P2P: Michel Bauwens e le nuove forme di cooperazione

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Non è un nome che si incontri spesso sui giornali, e nemmeno dentro alle università. Ma per chi è attento alle dinamiche collaborative in rete e non, Michel Bauwens è una delle figure più interessanti che si possano incontrare. Intellettuale e attivista, belga trasferito in Thailandia, il fondatore della “Foundation for peer-to-peer alternatives”, meglio conosciuta come P2P foundation, è un inarrestabile globetrotter che gira il mondo per diffondere il verbo del peer-to-peer.

Lo scorso 14 febbraio è stato ospitato a Milano al PianoTerra, dove si è tenuto un incontro intitolato “Let’s collaborate. Peer to peer and new forms of cooperation”.

Per Michel Bauwens il P2P non è solo l’architettura di una rete di file sharing, ma una definizione che include tutte le forme di cooperazione che si svolgono in modo decentrato, libero, paritario e grazie a un pool di risorse comuni: i commons.

La produzione P2P è all’opera in Wikipedia, ma anche nei gruppi di acquisto solidale, nelle cooperative di consumo o nelle comunità di design open source. “Il P2P è qui per restare” dice Bauwens, che parla di una trasformazione profonda dei nostri sistemi economici.

I più entusiasti tendono a rimuovere la complessità dei fenomeni di cooperazione: “i maker cambieranno la produzione industriale”, “Twitter è uno strumento di liberazione nei paesi arabi”, “Liquid Feedback aumenta la democrazia”, e via citando.

Bauwens invece pur dando per scontato che la produzione P2P rappresenti già oggi un’alternativa che lascia intravedere un vero e proprio cambio di paradigma, ha sottolineato che la direzione del cambiamento dipende da fattori politici e non solo dalla diffusione di alcune tecnologie. Certo, nei progetti P2P il 100% delle persone lavorano perché lo vogliono, non perché sono obbligate.

E lo fanno in un contesto in cui invece della divisione del lavoro tutto funziona tramite un’allocazione efficiente dei compiti da svolgere. Il sogno di qualsiasi esperto di management aziendale. Ma chi controlla il prodotto del loro lavoro? Se il valore prodotto da chi contribuisce ai beni comuni non resta nelle loro mani, quello che si va affermando è “un sistema suicida”.

Le possibili evoluzioni politiche del P2P dipendono quindi dalla risposta a questa domanda. Bauwens vede quattro possibili scenari per la produzione P2P, organizzati attorno agli assi locale/globale e controllo centralizzato/controllo distribuito. Tutti sono già esistenti, ma quale prenderà il sopravvento?

Il capitalismo netarchico è quello di Facebook ed è lo scenario meno sostenibile sul lungo periodo: tutto il valore prodotto dagli individui a livello globale viene raccolto dall’azienda che controlla la piattaforma.

Il capitalismo distribuito è quello di Kickstarter, dove il libero mercato è mediato da piattaforme P2P ma la grande massa degli individui è esclusa dalla ricchezza prodotta.

Le comunità resilienti applicano processi P2P con un controllo distribuito ma a un livello locale: è il caso di Curto Cafè, una coop brasiliana che redistribuisce la ricchezza tra i produttori tramite pratiche open nella catena di produzione e distribuzione del caffè. Infine i commons globali, dove la produzione è controllata a livello locale ma il pool di risorse cui si attinge è globale, grazie alle comunità di open design connesse tramite la rete.

Sono evidenti i rischi di una trasformazione basata sulla convivenza virtuosa tra progetti no profit e imprese, tra individui che collaborano liberamente in rete e squali che possono sfruttare la ricchezza prodotta per scopi privati. Le imprese progettano scarsità: per esempio tramite l’obsolescenza programmata, cioè prodotti fatti per durare poco. Le comunità al contrario lavorano per creare sostenibilità.

Secondo Bauwens, occorrono mezzi per obbligare tutti gli attori a rendere sostenibili le proprie pratiche. Una licenza P2P sarebbe l’equivalente di una licenza Creative Commons ma con alcune clausole per favorire i produttori che non si limitano a sfruttare i beni comuni ma li alimentano. Poniamo che un nuovo microchip open source entri sul mercato. Le istruzioni per produrlo sono a disposizione di tutti. Se la tua azienda contribuisce ai commons (perché migliora il microchip e reimmette nel pool comune le informazioni per farlo, per esempio) può produrlo gratuitamente. Altrimenti deve pagare le royalty, come farebbe per un prodotto brevettato.

La politica della P2P Foundation si basa su questo assunto: è necessario estendere le strutture economiche P2P sostenibili dai modelli micro che oggi sono già all’opera a un modello macro, e dunque rendere la produzione P2P davvero globalizzata e democratica. L’incontro finisce con l’esortazione a occuparsi dei beni comuni, contribuire immettendo nel dominio pubblico la ricchezza che produciamo, e fondare e far crescere comunità P2P. L’open source significa mettere in comune la conoscenza, ora dobbiamo costruire le infrastrutture per allargare il P2P a tutte le forme di produzione.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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