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Perché abbiamo inventato 5 aziende impossibili

innovaizone

“Il Futuro non esiste: è una performance che ci vede tutti coinvolti attraverso le dimensioni del desiderio e dell’immaginario.”

All’ISIA di Firenze abbiamo lanciato il nostro primo – e corposo – progetto di Near Futur Design, attraverso una performance che vi ha coinvolto direttamente come lettori di questa piattaforma.

Questa frase in qualche modo può essere considerata la frase-guida del progetto che dedichiamo ad Antonio Caronia: performer di futuri possibili e immaginari che ha regalato tanto a tutti noi nel suo passaggio su questa terra.Molto del “cosa”, del “come” e del “perché” di quanto oggi conoscerete in questo articolo come Near Future Design si deve a lui. [1] Dalle 5 aziende impossibili al palco di FoI2013Qualcuno di voi avrà infatti notato il nostro repentino interesse per le nanotecnologie delle ultime settimane: cinque progetti borderline, dal futuro dei GoogleGlass a sex toys di nuova generazione, sono infatti apparsi nella miniserie Aziende impossibili.

Le stesse aziende, il 24 ottobre scorso a Milano sono salite sul palco di Frontiers of Interaction, introdotte da Leandro Agrò come «giovani start up che in questi giorni stanno facendo parlare molto di sè in rete», regalando al pubblico dell’evento una apertura abbastanza insolita.

+Mind, Hippokrates, Nat.Net, Tety.Co e ATUM sono il frutto del nostro corso di Design Digitale Multi-piattaforma all’ISIA di Firenze.A presentarle sul palco di Frontiers sono gli stessi studenti dell’ISIA, protagonisti del corso e di un inedito esperimento di design e narrazione transmediale dedicato al Near Future Design. Che Futuro! e Frontiers of Interactions sono stati complici dell’operazione.

Abbiamo lavorato intensamente su questo concept dal nostro ritorno dagli Stati Uniti, dove il contatto diretto con organismi e istituzioni quali Google, l’Institute for the Future e la Silicon Valley in quanto ecosistema, hanno rappresentato un enorme stimolo in questa direzione, riportando una versione concentrata del corso a Frontiers con il workshop “Near Future Design VS Design Fiction“.

L’analisi di quello che descriviamo come “Near Future Design” parte dall’osservazione dello stato dell’arte scientifico e tecnologico, e dall’osservazione etnografica e antropologica della “percezione del possibile” (ovvero di ciò che le persone e le comunità di diverse culture percepiscono come possibile o immaginabile e, quindi, desiderabile), per trasformarla in uno strumento strategico per le aziende, le organizzazioni e le comunità tramite la costruzione di pre-totipi (prototipi diegetici e la loro comunicazione in senso transmediale). Una metodologia capace di proporre nuove forme di attivazione degli immaginari, per la concezione di futuri possibili e per la creazione di dialoghi condivisi tra tutti i soggetti, attraversando etica, fattibilità tecnologica, considerazioni ambientali, economiche, giuridiche, sociali e politiche.

[2] Il valore del Near Future Design nell’era della continuous Disruption

Nel contemporaneo interconnesso l’innovazione viene creata stabilendo dialoghi e conversazioni, osservandone le tensioni e gli orientamenti, e utilizzando i risultati di queste osservazioni per proiettare (per progettare) una visione di futuro possibile, e quindi implementarla.

In questo scenario la visione sul futuro – assieme a tutte le sue implicazioni: etiche, ambientali, sociali, politiche ed ecosistemiche – è forse il prodotto più prezioso che può essere offerto da qualsiasi organizzazione. Questo richiede al design una nuova modalità: diventare l’attivatore dell’immaginabile e, quindi, del progettabile, inteso come atto del “creare quello che ancora non c’è”. Facilitando la società e le comunità a stabilire dialoghi attivi e condivisi nella creazione del proprio futuro: a trasformarsi in performer desideranti del futuro.

Lo studio del futuro, la futurologia, è quella scienza, arte e pratica che prevede di postulare futuri possibili. Evidenziando la cruciale importanza di una loro caratterizzazione molteplice e plurale: molti futuri possibili e alternativi, piuttosto che uno solo, monolitico. A evidenziare i limiti della preveggenza, della predizione e del calcolo combinatorio, probabilistico e statistico, rispetto alla possibilità di concepire (ed attuare) futuri possibili e preferibili.

