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Peppe Sirchia: sapevate che il paese delle meraviglie si chiama Favara

innovaizone

Sapevate che il paese delle meraviglie esiste? Sapevate che si chiama Favara? Avevo sentito parlare (e bene) di questo mondo fatato nel bel mezzo di una città silente e finalmente sabato scorso ho avuto modo di vederlo con i miei occhi. Favara è una città che sta(va) morendo, una città che cade(va) a pezzi, dimenticata dai suoi stessi abitanti.

Una volta giunto in città non credevo ai miei occhi, lo sconforto mi avvolgeva ed il primo pensiero è stato: «È questa la sesta città al mondo consigliata per il turismo legato all’arte contemporanea?». Favara non si presenta bene e, ad essere onesto, in quel momento ho borbottato un: «Beh… se questo è il contesto, qualunque cosa che abbia un colore diverso dal grigio qui è arte».

Arriviamo alla trattoria dove avremmo dovuto incontrare una ragazza che fa parte di questo collettivo di giovani talenti. Valentina è una ragazza che ti fa sentire a tuo agio dopo 3 minuti. Non smette mai di parlare e non smette mai di dire cose interessanti. Ci racconta gli ultimi tre anni di Favara, degli Artisti e del Castello.

Premetto che la trattoria dove abbiamo cenato era da oscar, quindi il piacevole chiacchiericcio era accompagnato da un primo di pesce fuori dal comune e da una cameriera assolutamente strampalata ma simpatica.

Tra una chiacchiera, un racconto e una risata si fa tardi… è arrivato il momento di guardare con i nostri occhi il paese delle meraviglie. Valentina ci avvisa che il posto non è lontano, così decidiamo di incamminarci a piedi.

Erano le 11.00 di sera di un caldissimo sabato di agosto, intorno a noi il silenzio era interrotto dallo smarmittare di qualche motorino truccato come la peggiore prostituta su cui dei ragazzi con un linguaggio da lord inglesi si insultavano tra di loro.

Saranno passati si e no due minuti, e nonostante la luce fioca e arancione che proveniva dai lampioni che dondolavano tra i palazzi, la nostra attenzione viene catturata da un particolare… le strisce pedonali che si presentano davanti a noi non sono delle semplici strisce… sono parte di una epica scena di space invaders! Capiamo che è arrivato il momento di svoltare e… Benvenuti alla Farm.

Perché a Favara basta voltare l’angolo di una stradina del centro per essere catapultati in un altro luogo, in un altro tempo.

Non credo ci sia una capitale europea paragonabile perché Farm è un universo a sé. Valentina è il perfetto cicerone e ci fa fare un giro molto dettagliato dei sette cortili-microcosmo che contengono le opere.

I sette cortili di Farm sono tutti colorati di bianco così come i palazzi intorno, di matrice tipicamente araba, anch’essi tutti colorati di bianco. Poi c’è l’arte che invade e pervade le viuzze, si affaccia alle finestre o pende dai balconi, urlando i colori, scuotendo coscienze. Tutto è arte in Farm… anche il bagno.

Ma non voglio parlarvi di arte perché non ne sono capace, voglio parlarvi del cambiamento.

La Farm è un esempio di cambiamento di cultura vera. È un posto aperto a tutti, dove nessuno ti guarda dall’alto in basso perché “non sei dell’ambiente” o perché “non sei un addetto ai lavori”. Tra le persone di Farm c’è la coscienza che il cambiamento ha bisogno di tempo per appartenere a tutti, soprattutto in una regione che, diciamoci la verità… è un po’ bigotta. Da noi “cambiamento” significa dover fare i conti con ogni tipo di ostruzionismo e insulto, dalla politica all’opinione pubblica per finire al ragazzino che non capisce la differenza tra un’opera e un giocattolo e tenta di distruggerla.

Tra i cortili di Farm nessuno giudica, si dialoga, si cerca di far capire che anche dietro uno strano uomo vestito in maniera bizzarra che si dimena in maniera imbarazzante c’è uno studio, qualcosa che magari non arriva subito ma che va rispettato.

E se non siete convinti che questo sia il cambiamento vi aggiungo una nota, forse una delle più importanti. Non ci sono soldi pubblici in Farm. Era il 2010 quando Andrea Bartoli e la moglie Florinda Saieva, fondavano questo posto, senza chiedere niente a nessuno, mecenati del ventunesimo secolo. Si aggiunge presto un collettivo di architetti che si mettono a disposizione per “la messa in sicurezza del centro storico”. Poi arriva il collettivo FUN (Favara Urban Network), giovani volontari che dedicano il tempo libero (e non solo) per “rianimare il paese”, poi arrivano gli artisti che acquistano le case a Favara ed i CEO di grandi aziende estere che acquistano le case a Favara. Aprono alberghi e B&B, tornano ben quattro bar nella piazza principale, riapre il Castello che diventa anch’esso un concentrato di arte ed una deliziosa meta per il turismo. Favara vive.

Favara è un esempio della cultura del fare, la Farm è uno di quelli che amo chiamare Centri di Contagio della Nuova Sicilia.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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