in

Osiris-Rex, che punta a sfruttare (in futuro) gli asteroidi

scienze

Stanotte è partita OsirisRex, la prima missione della NASA dedicata allo studio di un asteroide. Scopo della missione è raggiungere nel 2018 l’asteroide Bennu, passare un annetto a studiarlo per misurare come reagisce all’illuminazione del Sole e per decidere dove andare a raccogliere i campioni. Poi, nel 2020, Osiris-Rex si abbasserà fino a toccare la superficie di Bennu con il suo braccio meccanico lungo 3 m e mezzo, sparerà un soffio di azoto per smuovere la polvere di roccia frantumata (è regolite, come quella della Luna) che lo copre e permettere la raccolta di una manciata, se va bene un sacchetto, di materiale da mettere al sicuro in un contenitore stagno e superprotetto che poi verrà riportato vicino alla Terra dove verrà espulso dalla sonda e fatto atterrare dolcemente nel deserto dello Utah nel 2023.

MATERIALE EXTRATERRESTRE

Gli scienziati avranno così materiale extraterrestre “certificato” assolutamente privo di contaminazione, problema che invece si pone spesso nell’analisi delle meteoriti che sono (e rimangono) il nostro modo primario per studiare la composizione del sistema solare primordiale. OsirisRex non è la prima missione a riportare a casa materiale extraterrestre. L’ha fatto la missione NASA Stardust che ha usato una racchettona di leggerissimo aerogel (più leggero dall’aria) per catturare qualche granello della chioma della cometa Wild2 felicemente consegnato al mittente, nel gennaio 2006, sempre nel deserto dello Utah. Poi è stata la volta di Hayabusa il falco giapponese che, pur un po’ ammaccato, ha catturato pochi granelli dalla superficie dell’asteroide Itokawa e li ha recapitati nel deserto australiano nel 2010 (il Giappone non ha deserti e ha dovuto chiederne uno in prestito all’Australia).

In entrambi i casi si è trattato di pochi minuscoli granelli, a volte anche un po’ danneggiati. Osiris Rex pianifica di arrivare con almeno 60 grammi e, se sarà fortunato, anche un chilogrammo di materiale. Uno scialo incredibile per gli studiosi delle polveri cosmiche che sono abituati a studiare i granelli uno per uno.

ASTEROIDI “MORBIDI”

La scelta di Bennu è stata dettata da considerazioni di varia natura. Per limitare la durata della missione, si voleva un asteroide abbastanza vicino e “facile” da raggiungere. In più si voleva un asteroide che fosse “morbido” (per facilitare la raccolta del materiale) e che non ruotasse troppo velocemente, rischiando di “perdere” pezzi che avrebbero potuto danneggiare la sonda. Bennu è un asteroide nero come il carbone, perché è ricchissimo di carbonio.

E’ una specie di patatona cosmica lunga circa 500 metri, scoperta nel 1999. Lo potete vedere in 3D andando al sito http://nasa3d.arc.nasa.gov/detail/bennu. (nel caso vi pungesse vaghezza, potete anche stampare il modellino con una stampante 3D).

Il Principal Investigator della missione, Dante Lauretta dell’Università dell’Arizona a Tucson, è voluto restare in tema egizio e (con evidente arrampicata sugli specchi) si è inventato il nome che è un programma

Dal momento che Bennu (o Benu) è il nome di una divinità egiziana collegata al Sole, alla creazione e alla rinascita, il Principal Investigator della missione, Dante Lauretta dell’Università dell’Arizona a Tucson, è voluto restare in tema egizio e (con evidente arrampicata sugli specchi) si è inventato il nome che è un programma.

MISSIONE “MINERARIA”

In verità, la missione vuole soddisfare diverse comunità che perseguono lo studio degli asteroidi con finalità diverse. Da un lato gli scienziati che vogliono analizzare il materiale incontaminato per capire come si sono formate le molecole organiche complesse che sono i mattoni della vita ma anche studiare come la radiazione solare, combinata con la rotazione del piccolo asteroide, influisca sulla sua orbita (si chiama effetto Yarkovsky e, se vi interessa, trovate tutto qui), dall’altro gli investitori in startup spaziali che vedono la missione come un banco di prova delle tecnologie necessarie per organizzare in grande stile lo sfruttamento minerario degli asteroidi. Già perché di asteroidi ce ne sono di vari tipi. Accanto agli stupidi sassi carboniosi, ci sono dei ben più appetibili asteroidi metallici fatti fondamentalmente di ferro e nickel con una spruzzatina di metalli nobili (platino e simili) in percentuali anche centinaia di volte superiori a quelli della superficie terrestre.

Così superiori da rendere economicamente interessante lo sfruttamento minerario di questo tipo di asteroidi (se volete qualche dettaglio in più). In pratica, cerco l’asteroide giusto, cioè ragionevolmente vicino, metallico, non troppo grande e che non ruoti troppo velocemente, mando una navetta automatica a catturarlo con una specie di rete spaziale e piano piano lo trascino su un’orbita più comoda, magari tra la Terra e la Luna o intorno alla Luna. Una volta raggiunta la posizione appropriata entrano in azione gli astronauti che vanno a piccozzare l’asteroide come se fosse di loro proprietà.

SFRUTTAMENTO, NON POSSESSO

Peccato che l’esplorazione dello spazio sia regolata dallo Outer Space Treaty delle Nazioni Unite (firmato anche dagli Stati Uniti nel 1967) che dice che nessuno stato può reclamare la proprietà di un corpo celeste che, perciò non può essere venduto né possono essere venduti i diritti minerari ad esso relativi.

Gli astronauti e gli investitori USA possono, però, appellarsi allo U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act firmato l’anno scorso dal presidente Obama allo scopo aumentare la competitività aerospaziale privata.

Tra l’altro, la legge dice che ogni cittadino americano che ricava materiale da un asteroide è libero di riportarlo a terra e venderlo, nel rispetto gli obblighi internazionali degli Stati Uniti (“A United States citizen engaged in commercial recovery of an asteroid resource or a space resource under this chapter shall be entitled to any asteroid resource or space resource obtained, including to possess, own, transport, use, and sell the asteroid resource or space resource obtained in accordance with applicable law, including the international obligations of the United States.’’ ).

Tuttavia, per non infrangere lo Outer Space Treaty la legge specifica che gli Stati Uniti non reclamano la sovranità sugli asteroidi nè il loro possesso (It is the sense of Congress that by the enactment of this Act, the United States does not thereby assert sovereignty or sovereign or exclusive rights or jurisdiction over, or the ownership of, any celestial body).

1 MILIARDO DI DOLLARI

In altre parole, gli asteroidi si possono sfruttare ma non possedere. La distinzione è sottile e tutt’altro che chiara. Per esempio, cosa succederebbe se due diverse spedizioni, magari di diverse potenze spaziali, decidessero di sfruttare lo stesso asteroide? Il primo che arriva ha tutti i diritti? Si tira a sorte? Il problema non si pone per la missione OsirisRex che sfrutterà Bennu solo dal punto di vista scientifico. L’investimento di 1 miliardo di dollari fatto dalla NASA produrrà conoscenza, un bene prezioso, anche se difficile da quantificare in termini economici.

PATRIZIA CARAVEO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

What do you think?

Scritto da chef

innovaizone

Neelie Kroes premia una startup e Ilaria Capua parla alle ricercatrici

lifestyle

Le 10 cose indimenticabili della Maker Faire Rome