Partite Iva, smartwork, reddito minimo, il 2016 è l’anno dei freelance

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Questo sarà (è già) l’anno dei freelance e vi dico perchè. 
La mia non è una previsione quanto una constatazione.

Il Governo, dopo la prima, criticata bozza, sullo statuto del lavoro autonomo e il tweet bombing di alcune associazioni di freelance (#NonCiGarba), ha nominato il sottosegretario Tommaso Nannicini, economista della Bocconi che si occupa delle partite Iva.

Giovedì 28 Gennaio é stato approvato nel Consiglio dei Ministri il DDL riguardante “Le misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato a tempo indeterminato” (smart work), collegate alla legge di stabilità, per la discussione in parlamento.Nel merito ci saranno tutele per la maternità/paternità e congedi parentali.

Le donne potranno ricevere l’indennità di maternità continuando a lavorare e avranno diritto a un congedo parentale di sei mesi, fino ai tre anni di vita del bambino.

Misure che però secondo la CGIA di Mestre interesseranno circa duecentoventi mila lavoratori autonomi, il sei per cento rispetto a una platea di quasi tre milioni e novecento mila partite Iva. Mentre le misure di contrasto ai ritardi di pagamento oltre i sessanta giorni dovrebbero riguardare quasi due milioni di professionisti.

Si introduce la deducibilità dell’assicurazione che la partita Iva potrà contrarre in caso di insolvenza del clienti. Ripristinata, dopo il tweet bombing, anche la tutela per malattia grave, il versamento dei contributi è sospeso per un periodo non superiore a centocinquanta giorni.

Prevista la deducibilità al cento per cento delle spese per la formazione, fino ai diecimila euro l’anno

E, per finire vengono previste tutele sui diritti di utilizzo economico delle invenzioni del professionista.

Le risorse stanziate ammontano a dieci milioni per il 2016 e cinquanta milioni per il 2017. Finalmente un piccolo passo, qualcosa si muove!

La Cgil non ci sta, e le partite Iva vogliono di più

La CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro ha lanciato il 18 gennaio, la sua Carta dei diritti universali del lavoro, che comprende per la prima volta anche il lavoro autonomo, attIvando un percorso che prevede una consultazione tra gli iscritti al sindacato fino al 19 Marzo e annunciando che la carta diventerà una proposta di legge popolare.

La “Coalizione 27” (#27F), un raggruppamento associazioni di freelance, gruppi e singoli, ha lanciato la sua Carta dei diritti dei freelance e degli ordinisti.

E lo ha fatto con una bozza concepita per essere discussa nel tour di presentazione che ha appena avviato, come scritto in premessa: “Creare una Carta delle pretese e dei diritti dei lavoratori autonomi e dei freelance è cosa utile per interloquire criticamente con l’iniziatIva legislatIva del governo che, con il Dl collegato alla Legge di stabilità, intende presentare uno Statuto del lavoro autonomo professionale”.

Le misure rese pubbliche però non contemplano risposte sistemiche e rimangono fuori la questione previdenziale e quella fiscale.

Inoltre non riguardano tutte le professioni ordinistiche e non.

Siamo ai nastri di partenza in cui ognuno si organizza, una stagione nella quale il governo dovrà avere la capacità di interloquire con le diverse istanze, tra cui quelle della coalizione 27febbraio, con una carta che tiene insieme queste diverse professionalità e prevede l’introduzione di un equo compenso e di un reddito di cittadinanza. Mentre il Sindacato finalmente si apre ad altre istanze del lavoro con uno statuto molto ambizioso sulla “carta”, in cui i diritti sono universali, al di là della categoria di riferimento, prevedendo anch’essa l’introduzione di un equo compenso. Una misura che sarebbe davvero prioritaria dato l’impoverimento generalizzato dei lavoro autonomo.

Nuovi paradigmi dell’innovazione

Dopo circa trenta anni, col mutamento del sistema economico produttivo e con lo sviluppo dei servizi del terziario avanzato, anche le nuove figure professionali finalmente emergono anche nel dibattito pubblico.

Mettere in relazione diritti e innovazione, significa valorizzare il capitale sociale e competere al meglio sui mercati internazionali.

Significa competere non sul basso costo del lavoro, bensì sull’alto valore aggiunto del Made in Italy, che include i nostri professionisti e la loro creatività.

La discriminazione sociale vissuta fino ad oggi delle partite Iva, somiglia molto ad altri tipi di discriminazioni. La stagione di modernizzazione che sembrava conclusa e ratificata nel 900 con la carta costituzionale, contro discriminazioni di sesso, razza, religione e condizione sociale, Articolo tre della costituzione, sembra di nuovo necessaria. Nel mondo globale e interconnesso in cui viviamo questo riguarda i diritti, in relazione al concetto di innovazione e alla sua necessaria riformulazione. Sono state coniate definizioni come open innovation (l’impresa non è più un sistema chiuso) o quella di social innovation che prende in esame l’impatto sociale dell’attività d’impresa sul mondo circostante, proprio tenendo conto dei cambiamenti intervenuti. C’è un “diritto all’innovazione” che si affaccia nel XXI secolo grazie alle nuove istanze sociali e ai mutamenti economici in corso e ne vedremo delle belle!

Intanto si affollano alcune domande nella mia testa, il governo andrà oltre gli aspetti formativi e di welfare minimo con la discussione in parlamento? I soggetti sociali e sindacali sapranno interloquire tra di loro? Il Governo e le forze in parlamento sapranno dialogare con questi soggetti? Si stanno scaldando i motori, l’importante è che il dibattito pubblico si allarghi, il confronto nel merito è appena iniziato e va rispettato, stimolato e conquistato passo dopo passo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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