Per innovare davvero, gli open data devono tirar fuori il lato sexy

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Tra le aspettative dell’open data c’è quella di favorire l’innovazione e, pertanto, facilitare aziende e professionisti, ma perché questo accada – prendendo in prestito una frase di Gigi Cogo – occorre che i dati siano sexy. Un aggettivo molto forte che mette in evidenza la necessità avere tanti dati altamente riusabili, aggiornati e ben documentati.

Caratteristiche volute anche dalla carta dei dati aperti del G8: un documento di indirizzo, nato dopo l’ultimo G8, in cui gli stati aderenti si impegnano a realizzare il rilascio di molti open data di qualità orientati al miglioramento dei governi e all’innovazione in un arco temporale che dovrebbe entrare a regime entro il 2015. Parte di questa lista era già stata presentata in vista del G8. Per questa occasione gli stati membri erano stati invitati a confrontarsi su nove categorie: dati di trasporto pubblico, codici di avviamento postali, leggi, risultati elettorali, bilanci, spesa pubblica, mappe e registro delle imprese.

Sulla base di queste categorie “sexy”, Open Knowledge Foundation ha dato vita ad un censimento – census.okfn.org (a cui ho partecipato, qui sopra un quadro dei risultati) in modo da avere una metrica sulle reali possibilità di pubblicare in open data questo patrimonio. OKFN ha così individuato una serie di indicatori legati al concetto di open data. Il primo fra questi, naturalmente, quello della disponibilità del dato, che a sua volta necessita di investigare su chi ha la competenza di gestirlo.

Rispondendo a questa domanda ci si accorge che gli attori da interrogare non sono specificatamente le pubbliche amministrazioni, ma enti para-pubblici che, spesso, gestiscono infrastrutture. Per cominciare questa analisi basta partire dal primo dataset richiesto: i dati di trasporto pubblico.

Quando mi sono trovato davanti al questionario da compilare, ho avuto molta difficoltà nel rispondere. Non sembra esistere in Italia un referente unico. Inoltre, il tema, si espande su tantissime sotto-tipologie: autobus urbani ed extraurbani, treni, traghetti, aerei… Uno scenario di difficile risposta, eppure, almeno gli orari di attesa dei mezzi pubblici, sono percepiti da chiunque come un bene pubblico e necessario affinché si possa utilizzarli. Al fine di individuare una risorsa che copra gran parte del territorio, nel gruppo che si è occupato del censimento, abbiamo scelto le ferrovie.

Il risultato dell’indicatore non è stato però vincente, senza entrare nei dettagli tecnico/giuridici basta domandarsi se esiste almeno un servizio online dove è possibile pianificare un viaggio utilizzando i servizi di Trentitalia e quelli di Italo.

Curiosamente però sui servizi offerti da Deutsch Bahn e ÖBB è possibile pianificare incrociando i dati di treni italiani e austro/tedeschi che attraversano il nostro Paese.

I dati di trasporto sono senza ombra di dubbio dati sexy, dati da cui possono nascere tantissime idee con un grandissimo consenso e quindi permettere nuovi scenari. Durante OKFestival ad Helsinki, un gruppo di policy makers, esperti di dominio, aziende, attivisti e sviluppatori si sono incontrati definendo l’Open Data Trasport Manifesto, in cui, in pochi passaggi, vengono descritti i reali vantaggi che si possono avere sia come società che come imprese sul fronte di questa azione di apertura.

Google offre il servizio Google Transit, che permette di pianificare percorsi a piedi e con mezzi di trasporto in tutto il mondo. Il limite è dato dal numero di aziende di trasporto che aderiscono all’iniziativa. Molte di quelle italiane stanno partecipando, sicuramente di questo ne giovano coloro che devono spostarsi nelle città coperte dal servizio, ma quante di queste a loro volta condividono questi dati secondo il paradigma open data?

Il sito gtfs data exchange (gtfs è il formato con cui i dati devono essere impacchettati per essere utilizzati dalla piattaforma) presenta, su base volontaria, le risorse dove trovare i dati da scaricare e riutilizzare. Inutile nascondere che le aziende italiane si contano sulle dita di una mano. Un limite non indifferente, visto il prolificare di applicazioni che usano il formato GTFS e che possono, di conseguenza, permettere la nascita di nuove idee. Un esempio è dato dal software open source OpenTripPlanner, che attraverso questi dati e grafi stradale (con possibilità di utilizzare quello di OpenStreetMap), offre una piattaforma per creare servizi di integrazione fra trasporti intermodali (aprendo scenari con intersezioni con carpooling/carsharing, bike sharing, navette per eventi ecc…).

Un ulteriore spunto è dato da Mapnificient dove è possibile ottenere, a partire da un punto su una mappa (ad esempio Piazza Castello a Torino), le zone raggiungibili con i mezzi pubblici nel giro di 5,10 e 15 minuti. Una applicazione ispirata dallo studio del 2006 sulle mappe temporali di Londra fatto da MySociety dove, l’esempio più noto, è quello che permette di incrociare (mettendo in ombra le zone non interessate) le aree raggiungibili attraverso i mezzi di trasporto pubblici con i prezzi degli affitti delle case dalla sede della BBC.