Uno dei principali presupposti degli studi sul futuro è che il futuro è plurale, non singolare. Cioè consiste in futuri alternativi a verosimiglianza variabile. Lo scopo primario degli studi sul futuro è, quindi, di identificare, mappare e descrivere futuri alternativi, raccogliendo dati quantitativi e qualitativi rispetto alla possibilità, probabilità e desiderabilità del cambiamento, secondo una prospettiva olistica. Ivi inclusa la possibilità per l’analisi culturale della “preferibilità” relativa di un certo futuro rispetto ad un altro.

Il futuro è il risultato di una conversazione.

Nell’era dell’informazione, delle reti digitali, dell’iperconnessione e della conoscenza, la comprensione del futuro cambia direzione.

È l’era della continuous disruption, in cui l’innovazione radicale continua ha impatti di incredibile energia su tutte le nostre società. In cui i game-changers – quelle organizzazioni in grado di cambiare in maniera radicale le carte in tavola e le regole del gioco – nel business, nella governance delle città, nel design e nella politica, sono i maggiori attori e beneficiari dei processi di innovazione.

È qui, in questo spazio transitorio e nomadico del cambiamento e della mutazione, che possiamo immaginare di avviare le conversazioni su come co-creare, performativamente, il nostro futuro.

Per farlo, occorre partire da un livello di comprensione che va ben oltre la conoscenza dello stato dell’arte della tecnologia e della tecnica. Occorre partire dalla comprensione degli immaginari, dei rituali e delle tensioni del contemporaneo, compresi i conflitti e le cose che provocano stupore e senso di irrealtà.

Occorre comprendere il “senso del possibile” tanto quanto il “senso del desiderabile”.

Unire la comprensione di quello che si può immaginare come realizzabile a quella di di ciò che si desidera realizzare: oltre l’utopia, oltre la dimensione dualistica del vero/falso, in una sospensione fluttuante performativa in cui “spostare un po’ più in là” ambedue le sensibilità, al fine di attuare il nostro nuovo futuro.

In questo senso (conversazionale, comunicativo, polifonico, emergente, co-autoriale) la definizione di futuro cambia: diventa progetto, proiezione, performance. Una performance della conoscenza, dei saperi e dell’auto-determinazione etica e civica, che si attua tramite la auto-osservazione e la auto-rappresentazione, in un tutt’uno ecosistemico e liquido, in cui la dissonanza, il noise, diventano forme di vita, essenze da cui imparare attraverso la compresenza simultanea dei molteplici punti di vista espressi e presenti. Qui, in questo spazio dai confini frattali e oscillanti, la differenza si innalza a valore di primaria importanza: è la fonte stessa della vita. La biodiversità come spazio dell’opportunità e della possibilità.

Nella creazione di questo spazio per la possibilità, si ridefinisce, ovviamente, il ruolo dell’”impossibile”, che diventa strumento della conversazione polifonica tanto quanto ciò che è possibile, con la stessa dignità.

Strumenti fini ed ubiqui per spostare in là – secondo assi che sono allo stesso tempo cartesiani, diagonali, non-euclidei, caotici ed indeterministici – la nostra percezione del possibile e, quindi, per avviare la performance del Futuro.

Questo è quello che abbiamo definito come Near Future Design. Il design del futuro prossimo.

Una dimensione performativa in cui l’osservazione dello stato delle arti e delle tecnologie di sposa all’osservazione antropologica ed etnografica.

In cui le dimensioni diasporiche ubique della contemporaneità iperconnessa si trasformano in eccezionali strumenti per la comprensione della molteplicità dei punti di vista presenti nell’ecosistema umano delle relazioni e delle interazioni (e quindi della comunicazione).

In cui i saperi, ubiqui e disseminati nelle città tanto quanto nello spazio della comunicazione e dell’informazione, si combinano attraversando discipline e modalità.

