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Parole e nomi, tra specialità e normalità. Così abbiamo scelto “FABLE”

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Mi dicevano che ero una bambina speciale, e io non capivo il perché. Cosa avevo di diverso dagli altri bimbi che andavano a scuola come me, che giocavano come me, che ridevano come me. Non ero affatto speciale, se non guardavi quello che mancava. Cosa mi rendeva tale? La mancanza di un braccio?

Io pensavo “Fabia” un nome come tutti gli altri, e invece non era troppo comune. Breve e deciso. Facile da nominare o scrivere.

Però, in passato, vi dico che le associazioni alla gente non sono servite. Forse funzionavano solo in terra veneta, quando te la cavavi con un “come la macchina Skoda” o “come l’acqua”. Magari all’età di dieci anni, e comunque riuscivano a inserire una elle e una vu, o aggiungevano una ola o una na.

Fabia, si vede, era troppo complicato.

Credits: squarespace.com

Due settimane fa, esattamente il mercoledì, avevo detto tra me e me: “Il mio nome è un anagramma”. Non so per quale motivo quel giorno ha fatto di nuovo capolino questa cosa del gioco enigmistico che trovavo poco indicata nel mio caso. Era l’opposto di quel che vivevo. Poco dopo una notifica Google Plus. “Che cosa hanno in mente ora?” Era Bruno che scriveva: “Dobbiamo cambiare e decidere i nomi dei nostri progetti.” La team leader della protesi elettromeccanica, Stefania, ha subito preso l’iniziativa.

Io ero a lezione, allo stesso modo ho iniziato a partecipare alla discussione. Ero curiosa. Proponeva un’idea. Credevo fosse già un privilegio essere dentro a OBM Initiative, in realtà non era tutto.

Avevo iniziato a scrivere il diario da un’idea puramente spontanea. Mi ero detta: è per tutti coloro che ancora non hanno trovato qualcuno, sono soli o hanno paura.

Che semplicemente non conoscono una realtà così. Devo raccontarla, punto. Cosa me ne faccio se questa non viene condivisa, ascoltata, vissuta da persone vicine e lontane?

Stefania ha proposto un nome: Fabula. Voleva rimandare al mio di nome e all’idea narrativa del diario. Mi ha sorpreso parecchio leggere un nome che rimandasse in un certo modo al mio e alla narrazione di una storia, cioè tutto in uno, era strano. Non concepibile. Il suono latino, forse troppo chiuso della seconda vocale, rendeva buio un po’ il resto, l’apertura, la condivisione della parola stessa.

Mi dava questa impressione.

Altri volontari proponevano nomi diversi che si aggiungevano alla lista. Dopo una trentina di commenti sotto alla domanda di Bruno: “Non dobbiamo inserire project o hand. Ce ne saranno altre di mani e ogni singola deve avere il suo. Perciò continuiamo.” Nuove idee. Trovare e decidere un nome non è facile. Alcuni per assonanza, altri per cambio lettera, altri internazionali o inventati. Insomma, ci sbizzarrivamo. Ed eccone infine due nella short list.

Tra una lezione e l’altra ci pensavo sempre. La responsabilità che concretamente le cose si stessero mettendo in piedi mi dava un po’ d’ansia devo dire. Città della Scienza, l’11 aprile si avvicina, i preparativi e le persone che ci lavorano dietro sono tante, costantemente.

E io dovevo fare la prima prova, le misurazioni della mia manina.

L’esperienza nell’altro posto era stata alquanto brutta. Io forse non ero pronta o le persone quelle sbagliate, non lo so. OBM Initiative non è una community parcheggiata solo su Google Plus, ma gli incontri ci sono per davvero.

A Torino, dove abito per adesso, fortuna vuole che vivono anche due ragazzi dell’organizzazione. Si sa però che quando si è studenti fuori sede cambiano i piani almeno dieci volte al giorno all’interno di un appartamento, così alla fine abbiamo optato per incontrarci in un luogo diverso.

Torino è grande, ma ogni volta mi sorprende. Per arrivare alla Scuola Holden percorro ogni giorno la stessa strada, passando di fronte al Cortile del Maglio: una piazza coperta, al cui interno ci stanno diverse attività commerciali dedicate alla rivalutazione del quartiere storico e caratteristico di Borgo Dora. Soprattutto aziende grafiche, di design e innovazione. Ecco, lì c’è uno studio, il Prototype Factory. È un laboratorio creativo che si occupa di nuove tecnologie come il taglio laser e la stampa 3D. Dall’idea alla protipazione rapida alla realizzazione. Coincidenze astrali hanno fatto sì che ci trovassimo lì, perché Giovanni, uno dei modellatori, lavora proprio presso questo studio. E ti domandi come questo sia possibile. Entrati in un mondo strano, ma questo lo sapete già, ci siamo sistemati al piano di sopra. E lì, le prime prove con Irio, nome particolare anche il suo, e Giovanni.

Si andava di metro e penna a cose come lo scanner 3D, con alla fine una Fabia riprodotta in 3D nel loro computer, per sapere bene le misurazioni, il come.

Tra una chiacchiera e l’altra ce la siamo cavata, io che pensavo andassi di invasature e tutte le cose che seguono. No, niente di tutto questo. A due passi da casa e Scuola.

Il Cortile del Maglio (Torino)

Per il nome della protesi ho deciso anch’io, ammetto. Ma non è tutto.

Orlando, uno dei membri, in poco tempo è riuscito a trovare un acronimo per il nome: Fingers Activated By Low Cost Electronics, FABLE.

I giochi enigmistici erano dalla nostra parte in quei giorni. È un caso? Non lo so. Non credevo alla storia dell’anagramma e mi sembrava assurdo. Ora, forse, un pochino sì.

Da bambina non sapevo nemmeno il significato della parola speciale, eppure mi veniva detto. In quelle circostanze è sinonimo di poverina. Quando la paura non supera l’incontro.

Quando non rientra in ciò che consideriamo normale. Ma esiste la normalità?

FABIA TIMACO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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