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Perché adesso che la Francia impone a Google l’oblio mondiale cambia tutto

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“L’histoire c’est moi!”.Potrebbe riassumersi così, parafrasando la celebre espressione “l’Etat c’est moi”, attribuita a Re Sole, la decisione con la quale, l’altro ieri la CNIL francese (Autorità omologa del nostro Garante Privacy) ha ribadito a Google che quando disindicizza un risultato a tutela del diritto all’oblio non basta che faccia sparire il relativo link dalle versioni europee del proprio motore di ricerca (google.fr, google.it, google.uk, eccetera) come fatto sin qui, ma deve fare altrettanto nelle altre versioni internazionali (google.com, google.ca, google.com.br, ecc..).Ed è questa l’ultima puntata di una saga piena di paradossi e contraddizioni che sta ridisegnando le dinamiche della comunicazione globale online più di quanto, sin qui, abbiano fatto persino le epiche battaglie delle major della musica e dei film contro i pirati.

Credits: The Guardian

Il primo paradosso è nelle sue origini, nella vicenda di Mario Costeja Gonzalez, oggi 59enne perito calligrafo, che nel 2010 bussò alla porta del Garante per la privacy spagnolo chiedendo che Google “nascondesse”, eliminandole dai risultati della ricerca, alcune informazioni che lo riguardavano, pubblicate su un quotidiano online spagnolo oltre dieci anni prima.Costeja Conzalez chiedeva l’oblio ed ora è passato alla storia, giacché chiunque digiti su Google il suo nome ed il suo cognome scopre – e scoprirà a lungo – tutto su di lui, incluse le notizie su quei fatti che avrebbe voluto cancellati da un’amnesia collettiva indotta.Ma quello del cittadino spagnolo che ha inconsapevolmente acceso la miccia della saga dell’oblio è un paradosso che fa sorridere, sebbene nasconda una verità da non sottovalutare: online si può diventare famosi, chiedendo di essere dimenticati.

Ma il paradosso più grande di questa vicenda è un altro.

E’ quello della Corte di Giustizia dell’Unione europea (e, forse, più in generale, del nostro sistema giuridico) che con l’intenzione di “ridimensionare” il potere autarchico dei giganti del web, chiamandoli al rispetto delle regole del Vecchio Continente, ha finito con il consegnare a Google ed agli altri gestori dei motori di ricerca un potere ancora più grande: decidere quali contenuti ed informazioni debbano restare accessibili online ed a disposizione della storia e quali meritino di sprofondare negli abissi del web tra ciò che potrà anche sopravvivere per sempre ma è destinato all’oblio essendo sottratto alle reti dei grandi motori di ricerca.All’indomani della Sentenza della Corte di Giustizia, mentre in tanti esultavano perché si era imposto alle corporation americane il “rispetto” del diritto alla privacy europeo, il germe della sconfitta si inoculava nel nostro sistema democratico: lo Stato aveva abdicato al principio secondo il quale tocca solo ai Giudici ed alle Autorità indipendenti decidere ciò che è pubblico e ciò che è privato, affidando di fatto ad una serie di soggetti privati il compito ed il potere di sostituirsi a Giudici ed Authority.

Il bilanciamento tra oblio e memoria collettiva e tra privacy e libertà di informazione è questione che riguarda i diritti dell’uomo e, come tale, di competenza degli Stati e di nessun altro.“Ci sono rimedi peggiori della malattia”, diceva lo scrittore e drammaturgo romano, Publio Siro. Ed ora siamo arrivati all’ultima puntata e (almeno per ora) all’ultima contraddizione.

Il Garante francese per la Privacy ha diffidato Google a disincicizzare i contenuti e le informazioni non solo sulle versioni europee del proprio motore ma su quelle di tutto il mondo.

Anzi, ad esser precisi, secondo l’Authority di Parigi non esisterebbero più versioni diverse del motore di ricerca ma solo più porte di accesso alle informazioni che Google indicizza, con la conseguenza che se Big G, accoglie un’istanza di disindicizzazione, il link in questione deve essere rimosso dai risultati delle ricerche offerte agli utenti indipendentemente dal fatto che l’interrogazione sia avvenuta sotto google.fr, google.it, google.com o sotto uno qualsiasi degli altri nomi a dominio utilizzati per contraddistinguere le altre versioni internazionali del motore di ricerca.In caso contrario, secondo il Presidente della CNIL, la disindicizzazione potrebbe essere facilmente aggirata, giacché basterebbe interrogare Big G attraverso una versione non europea per ritrovare tutti i link ai contenuti disindicizzati.

Nessuna volontà di esportare le regole del diritto alla privacy europeo e francese anche al di là dei confini del vecchio continente, dicono da Parigi.“Non abbiamo intenzione – scrive il Presidente della CNIL – di applicare extraterritorialmente il diritto francese ma esigiamo solo il pieno rispetto del diritto europeo da parte di attori extra-europei che offrono i loro servizi in Europa”.Sarà anche vero ma non c’è parola che basti a superare un dato di fatto: se Google dovesse – cosa che non è ancora scontata – adeguarsi alla decisione del Garante francese, quando, da domani, disindicizzerà un contenuto, accogliendo spontaneamente la richiesta di un utente o a seguito dell’ordine di una qualsiasi autorità nazionale europea, il link all’informazione in questione sparirà dai risultati della ricerca in tutto il mondo e le regole del nostro continente segneranno, forse per la prima volta, il confine tra il lecito e l’illecito, tra il pubblico ed il privato, tra la memoria e l’oblio, ben al di là dei confini geopolitici francesi o europei.

Ed eccola un’altra contraddizione profonda di questa vicenda che non può e non deve perdersi o lasciarsi annacquare dietro questioni da legulei perché ha ben altra valenza e rilievo di matrice culturale e democratica: l’Unione europea mentre chiede giustamente ad una società americana di rinunciare ad imporre le proprie regole negoziali ai cittadini europei e di accettare le nostre, pretende poi di imporre queste ultime ai cittadini del mondo, decidendo noi per gli altri, ciò che è pubblico e ciò che è privato, ciò che deve scomparire dal web divenendo, almeno di fatto, inaccessibile e ciò merita di restare online.

Ma cosa diremmo se, domani, per effetto di una legge o della decisione di un Giudice di uno qualsiasi dei tanti regimi meno democratici del nostro in giro per il mondo, interrogando Google, ci accorgessimo che la storia è stata amputata, che i fatti della manifestazione degli studenti di Piazza Tienanmen, ad esempio, sono stati disancorati dalla parola “rivoluzione” e lasciati accessibili solo alla voce “incidente”, come dal 1989, suggeriscono media e governo cinesi?

Non grideremmo forte alla violazione della nostra sovranità nazionale e, prima ancora, non contesteremmo a Google ed al Governo di Pechino di pretendere di imporci le loro regole e la loro cultura?

E perché mai, un cittadino americano, per il quale la soglia di ciò che è pubblico “invade” da sempre – a torto o a ragione – parte di ciò che in Europa è privato, dovrebbe accettare che la storia, sul web, venga riscritta in ossequio alle nostre regole?

GUIDO SCORZA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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