In cui si osserva la percezione del “possibile” e del “desiderabile” per comprendere: le tensioni, i conflitti, le armonie, le dissonanze; i riti mentre prendono forma; le tendenze quando sono solo suggestioni; le identità quando sono ancora atomi in cerca del proprio legame chimico; le dis-identità, prima che si smembrino, per poi coagularsi molteplici volte nell’Altro.

[3] Il ruolo del design

In questo scenario, il design svolge un ruolo fondamentale, di cui le organizzazioni – siano esse commerciali, industriali, politiche o sociali – stanno rapidamente imparando a comprendere la portata.

È un design trasformato, e un design della trasformazione. A cavallo tra il design di prodotto, della comunicazione e strategico. Che si intreccia con l’Etnografia e la Geografia Umana.

È il Near Future Design, e si esegue tramite le pratiche del Design Fiction.

È in questo che si sono cimentati gli studenti dell’ ISIA di Firenze, lavorando sull’immaginario nanotecnologico. Materializzare un futuro prossimo osservando il presente, raccontarlo creando un universo narrativo coerente, disseminarne gli indizi attraverso media differenti – online e offline.

[4] I cinque concept di Near Future design e la pubblicazione

Concludiamo ricordando brevemente i cinque, eccellenti, concept a cui i nostri studenti hanno dato vita, lavorandovi – bisogna riconoscerlo – ben oltre le ore del corso e persino nel caldissimo agosto di questa estate: un piccolo assaggio della pubblicazione che documenterà tutto il lavoro e la metodologia e che uscirà nei prossimi giorniCome si dice in questi casi: stay tuned!(La successione segue l’uscita della miniserie “Aziende Impossibili”, ripresa sul palco di Frontiers)+Mind. Inside the Experience a cura di: Francesca Cangioli, Tommaso Cappelletti, Chloé ChatPillola a base di nanomacchine, consente al nostro cervello di registrare, rivedere e condividere le proprie esperienze. Disponibile in 3 formati, l’effetto dura 24 ore dall’assunzione: è il futuro nanotech della realtà aumentata e del wearable computing: #noglass, #nocamera #nosmarphones #nolaptopCanaliSocial: Facebook Twitter YouTube Hippokrates. Kuinka Voit?a cura di: Francesca D’Angelo, Elisa Ledda, Veronica Mencacci, Elena RotaInnovativo servizio sanitario finlandese in cui la medicina personalizzata è una realtà, fra banche dati condivise e inquietanti scenari sulla privacySocial: Facebook Twitter Vimeo Nat.Net. Do you want to print a meal?a cura di: Alessio Belli, Shanshan Liu, Francesco Peri, Stefano Ravelli, Tommaso Tragnaghi

Network open-source dedicato alla nanostampa molecolare 3D in cui ogni materiale può essere riprodotto, stampato e condiviso liberamente grazie al nuovo sistema delle loro “Ricette”

Social: Facebook Twitter VimeoEfesto-VibeGel by Tety&Co. Choose your good vibe!

a cura di: Thomas Aito, Stefano Grazioli, Sebastiano Lucenti, Michele Talozzi

Gel vibrante per il piacere che sceglie il brevetto libero, diventando il simbolo del movimento Occupy the Pleasure.

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ATUM. Wear your Emotions!

a cura di: Bianca De Magistris, Martina De Natale, Linda Gimognani, Stefano Macaione

Abito nanotecnologico che muta forme e colori con le emozioni di chi lo indossa, pubblicando in tempo reale gli stati emozionali delle persone

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La miniserie “Aziende Impossibili” su Che Futuro!

Special Thanks:

Riccardo Luna e tutta la redazione di Che Futuro!, in particolare Alessia AnniballoLeandro Agrò, Matteo Penzo, Piero Tagliapietra, Marcello Merlo, Serena Montanari e tutto lo staff di FoI per averci accolto su uno splendido palco

Massimiliano Scognamilio e tutto lo staff di dnsee

Stefano Maria Bettega, Andrea Spatari, Silvia Masetti, Riccardo Basile, e tutta l’ISIA di Firenze per essere un luogo di sperimentazione vivo e aperto

Bruce Sterling, Simone Cicero, Annaluisa Franco, Thingiverse, Matteo Farinella, FactoryBay.ru, 3D Printing Industry, 3DPrinfBoard.com, e tutti i complici consapevoli e inconsapevoli dell’operazione

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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