Nell’era dei social network diventa sempre più comune l’abitudine di raccontarsi in rete di fronte a milioni di persone. A volte, anche gli aspetti più duri e difficili della vita di tutti i giorni vengono veicolati attraverso un tweet o un aggiornamento su Facebook. Stiamo sperimentando una nuova forma di racconto o è solo l’accantonamento del pudore personale? A questo proposito vogliamo segnalarvi questo post che Paolo Iabichino ha scritto sul blog Invertising ospitato da Wired.it.
In un giorno di festa, una riflessione estemporanea, visto che parliamo di libri. Da qualche settimana svetta nelle classifiche dei libri più venduti, il romanzo di Gramellini che ha ampiamente superato le 500mila copie ed è a tutti gli effetti un fenomeno editoriale da guardare con attenzione.
Perché non stiamo parlando di Faletti, Saviano, Fabio Volo o le ricette della Parodi. Il pop editoriale che può essere snobbato o incensato c’entra poco con le pagine del giornalista-scrittore. Vuoi perché la sua presenza televisiva nulla ha a che vedere con il suo scrivere, vuoi perché siamo di fronte a un romanzo introspettivo, autobiografico, ricco di sentimenti intimissimi e privati.
Disclaimer obbligatorio: per quanto mi piaccia la scrittura giornalistica di Gramellini, il suo romanzare non riesco proprio a godermelo. Lo trovo dolciastro e stucchevole. Tardamente new age e lontano dal mio sentire, ma tant’è.
500mila copie in libreria sono a dirmi che c’è ancora tantissima gente che legge. E che il privato di chi scrive ha un ascendente del tutto nuovo.
Forse inedito. Forse da analizzare in relazione a un mutamento culturale.
Ed è colpa di Facebook. Perché dentro le 500mila copie di Gramellini c’è lo scendere nelle profondità di un lutto personale. C’è il suo stato d’animo in gioco e credo (spero) che il successo di questo romanzo abbia sorpreso un po’ anche lui.
I lettori, i tanti lettori che leggono in poche ore le sue 200 pagine sono ormai abituati a scorrere gli stati d’animo di ciascuno attraverso gli status o i tweet. Nei nostri social network non galleggiano solo bit di conoscenza e onde di intelligenza collettiva. Ogni giorno ci sono miliardi di emozioni in circolo. Magari si nascondono dietro i pixel di una fotografia o le sequenze di un video condiviso, ma a tratti ciascuno di noi offre agli altri una parentesi del suo sentire.
Ogni giorno, ciascuno di noi, apre uno spiraglio sulle sue emozioni.
Che ci piaccia o no. Accade. È un fatto. Ed è come se tutti noi ci stessimo abituando a questa lettura sottopelle. Ed è come se le 500mila copie di Gramellini ci stessero consegnando un “nuovo” genere letterario quello dell’autobiografismo compulsivo.
Quello in cui una mamma che muore la elabori sugli scaffali degli autogrill, senza il pudore delle lacrime o il tabù del dolore. C’è la retorica dei sentimenti ad aiutare, e la grammatica di Facebook a dirti che avrai ragione, ché oggi vogliamo leggere prima di tutto come stai. Leggere il tuo status d’animo.
Io ho sempre protetto i miei lutti e non è rilevante il fatto che Gramellini mi piacca o meno. È rilevante però sottolineare che forse Facebook sta dettando una nuova sintassi emotiva. Che ciascuno sembra cercare anche in quello che compra. Che oggi è nelle pagine di un bel libro e chissà se domani si arriverà a pretendere anche da un’automobile, da uno shampoo o da una latta di pomodori.