Altri esempi, sempre sui dati di trasporto, vengono dall’azienda di trasporti di Torino che, oltre a pubblicare le tabelle di attesa dei mezzi di trasporto, offre anche le informazioni sui parcheggi liberi con la relativa creazione, da parte di terzi, di applicazioni per smartphone che aiutano l’automobilista di turno. Ed è proprio da qui che vorrei proseguire questo mio intervento: da come le aziende possono trarre vantaggio nel rilasciare i dati.

Rimanendo ancora in ambito di trasporti, vale la pena citare l’esempio austriaco di Linz: l’azienda del posto non solo ha rilasciato i dati, ma ha offerto anche dei servizi via API sulle posizioni in tempo reale. Da qui sono nate cinque applicazioni, fra cui la più nota quella con la mappa di OpenStreetMap che mostra le posizioni di autobus e tram in tempo reale. Per l’azienda questo è stato un risultato di open innovation: un risultato per cui, la missione dell’azienda di trasporti di “attirare nuovi passeggeri” si realizza nella continua diffusione dei dati e di strumenti per interrogarli.

Ed è proprio da qui che voglio proseguire il resto di questo articolo: se i dati sexy, nella maggior parte dei casi, sono in mano ad aziende private, come possono le aziende sfruttare questo al proprio vantaggio? L’esempio italiano più noto è quello di ENEL, un’azienda di grandi dimensioni, una multinazionale, un’azienda che ha deciso di sposare il concetto di open data all’insegna di tre concetti: migliorare il mercato, aumentare la trasparenza e favorire l’innovazione tecnologica.

Non è mia intenzione fare pubblicità a questa azienda (la quale, tra l’altro, i dati più sexy che ha non li ha ancora resi pubblici), ma mi piacerebbe stimolare a seguire le esempio, ad aprire il dibattito su come chi possiede dati sexy può trarre vantaggio per la propria azienda. Un punto di partenza semplice, a tratti ingenuo, parte dalla strategia di fare informazione sui prodotti che una azienda offre. Prendiamo l’esempio dei supermercati: informazioni sui punti di vendita, orari di apertura, offerte del mese ecc… vengono diffuse quotidianamente al fine di attirare nuovi clienti. Perché non offrire questo (o parte) anche come open data? Un’azione semplice che permette di mettere in evidenza cosa si ha disponibile al fine di portare i clienti anche su altri prodotti.

Il paradigma open data non può essere applicato quando si è davanti ad alcune questioni di privacy e segretezza. Variabili che spesso mettono in discussione il reale riuso del dato, in quanto sono necessarie azioni di aggregazione e anonimizzazione per permetterne la diffusione. Sulla base di queste variabili ed altre come la tempestività degli aggiornamenti, la quantità, la qualità, l’accesso ai servizi di erogazione, ecc.. un’azienda può aprire il suo mercato di data market. Il concetto è quello di fremium, attraverso cui un prodotto (in questo caso i dati) viene distribuito in una versione gratuita limitata nell’uso (open data), e in una commerciale con maggiori funzionalità (= le variabili viste prima).

In questa operazione però, sul fronte open data, il livello di riuso (in ogni sua forma) deve comunque rimane alto, altrimenti non si riesce ad attrarre nessun interesse. Pertanto open data non solo come strumento di reclutamento di nuove idee o di personale, ma anche di marketing. Un marketing che spesso può essere utilizzato anche nel migliorare la propria immagine aziendale, aumentando la trasparenza (es. pubblicazione del bilancio), veicolando informazioni sulla propria struttura, su strumenti utilizzati, nel pubblicare un bilancio sociale accompagnato anche dai dati oltre che dalla loro rappresentazione ecc…

Infine, un qualche passo, una azienda lo può anche fare cercando di confrontarsi con una comunità. Nuovamente ENEL, qualche mese fa, ha dato vita ad una operazione molto semplice: oltre che pubblicare dati aperti, si è confrontata con una comunità. Nel caso specifico quella di OpenStreetMap. L’operazione fatta è stata molto semplice, ma con un notevole ritorno: sono stati importati nella piattaforma le coordinate geografiche degli uffici di accoglienza dei clienti e quelle dei punti di rifornimento per le macchine elettriche, con conseguente entusiasmo da parte della comunità e miglioramento sui dati inseriti.

Un’operazione semplice, a basso costo (quantomeno per una azienda di quelle dimensioni) ma con un ritorno importante. L’open data è un bene comune, far parte del suo ecosistema vuol dire confrontarsi, il confronto può portare notevoli ritorni ed è solo con i sexy data che l’aspettativa di creare innovazione si potrà realizzare.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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