#OpenRicostruzione ; «Ogni casa danneggiata racconta una storia»

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Intercapedine tra le amministrazioni e le famiglie, Paolo è un ingegnere libero professionista: occupandosi di seguire l’iter burocratico per avere i fondi per la ricostruzione delle case, racconta aspetti che difficilmente escono dai media: «Sei mesi: senza considerare i tempi del cantiere. Ho capito che i tempi per avere i contributi per ricostruire sono questi. Ora stanno pagando le istanze fatte l’anno scorso, ma solo per chi ha anticipato di tasca propria. Infatti chi ha già realizzato i lavori li ha anticipati, i soldi. Non c’è impresa che non voglia essere pagata prima e infatti chi non ha fatto partire i lavori è perché non aveva fondi per anticipare».

Questo è il problema. E i margini sono davvero pochi per migliorare. Forse all’interno dei Comuni? «Se si potessero sveltire le pratiche sarebbe meglio per tutti ma, nonostante i tecnici comunali siano davvero disponibili, o sono sotto dimensionati oppure non hanno l’esperienza.

Ora la macchina è in moto: molti stanno facendo domanda, ma manca il personale».

In Emilia c’è buona disponibilità, l’abbiam visto su più racconti: chi lavora nella Pubblica amministrazione territoriale è visto quasi sempre di buon occhio perché è lì, vicino alla gente. Ma i problemi rimangono: ci sono limiti strutturali che solo attraverso maggior formazione si potrebbero superare. O maggiori risorse che non arriveranno.

«Ogni procedura ha la sua peculiarità ed ogni volta che ci sono dubbi, se si chiedono informazioni, tutto si blocca: il sistema informatico che gestisce le pratiche ha aumentato la complessità, visto che se prima servivano 10 documenti, ora ne servono 20. Poi le integrazioni. E le eccezioni, come per gli edifici rurali che non hanno accesso ai contributi.

Oppure per chi non aveva la residenza nell’edifico danneggiato, nonostante ci vivesse, e non ha diritto al 100% dei danni. Oppure per la casa la cui proprietaria era deceduta giusto prima del sisma, o perché era in vendita». Storie di case danneggiate e di case da ricostruire perché, come ripete Paolo, «ogni casa da ricostruire è una storia da raccontare».

Come nel centro storico di Finale Emilia, dove ci sono molti edifici danneggiati che sono allacciati l’un l’altro o fanno parte di un unico complesso: in questi casi va presentato un unico progetto. Quindi i vari proprietari devono mettersi d’accordo e affidare tutti i lavori con un unico appalto. «Immaginatevi vicini di casa che devono mettersi d’accordo: immaginate la dialettica tra chi ha avuto pochi danni insieme a chi ne ha avuti tanti».

Storie di vicinato, ma con una ricostruzione che deve essere collettiva. Con un unico appalto.

Su questi temi, Paolo, e ne siamo felici, cita il progetto Open Ricostruzione avendo frequentato i laboratori: dopo averne parlato con Chrtistian, sentiamo un altro punto di vista, meno ufficiale, dal basso: «Sollecitare il Comune e gli enti ed avere qualcuno che viene da fuori, che non è conosciuto e che si propone per fare un controllo, è un buon modo per controllare. Direi che è imprescindibile avere questo tipo di supporto: nello staff ho trovato ottima professionalità, anzi forse troppa. È che i temi sono complessi, ma se dovessi dare un consiglio direi che bisogna abbassare il livello per ampliare la base dei cittadini disposti, e disponibili, a “sorvegliare”. Riuscissero a farlo sarebbe fantastico!».

Sopratutto ora che l’attenzione sta scemando: «Penso a chi non ha avuto danni. La popolazione è stata coinvolta a ridosso dell’emergenza, ora è diverso. Ma è necessario coinvolgere tutti, almeno per far sapere cosa sta accadendo».

E ora? E il futuro? «Siamo tornati alla vita precedente perché, e parlo di Bondeno, paese in cui vivo, uscire di casa senza vedere transenne, tranquillizza molto. Ma se parliamo delle attività economiche, devo dire che erano già in crisi prima del terremoto. Forse dovremmo pensare più al futuro che al presente, immaginando nuove vie: penso per esempio ai piccoli Comuni che, se si mettessero assieme, avrebbero più forza e più risorse con meno sprechi. Abbiamo tanti buoni sindaci di paesi piccoli, se si mettessero assieme, anche a livello economico, avremmo più forza e più spinta perché ognuno, da solo, è più debole».

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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