco la mano tesa, e nello sport si è davvero tutti uguali. Così poco conta che Pelè abbia rifiutato il ruolo di ultimo tedoforo, e se anche fosse sarebbe stato un gesto molto più regale non farlo sapere, è semmai significativo che quel ruolo sia stato affidato a Vanderlei Lima, un atleta che fu persino fermato dalla follia di uno spettatore nella sua maratona, ad Atene 2004, e che al Maracanà ha trovato la sua definitiva consacrazione come eroe nazionale e mondiale. Ci saranno imprevisti, ma quel che conta è il risultato finale, un approdo che non è garantito a chi non sa sciogliersi in un sorriso. E infatti, altra bella ispirazione, l’accensione del braciere è arrivata dopo una spruzzata di rinvigorente carnevale, una festa da ballo per tutto lo stadio e per chi ha visto alla tv lo spettacolo.

Oswald de Andrade è stato uno dei tanti brasiliani citati. La sua frase vale come un manifesto: l’allegria è la prova del nove. Bem-vindo a um mundo novo. Benvenuti nel nuovo mondo: rotondo, verde, olimpico.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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